2500 Euro, poi ci pensa Allah

LAMPEDUSA

l’immigrato all’hotspot: “Mangiamo male e c’è troppa ressa. L’Italia deve darci casa e lavoro”

L’HOTSPOT DI CONTRADA IMBRIACOLA, LAMPEDUSA

sta in una conca. All’interno ci sono tre corpi di fabbrica, più uno più piccolo dove alloggiano i minori. Su tre lati è perimetrato da mura in cemento e inferriate. Il quarto è il punto debole. C’è un falsopiano. Una montagnola. Argillosa. Brulla. Sulla rete di recinzione ci sono due buchi. Ed è lì che i migranti passano per aggirare l’ingresso principale, che è presidiato dai bersaglieri di piantone. Violano la quarantena, escono e seguono un sentiero, accidentato, passando tra vecchi muri di pietre impilate e fichi d’india. Da lì imboccano la strada principale e vanno verso il paese. Alcuni cercano solo un attimo di svago, una boccata d’aria. Il centro esplode. La nave Azzurra, affittata dal governo per alleggerire l’affollamento dell’hotspot lampedusano, ha portato via solo 350 migranti. C’era vento forte, allora si è spostata prima in rada e poi a Trapani. Ne sono rimasti circa settecento. In un centro che ne può accogliere una novantina al massimo. Altri invece danno noia alla gente del posto e ai villeggianti. Piccoli furti, violazioni di domicilio, sporcizia, rifiuti lasciati un po’ ovunque e cose così. Oltre al fatto che potrebbero essere veicolo di contagio.

2.500 EURO

Rami guida una colonna di quattro tunisini in fuga. È l’unico che ha la mascherina. (abbassata sotto al mento) e il solo che parli inglese. «Dove vai?», gli urla il cronista dalla sommità dell’altopiano. «Vado a comprarmi un po’ di pane», risponde. Poi si avvicina. Ha voglia di parlare. «Sono venuto qui, ma non resterò in Italia», precisa. «Sono stato in Svezia e Norvegia. Lì ha vissuto dieci anni. C’è la mia famiglia, la mia compagna». Poi si sa come sono questi governi scandinavi. Se ti scade il permesso di soggiorno, ti rimandano indietro. Mica si impietosiscono. «Ma io devo tornare lì da mia figlia, in un modo o nell’altro. Prendere l’aereo era impossibile, allora mi sono imbarcato». Ha prenotato il suo passaggio con gli scafisti. Partenza da Monastir. «Quanto ho pagato il viaggio? Duemila e cinquecento euro. Sì-sì-sì, lo so che è illegale…»

PROSEGUE…

«tanto il vostro governo fa solo bla-bla-bla, tante chiacchiere…». Ci aveva provato già l’anno scorso, a venire in Italia, ma al Viminale sedeva un tizio meno simpatico e l’hanno rimandato indietro. «Quest’ anno sono tornato di nuovo. L’80 per cento delle persone che sono qui viene dalla Tunisia. Questo è il nostro mare. È come il nostro mare». Rami fa il meccanico. «Ho aggiustato auto in Norvegia per sette anni. Ora tornerò da mia figlia», insiste. «Come non lo so, devo parlare con la mia compagna. In qualche modo farò». Paura del virus? Fa spallucce: «Eravamo in molti su una barca di mezzo metro, per sei ore. Uno addosso all’altro. Ma quale distanziamento… Il coronavirus è dappertutto. Decide Dio». Ci pensa Allah. Quella di Kareem, invece, non è proprio fuga, è più voglia di qualcosa di buono. «Non mi piace la mensa nell’hotspot», si lamenta. «Troppa gente. Non è accogliente. Devi stare in fila. Tutti accalcati. Poi prendi il tuo cibo precotto e vai a mangiare dove capita. Non fa per me. Ho voglia di un dolcino. Hai presente quelli con la mandorla?».

Sneaker bianche, jeans skinny, polo con fantasia floreale, borsello. Dentro c’è il suo tesoretto: «Sì, ho un po’ di soldi con me». D’altronde lui, non si sa come, non ha dovuto pagare per la traversata: «C’era un mio amico a bordo e mi ha detto: “Vieni con me”. E sono andato. Gratis». Kareem è libico. Ed è gay. Ci tiene a sottolinearlo. Perché lì «noi Lgbt ce la passiamo male. Io sono un rifugiato. Ho pieno diritto di essere qui». E ci vuole rimanere: «Mi piace l’Italia, ma non questa qui». Si guarda intorno e fa una faccia schifata. Lampedusa non gli va. «Mi piacciono le grandi città. Andrò a Torino. Per la Juventus? Ma no! Non mi interessa il calcio…».

RISSE E COLTELLI

Ventuno anni. «Studio all’università, facoltà di giurisprudenza», racconta, «voglio diventare un avvocato per difendere tutti questi ragazzi che sono qui nell’hotspot». Poi però ammette di aver violato la quarantena uscendo dal centro di accoglienza. «Ma vabbè dai, lo fatto tutti…» e sorride. Infine manda un messaggio al premier Giuseppe Conte: «Mi aspetto che il governo italiano mi dia una casa e un lavoro. Io mi impegnerò a imparare la lingua». Stare nell’hotspot non gli piace. Vuole andarsene via quanto prima: «Lì ci sono tutti quei tunisini» e fa un’altra faccia schifata. La convivenza tra diverse etnie, a Contrada Imbriacola, è un bel problema. Nel 2011 a causa delle risse continue, dovettero imbullonare le sedie: se le tiravano contro. Altri invece avevano smontato i materassi e utilizzavano le molle interne come armi. Per regolamenti di conti sommari. «Molti turisini scappano dalle galere», spiega Angela Maraventano, ex senatrice della Lega e coordinatrice lampedusana del Carroccio, «il problema non si risolve spostando i migranti, ma facendo un blocco navale». [via liberoquotidiano]

USA. Chi è più servo dell’Italia

Il Giappone.

Economicamente e culturalmente è un gigante. Politicamente è un servo o, a voler essere gentili, una colonia.

In un libro del 1989, il politico giapponese Shintaro Ishihara descrive un incidente interessante. Qualche anno prima, al momento di penetrare lo spazio aereo giapponese in occasione di una visita ufficiale, il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan chiese a dei militari presenti se fosse stato ottenuto il necessario permesso delle autorità locali. Gli fu risposto che il permesso non era necessario. “It’s our airspace.”, gli dissero.

Ora, va saputo che un aereo che parta da Narita, l’aeroporto internazionale di Tokyo, dovunque sia diretto segue sempre la stessa rotta iniziale. Prima va verso est, addentrandosi nel Pacifico per qualche decina di chilometri, poi vira di 90° e va o a nord o a sud per qualche centinaio di chilometri, e infine va per i fatti suoi. Quello che i due episodi hanno in comune è il cosiddetto Yokota Base Air Space (YBAS).

Per incredibile che questo possa sembrare, lo spazio aereo al di sopra della capitale non è controllato dal governo giapponese, ma dai militari della poco distante base aerea statunitense di Yokota. All’interno di questo spazio aereo è proibito a chiunque volare senza il permesso della base. Di qui la necessità di eseguire i voli commerciali e di linea al di fuori di tale zona e la strana rotta seguita dagli aerei di linea per evitarla.

La zona proibita è immensa. Misura circa 7000 chilometri quadrati di superficie ed è alta fino a quasi 10.000 m. Le perdite che provoca sono ingentissime, ma l’ultima volta che il governo giapponese ne ha chiesta la restituzione si è sentito dire in sostanza di smetterla di chiedere. Eccola.

Yokota non è la sola base aerea americana ad espropriare spazio aereo giapponese. Tutte le altre del paese sono nelle stesse condizioni. Lo YBAS ė solo il caso più conosciuto proprio per il polverone sollevato da Ishihara, ex governatore di Tokyo, personaggio per altri versi immondo, che ha portato a conoscenza di molti il problema.

Le basi operano in un vuoto legislativo completo. Quando un elicottero della segretissima serie Apache proveniente dalla base limitrofa di Kadena precipitò in piena Naha, capitale della prefettura di Okinawa, la zona venne immediatamente cordonata da militari americani che non concessero a nessun cittadino giapponese neppure di avvicinarsi al relitto. Se lo portarono via e questo fu quanto.

In un altro incidente, questa volta causato dall’aereo VTOL Osprey, si sono visti (usando cannocchiali) marine americani scansionare il relitto usando contatori geiger. Cosa facessero o cercassero non è dato sapere.

Le violenze carnali, comuni dovunque ci siano basi militari, sono appannaggio di giudici militari statunitensi e raramente punite.

Quando anni fa un sommergibile USA affondò per errore una nave scuola giapponese uccidendo varie persone, non solo il capitano non finì in carcere, ma l’allora segretario della difesa Donald Rumsfeld si dichiarò spiacente di perdere i suoi servigi.Tutto questo è giustificato dicendo che gli americani sono in Giappone per difenderlo dalla Cina e dalla Corea del Nord. Anzi, gli americani pretendono ed ottengono che il Giappone paghi le spese legate alla presenza dei militari, inquinamento e danni all’ambiente compresi. I giapponesi le chiamano “spese di simpatia” ed ammontano ad oltre il 74% del totale.

In realtà gli statunitensi sono qui per vari motivi non altruistici. Basi come quelle di Okinawa, che consentono ai bombardieri nucleari USA di minacciare tutte le capitali dell’Estremo Oriente, non si trovano tutti i giorni.

Fra parentesi, il ministro della difesa di Clinton William Cohen dichiarò apertamente che gli USA rimarranno in Corea anche dopo la riunificazione. A questo punto è legittimo chiedersi se il Giappone è effettivamente un paese sovrano e la prefettura di Okinawa, la più povera del Giappone e l’unica che dal 1945 sia costretta a coesistere con quantità colossali di personale militare e materiale bellico, lo ha fatto ufficialmente. Lo ha messo in dubbio ufficialmente e pubblicamente.

Ecco una cartina che mostra il numero e la distribuzione delle basi americane a Okinawa.

La base di Kadena in particolare deve essere vista per essere creduta. Tenere presente che di solito l’area attorno alla base è dedicata a servire la base stessa. Il 74% di tutto questo è quindi pagato dal Giappone. Non è quindi esagerato secondo me dire che il paese paga la propria colonizzazione.

Ed è questa la tragedia di Okinawa. Dopo aver pagato un prezzo altissimo di sangue alla fine della seconda guerra mondiale, dopo essere stata occupata direttamente dalle forze armate americane dal ’45 fino agli anni 70, è diventata ora una base aerea USA permanente, in aperta contravvenzione della volontà esplicita dei suoi cittadini.

Molti anni fa un compagno di classe vietnamita ridacchiando sarcastico disse al professore che tutti si scelgono gli amici nel vicinato. Solo il Giappone li ha a interi continenti di distanza.

Acuta osservazione. Il Giappone ha rapporti tesi con tutti i suoi vicini, in parte anche per essere sempre sospettabili di agire per gli Usa.

Quando se ne andranno gli americani? Quando il Giappone li potrà cacciare.

Cioè mai.

TRADOTTO DA: Alexey Tereshchenko

 

● Banconote e conio

 [In calce podcast Vera Economia di Alessandro Sieni]

Banconote e conio sono ormai una proporzione minuscola (meno del 10%) del denaro esistente nell’economia. Alcuni, prendendo esempio dalle banche private che generano la moneta scritturale bancaria, sperimentano una procedura somigliante digitando numeri sulla tastiera di un pc. La scritturazione bancaria dei “bit” si ritiene CONVERTIBILE IN MONETA LEGALE EURO accettata da tutti perché ritenuta ope legis (regolamento Bce) ratificata dagli stati. Per similitudine, alcuni provano a imitare questa procedura anche in forza di una sentenza attestante che la moneta bancaria non è moneta legale, difatti l’avvocato Marco Della Luna, per salvare dalla vendita all’asta, richiesta da una banca ai danni di un suo cliente (come a diversi altri), ha presentato al giudice dell’esecuzione immobiliare del Tribunale di Genova un’istanza di sospensione basata anche sulla contestazione di nullità del contratto di mutuo perché la banca in questione (come fanno tutte le banche) aveva prestato, spacciandola per euro (moneta legale), una moneta scritturale privata, da essa stessa creata senza autorizzazione. Il giudice in questione non ha sospeso l’esecuzione, ma ha fatto un’ammissione sorprendentemente audace, per un giudice, ossia che effettivamente il denaro creato e prestato dalla banca non è la moneta legale Euro, BENSÌ POSSA ESSERE CONVERTITO IN ESSA quando si preleva in contanti. Una tale ammissione mina le basi stesse del sistema di potere politico-economico che domina e sfrutta la società contemporanea…

In conclusione, l’oggetto della licenza bancaria, ex art. 10 TUB, è l’esercizio e l’intermediazione del credito, non la creazione della moneta, la quale non può considerarsi come implicita nell’esercizio del credito, così come la fabbricazione di automobili non può considerarsi implicita nel noleggio di automobili. La creazione di moneta non rientra nemmeno nell’emissione di moneta elettronica, consentita alle banche di credito e ad altri soggetti soltanto contro copertura in fondi pre-esistenti. La creazione dell’euro, della moneta legale, è riservata al Sistema Europeo delle Banche Centrali: artt. 127 e 128, 1° c TFUE; art, 10 TUB; artt. 347 e 453 CP, ed è vietata alle banche non centrali – e queste sono norme pubblicistiche, imperative, penalmente sanzionate.

Quindi, come non è legale la moneta bancaria e tuttavia viene riconosciuta da chicchessia, allora nello stesso modo pur non essendo legale la moneta di Stefano questa dovrebbe altrettanto essere legale!

● Moneta scritturale, Bankitalia s’incarta

http://sdw.ecb.europa.eu/reports.do?node=1000004112

http://sdw.ecb.europa.eu/reports.do?node=1000004114

NOTA. Circolazione al di fuori dell’area dell’euro Le banconote in euro non sono utilizzate esclusivamente dai residenti nell’area dell’euro. Essendo denominate in una valuta internazionale, talvolta valicano i confini dell’area e non rientrano più. Si stima che in termini di valore tra il 20% e il 25% delle banconote in euro in circolazione sia detenuto al di fuori dell’area dell’euro, prevalentemente nei paesi limitrofi. La domanda di banconote in euro è bruscamente aumentata soprattutto nei paesi dell’Europa orientale non appartenenti all’UE con lo scoppio della crisi finanziaria nel 2008 e il deprezzamento delle valute nazionali rispetto all’euro. Poiché queste banconote restano in circolazione, si presume che continuino a essere detenute da non residenti nell’area dell’euro.

links:
https://nicolettaforcheri.wordpress.com/2017/04/23/tribunale-di-savona-sulla-creazione-di-euro-scritturali-e-relativi-pagamenti/

Un contradditorio a caso…

Moneta scritturale: quelli che si creano gli euro da soli

● L’Euro, cosa è

Un tempo era lo stato a emettere moneta, libera da debito. Oggi (forse un po’ incredibilmente, no?) questo compito è assolto dalla BCE, un privato che sottrae allo stato il potere di sovrintendere le politiche monetarie e fiscali, già funzioni di carattere pubblico. Ora lo Stato è diventato un guscio vuoto, autoritario e iniquo, un mero passacarte degli interessi di enti sovranazionali non eletti. La soluzione per lo stato, forse, non sarebbe il ripristino dei diritti e della democrazia mediante la riappropriazione della sovranità, attuando politiche economiche in funzione dei reali bisogni del paese?

m-e-r-c-a-n-t-i-l-i-s-m-o

L’Euro, che non è [solo] una moneta (per giunta a debito) [1] è presumibilmente una truffa (sich!) perché, se è vero che lo scopo di una moneta è quello di svolgere un servizio di rappresentazione “cartacea” (o unità di conto o intermediazione) dei beni e servizi scambiati tra le parti, non si capisce perché tale servizio non possa essere neutro, vale a dire auto-prodotto (a livello di comunità/nazione) e privo di interessi. L’Euro, più che una moneta qualsiasi, è e rappresenta invece un accordo monetario di parità tra i “vecchi” cambi nazionali, volto ad armonizzare forse l’impossibile, puntando alla facilitazione dei movimenti finanziari di alto livello… senza tenere conto delle rispettive e disparate politiche economiche nazionali. Ora, col senno di poi, è facile notare come l’Euro sia non tanto una moneta vera e propria quanto un “club”, un accentrato sistema di governo delle politiche economiche dei popoli, artatamente ideato da privati capitalisti, non certo eletti democraticamente. Bello vero?

Lo scorso 1° gennaio infatti l’Euro ha compiuto i suoi primi venti anni di vita. Dovremmo ormai aver maturato la giusta consapevolezza su come giudicare l’attuale progetto di integrazione europea, culminato nell’unione monetaria del 1999, anzi del 1997 (dato che quello fu l’anno della fissazione dei cambi tra paesi aderenti): oltre alle venti candeline, l’Unione Europea ha spento qualsiasi possibilità di attuazione di politiche emancipatorie per le classi meno abbienti e ha contribuito in maniera decisiva, come detto sopra, alla depoliticizzazione delle decisioni di politica economica, ormai dipinte da un élite quasi esclusivamente come scelte tecniche.

Negli ultimi vent’anni risulta che la limitazione della crescita reale dei redditi da lavoro sia stata una delle cause di stagnazione della domanda, anche se c’è chi sostiene, tra l’altro, che fu l’eliminazione della scala mobile il motivo dell’utile rallentamento dell’inflazione, che negli anni passati era considerato uno dei fattori negativi per la normalizzazione del sistema economico di un paese. Tuttavia, oggi di inflazione non ce n’è… Eppure non sembra che si stia meglio di quando i salari erano difesi dalla scala mobile e c’era la “liretta”… Oggi non ci sarà inflazione ma in compenso c’è l’ “eurone”, però non vi è lavoro (e quindi reddito) e per l’appunto tutto ciò è dovuto alla Moneta unica.

Domanda retorica (non occorre rispondere), secondo te è meglio:

1. un’inflazione al 4, 5, 6% (e più) con la possibilità di recuperare il potere d’acquisto oppure:

2. un’inflazione a zero, ma nessun reddito perché non hai lavoro?

Ecco, ora deglutisci… e ripeti con me: il pericolo non è l’inflazione, il pericolo è la deflazione. Il pericolo non è l’inflazione, il pericolo è la deflazione. IL PERICOLO NON È L’INFLAZIONE, IL PERICOLO È LA DEFLAZIONE. [2]

Molti, come modestamente il sottoscritto, sostengono che la moneta appartiene di diritto a chi lavora, produce e contribuisce in qualsiasi modo al benessere collettivo. Nel mondo economico attuale invece ogni moneta a corso forzoso, attraverso artifici o raggiri, “sembra” essere di proprietà della banca centrale che semplicemente la stampa e poi la presta ad interesse ai legittimi proprietari.
Il risultato di tutto questo è che più si produce nuova ricchezza, più il corpo sociale impoverisce indebitandosi sempre di più e se a questo aggiungiamo una classe politica che a tutto mira meno che al benessere dei cittadini, abbiamo oltre al crescente indebitamento anche una spesa pubblica che ogni anno aumenta. Tanto per chiarire oggi spendiamo ogni anno oltre la metà di quello che si produce (circa 750 miliardi di Euro).

Il risultato sono tasse crescenti per coprire debiti in realtà inesistenti e sperperi pubblici, mentre i Diritti fondamentali, i servizi essenziali come gli investimenti per ricerca, scuola, infrastrutture ecc., sono ridotti o azzerati per mancanza di fondi…

TRATTO DA WSI ECONOMIA

INTERVISTATORE. E di chi è la colpa secondo il professor Sapelli? Chi ha voluto l’Euro è stata la sinistra internazionale che ha condannato alla povertà la classe media.

“Di certo tra i padri dell’euro ci sono ordoliberalisti tedeschi, che hanno spinto per estendere a tutti gli europei la Costituzione della Germania, imponendo dall’alto anche una forma economica (…) è stata creata per la prima volta una moneta senza uno Stato, provocando i disastri che sappiamo, con effetti tutti deflattivi, imposti dalla Germania per assicurarsi un surplus commerciale. Così Berlino drena risorse a tutta Europa e poi le trasferisce all’estero”.

INTERVISTATORE. E, all’affermazione secondo cui, “quindi le posizioni anti-euro sono solo elettorali”, Sapelli risponde.

“Le posizioni politiche si capiscono bene: c’è l’inversione della rappresentanza. Chi ha voluto l’euro è stata la sinistra internazionale, dai Delors ai Blair, con Clinton e fino a Prodi; la socialdemocrazia tedesca e l’azionismo italiano dei Ciampi e Padoa Schioppa. Ma così questa sinistra ha condannato alla povertà la classe media, nella sua definizione americana, cioè con dentro anche gli operai. Insomma, tutta la gente onesta. Quindi ora non la può più rappresentare. Chi ci può pensare? La destra moderata. Ecco perché hanno fatto fuori Berlusconi, nel 2011. E direi che lo stesso è appena accaduto a Fillon: i magistrati francesi hanno fatto un piacere agli eurocrati”.

INTERVISTATORE. E sull’Euro il professore non ha dubbi: uscirne è difficilissimo, anche se un sistema più tecnico c’è.

“Penso che come è stata una follia entrare, così è facile fare follie uscendo. Il problema non è la moneta, ma il credito: bisognerebbe riuscire a separare il sistema dei pagamenti da quello dei crediti (…) Tecnicamente non c’è nulla. È una gabbia. Gli unici in Italia che possono elaborare qualcosa di serio sono i professori Paolo Savona e Giuseppe Guarino (…) Ci sarebbe un metodo tecnico per lasciare l’euro, ma richiederebbe la cooperazione di tutte le banche centrali e di tutti i governi. Tutti seduti intorno a un tavolo con l’obiettivo comune di ridenominare ogni attività nelle valute nazionali. Accompagnando per un periodo anche lungo la doppia circolazione, dell’euro e della nuova valuta. Al momento è una prospettiva auspicabile, ma irrealistica”.

[1] La nostra moneta ufficiale, l’Euro, come tutte le altre monete a corso forzoso, la cui accettazione è imposta dalla legge, è una moneta basata sul debito. Lo Stato, che ogni anno deve adeguare la quantità di moneta in circolazione, necessaria per lo scambio di beni e servizi, si indebita con la banca centrale che stampa il denaro, emettendo titoli di debito (Bot, BTP, CCT ecc.) per un pari importo e sui quali deve pagare anche un tasso di interesse.
[2] Prof. Giulio Sapelli all’VIII Assise degli Amministratori camerali lombardi (29 Novembre 2018). “Non esiste il problema dell’inflazione, ma quello della deflazione. Sono andato in un paese della Val Trompia, che è uno dei posti più ricchi del mondo, per un convegno sindacale. Il locale segretario della Fim mi ha detto che è in pensione, ma il figlio e la figlia, in cassa integrazione, sono tornati a vivere in casa perché non hanno i soldi per pagare il mutuo. Stiamo erodendo la ricchezza non solo dei ricchi, ma anche dei poveri e delle classi medie (dove ci sono anche gli operai). Il pericolo è la deflazione, cioè che si fermi tutto. Allora, ciò che ci può guarire è l’inflazione. Bisogna convincere i tedeschi, i quali non conoscono neanche più la loro storia – Weimar non ha insegnato loro niente? –, che non esiste il problema dell’inflazione, ma quello della deflazione. Abbiamo iniettato nel sistema trilioni di liquidità, dovremmo avere l’inflazione al 20% e invece non l’abbiamo. Qui arriviamo al vero problema e secondo me le camere di commercio devono farsene carico con coraggio: questi soldi non sono andati all’economia reale, ma sono serviti a salvare le banche; se non pensiamo a riformarle continueremo per molto tempo a cercare di salvarle, senza riuscirci. Dobbiamo tornare a separare banche di investimento e banche d’affari. Non si può parlare di sussidiarietà e poi pensare che un organismo dall’alto controlli migliaia di intermediari finanziari, tantomeno a livello europeo. Occorre dunque separare le banche. Bisogna chiedere agli imprenditori di creare le proprie banche, di rafforzare le banche cooperative, le Bcc, le banche popolari. I paesi con un forte sistema di banche cooperative sono già da parecchio oltre la crisi. Il problema è che nessuna economia è uguale all’altra: il mondo è diseguale. Se si guarda dentro le cifre, anche quelle dell’Ocse, ci si accorge che vi sono settori che sono anticiclici: il biomedicale, le nanotecnologie, un certo tipo di informatica, le macchine utensili (in cui eravamo i primi al mondo e che stiamo continuando a distruggere). Alcune imprese tengono perché dei loro prodotti non se ne può fare a meno. Bisogna avere l’intelligenza di scegliere sette-otto settori anticiclici, puntare su questi e difenderli a tutti costi, anche con l’intervento pubblico. Non è detto che si possa uscire dalla crisi solo con la mano privata. Bisogna intervenire nelle situazioni in cui i privati da soli non ce la possono fare, auspicando anche degli interventi di capitale estero. La crisi che attraversiamo è fatta di luci e ombre. È una crisi con molte componenti morali e spirituali, quindi è anche una crisi di attesa. Attendiamo che ci sia la soluzione. Per esempio, occorre abbassare le tasse sulle imprese. Come può, infatti, crescere un paese con il 50-60% di carico fiscale? Non esiste al mondo, e ve lo dico da studioso di storia e teoria economica, una situazione analoga. Occorre cercare di aumentare la massa salariale. Le camere di commercio sono un attore economico: sono un’autonomia funzionale, ma possono agire come strumenti di governo dell’economia. Sono la casa degli attori del mercato, grazie alla quale l’imprenditore non è più suddito, ma cittadino. Le camere e le loro iniziative sono un elemento per affrontare la crisi, nella consapevolezza che il mondo non è solo nero e bianco, ma grigio e che in fondo al tunnel la luce che s’intravede è quella della speranza.”.
° ° °

● Ordoliberismo e diritti umani

stefanonizzolaIl motivo per il quale è utile conoscere la teoria ordoliberista è molto semplice, la sua diretta emanazione politico economica si ritrova interamente applicata nei principi regolatori dell’Unione Europea e dunque in netto contrasto e in posizione dominante rispetto all’impianto costituzionale Italiano ma in perfetto accordo con i principi costituzionali Tedeschi.

L’Economia sociale di Mercato (ESM) ha come obiettivi principali della sua Politica Economica il primato della politica monetaria e della politica di sviluppo, l’allineamento dei prezzi sull’offerta delle merci, una ripartizione equa e graduale dell’aumento del benessere; nulla, ma proprio nulla fa riferimento al lavoro e alla piena occupazione e il motivo è molto semplice: l’intervento dello Stato nei mercati, dunque anche quello del lavoro, è ritenuto dall’ESM inammissibile.

Come si sia dispiegato il dominio politico ed economico della Germania in ambito Europeo è noto a tutti ma è meno noto che esso si sia sviluppato dietro la peggiore delle menzogne, quella della giustizia sociale.

Lungi dall’essere ciò per cui viene spacciata, la ESM in realtà consiste in un’impalcatura economico istituzionale volta unicamente alla polarizzazione indefinita dei redditi; essa si esplica attraverso il trasferimento automatico di ricchezza per effetto della stabilizzazione monetaria; questa produce

  • da un lato  il  progressivo trasferimento di quote di profitto dai salari verso le rendite,
  • e dall’altro l’aggiustamento della domanda di lavoro in funzione di retribuzioni progressivamente decrescenti tali da poter raggiungere la piena occupazione.

Come è noto, un mercato del lavoro che raggiunge la piena occupazione attraverso salari di puro sfruttamento può essere giustamente considerato un esempio di efficiente allocazione delle risorse ma non certo di giustizia sociale.

Il fenomeno che tuttavia testimonia del fatto che le politiche ordoliberiste siano pienamente inefficienti nell’allocazione delle risorse è rappresentato dal suo effetto decrescente nella propensione marginale agli investimenti.

Tale effetto discende dal mancato incentivo che il dogma della stabilità monetaria, provoca ad opera della stagnazione della domanda aggregata interna, la quale a sua volta genera la paralisi se non l’arretramento del saggio di crescita della produttività per via della selezione delle imprese e della loro naturale moria da mancata competitività.

Meno imprese per selezione naturale significa dividere una torta un po’ più piccola di mercato per via della crescente disoccupazione (calo della domanda) tra un numero minore di investitori, i quali vedono crescere i propri profitti in modo automatico in assenza di investimenti e contemporaneamente aumentare la quota di remunerazione del capitale anche in presenza di decrescita del PIL.

Altro effetto non meno nefasto si rileva nella collocazione geografica delle attività produttive che tendono a localizzarsi e concentrarsi in prossimità delle aree a maggior concentrazione industriale con un effetto di impoverimento progressivo delle aree periferiche.

Riepilogando:

  1. Moria delle attività economiche,
  2. elevato inutilizzo delle risorse umane,
  3. tendenza alla diminuzione degli investimenti,
  4. congestionamento industriale e impoverimento delle periferie.

Si può affermare dunque che, sia teoricamente che empiricamente, si riscontra nell’applicazione di politiche economiche ordoliberiste una totale e perniciosa inefficienza nell’allocazione delle risorse; l’esatto opposto di quanto propagandisticamente sbandierato da chi oggi detiene lo scettro del controllo della Politica Economica dell’Unione Europea.

Bello, eh?


Vi spiego l’ordoliberismo, Francesco Forte video qui

			

● Trust (emendamento n° 7) (Jersey) Legge 03/09/2018

03/09/2018 AGGIORNAMENTO

EVIDENZIO CHE (a chi occorresse): Il trust non è né una persona giuridica né un ente dotato di una seppur minima soggettività giuridica, ma costituisce un insieme di rapporti giuridici – destinati in favore di beneficiari – che fanno capo al trustee. Il trustee non è il legale rappresentante del trust, ma è un soggetto proprietario di determinati beni e titolare di determinati rapporti giuridici nell’interesse dei beneficiari del trust. Il Trustee dispone, in osservanza di quanto stabilito nel regolamento del trust, dei diritti di cui è titolare ed è l’unico referente nei confronti dei terzi. Il pignoramento immobiliare effettuato contro il trust è nullo, perché effettuato verso un soggetto giuridicamente inesistente.
Cass. civ. Sez. III, 27-01-2017, n. 2043.


Articolo

1 Interpretazione
2 Articolo 1 modificato
3 Articolo 9 modificato
4 Articolo 9 bis modificato
5 Articolo 29 sostituito
6 Articolo 30 modificato
7 Articolo 34 modificato
8 Articolo 38 modificato
9 Articolo 40 modificato
10 Articolo 43 modificato
11 Articolo 43 bis inserito
12 Articolo 47 modificato
13 Citazione e inizio

TRUST (EMENDAMENTO n. 7) (JERSEY) LEGGE 2018

UNA LEGGE per modificare ulteriormente la legge Trusts (Jersey) 1984.

Adottato dagli Stati 22 marzo 2018
Sanzionato dall’ordine di Sua Maestà in Consiglio, il           23 maggio 2018
Registrato dalla Royal Court il 1 ° giugno 2018
GLI STATI , soggetta alla sanzione della Sua Eccelente Maestà in Consiglio, hanno adottato la seguente Legge –

1        Interpretazione n
In questa legge “legge principale” significa la legge Trusts (Jersey) 1984[1] .
2        Articolo 1 modificato
All’articolo 1, paragrafo 1, della legge principale, dopo la definizione “minore” è inserita la seguente definizione:
“‘Ufficiale’ significa –
(a)      nel caso di una fondazione, un membro del consiglio della fondazione;
(b)      nel caso di una società in accomandita semplice, un socio accomandatario o un socio accomandante che partecipa alla gestione della partnership;
(c)      nel caso di società di capitali diverse da quelle menzionate ai sottoparagrafi (a) e (b), un amministratore, dirigente, segretario o altro funzionario analogo della società;
(d)      nel caso di una società a responsabilità limitata, un partner;
(e)      nel caso di una società in accomandita semplice o di una società con personalità giuridica distinta, ad eccezione di una società a responsabilità limitata, un socio accomandatario o un socio accomandante che partecipa alla gestione della partnership; o
(f)      in ogni caso diverso da quelli menzionati nei sottoparagrafi (a), (b), (c), (d) ed (e), qualsiasi altra persona che pretende di agire in una delle capacità descritte in uno qualsiasi dei sottoparagrafi. (a), (b), (c), (d) ed (e); “.
3      Articolo 9 modificato
Nell’articolo 9 (2A) della legge principale, per la lettera (d) deve essere sostituito il seguente sottoparagrafo –
“(D)      non, nel determinare la capacità di una società o altra persona avente personalità giuridica, pregiudicare il riconoscimento della legge del suo luogo di costituzione o stabilimento, a seconda del caso;”.
4      Articolo 9 bis modificato
Nell’articolo 9A della legge principale –
(a)      al paragrafo (1) –
(i)      nella lettera (b) dopo la parola “qualsiasi” devono essere inserite le parole “o tutte”,
(ii)      dopo la parola “effetto” devono essere aggiunte le seguenti parole:
“E nel costruire i termini del trust, se il trust non è espresso come testamento o testamento o entrare in vigore dopo la morte del disponente, si presume che il trust abbia effetto immediato, salvo diversamente espresso “;
(b)      al paragrafo (2) –
(i)      per il sottoparagrafo (c) deve essere sostituito il seguente sottoparagrafo –
“(C)      di agire come, o dare indicazioni per la nomina o la rimozione di –
(i)      un funzionario di qualsiasi società, o
(ii)      un dirigente di una società a responsabilità limitata, una società in accomandita semplice o qualsiasi altra società con personalità giuridica separata,
in cui il trust detiene un interesse indipendentemente dal fatto che tale interesse nella società o nel partenariato sia interamente, parzialmente, direttamente o indirettamente detenuto dal trust; “,
(ii)      nella lettera (d) il termine “vincolante” è cancellato,
(iii)      alla lettera (e), dopo la parola “destra” devono essere inserite le parole “o chi agisce”;
(c)      dopo il paragrafo 3, è inserito il seguente paragrafo:
“(3A)      La prenotazione o la concessione da parte di un disponente di un trust di –
(a)      qualsiasi interesse beneficiario nella proprietà della fiducia; o
(b)      alcuni o tutti i poteri di cui al paragrafo (2),
non costituisce di per sé il disponente o la persona a cui è concesso il potere o l’interesse beneficiario, un fiduciario “.
5      Articolo 29 sostituito
Per l’articolo 29 della legge principale è sostituito il seguente articolo:
“29      Divulgazione
(1)      Soggetto a qualsiasi ordine del tribunale, i termini di un trust possono –
(a)      conferire a una persona il diritto di richiedere la divulgazione di informazioni o un documento relativo al trust;
(b)      determinare l’estensione del diritto di qualsiasi persona alle informazioni o un documento relativo al trust; o
(c)      imporre a un trustee un obbligo di divulgare informazioni o un documento riguardante il trust a qualsiasi persona.
(2)      Soggetto ai termini del trust e a qualsiasi ordine del tribunale –
(a)      un beneficiario con il trust non essendo un ente di beneficenza;
(b)      un ente di beneficenza che viene indicato per nome nei termini del trust come beneficiario del trust; o
(c)      un esecutore,
può chiedere la divulgazione da parte del trustee di documenti che si riferiscono o formano parte dei conti del trust.
(3)      Soggetto a qualsiasi ordine del tribunale, un trustee può rifiutarsi di rispettare –
(a)      una richiesta di divulgazione di informazioni o un documento relativo al trust ai sensi del paragrafo (1) (a) o qualsiasi documento che si riferisce o fa parte dei conti del trust ai sensi del paragrafo (2); o
(b)      qualsiasi altra richiesta di divulgazione di informazioni o un documento relativo al trust,
se il trustee nell’esercizio della sua discrezione è soddisfatto che è nell’interesse di uno o più beneficiari, o dei beneficiari nel loro complesso, rifiutare la richiesta.
(4)      Nonostante i paragrafi (1), (2) e (3), fatti salvi i termini del trust e qualsiasi ordine del tribunale, un trustee non è tenuto a rivelare a qualsiasi persona informazioni o documenti che –
(a)      divulga le deliberazioni del fiduciario in merito al modo in cui il trustee ha esercitato un potere o discrezione o ha eseguito un dovere conferito o imposto al fiduciario;
(b)      divulga il motivo di ogni particolare esercizio di potere o discrezionalità o esecuzione di un dovere di cui al sottoparagrafo (a), o il materiale su cui tale ragione deve o potrebbe essere stata basata; o
(c)      si riferisce all’esercizio o al proposto esercizio di un potere o potere discrezionale, o alla prestazione o alla prestazione proposta di un dovere, di cui al sottoparagrafo (a).
(5)      Nonostante i termini del trust, su richiesta del trustee, di un esecutore, di un beneficiario o, con permesso del tribunale, di qualsiasi altra persona, il tribunale può emettere un ordine che ritenga opportuno determinare la misura in cui qualsiasi persona può richiedere o ricevere informazioni o un documento relativo al trust, in generale o in ogni caso specifico. “.
6      Articolo 30 modificato
L’articolo 30, paragrafo 11, della legge principale è abrogato.
7      Articolo 34 modificato
All’articolo 34 della legge principale –
(a)      al paragrafo (1), per le parole “si dimette, si ritira o viene rimosso” devono essere sostituite le parole “si dimette, si ritira, viene rimosso o cessa di essere un trustee”;
(b)      per il paragrafo (2) deve essere sostituito il seguente paragrafo:
“(2)      L’articolo 43 A si applica quando un trustee si dimette, si ritira, viene rimosso o cessa di essere un trustee.”;
(c)      il paragrafo (2A) è abrogato;
(d)      al paragrafo (3) per le parole “si dimette, si ritira o viene rimosso” devono essere sostituite le parole “si dimette, si ritira, viene rimosso o cessa di essere un trustee”.
8      Articolo 38 modificato
All’articolo 38 della legge principale –
a)      per i paragrafi (1) e (2) devono essere sostituiti i seguenti paragrafi:
“(1)      Fatto salvo l’articolo 15, i termini di un trust possono essere diretti o autorizzati –
(a)      l’accumulazione, per qualsiasi periodo, di tutto o parte del reddito del trust e la sua aggiunta al capitale; o
(b)      la conservazione, per qualsiasi periodo, di tutto o parte del reddito del trust nel suo carattere di reddito.
(2)      Fatto salvo l’articolo 15, i termini di un trust possono dirigere o autorizzare la distribuzione di tutto o parte del reddito del trust e mentre la fiducia continua a esistere e per tanto tempo e nella misura in cui –
(a)      il reddito del trust non è distribuito o richiesto per essere distribuito secondo i termini del trust;
(b)      non vi è fiducia nell’accumulare reddito e aggiungerlo al capitale, né nel mantenere introiti come carattere di reddito; e
(c)      non è esercitato il potere di accumulare reddito e di aggiungerlo al capitale, né di conservare reddito nel suo carattere di reddito,
il reddito del trust deve essere mantenuto come carattere di reddito.
(2A)      Fatti salvi i termini del trust, mentre il trust continua ad esistere, non ci deve essere un periodo di tempo entro il quale un potere di accumulare reddito e di aggiungerlo al capitale, di conservare reddito nel suo carattere di reddito o di distribuire reddito deve essere esercitato. “;
(b)      al paragrafo (3) (A) dopo il termine “beneficiario” devono essere inserite le parole “e aggiungerle al capitale o conservarle nel suo carattere di reddito”;
(c)      al paragrafo (5), per la parola “parte” devono essere sostituite le parole “tutto o parte”;
(d)      al paragrafo (6), per le parole “Qualsiasi parte” deve essere sostituita la parola “Tutti”;
(e)      al paragrafo (7), per le parole “Nessuna parte del trust” deve essere sostituita la parola “Trust” e dopo la parola “deve” deve essere inserita la parola “not”.
9      Articolo 40 modificato
All’articolo 40 della legge principale, dopo il paragrafo (5) è inserito il seguente paragrafo:
“(6)      In deroga ai paragrafi (3) e (4), le mele di cui all’articolo 43A in cui un trust è revocato in tutto o in parte.”.
10      Articolo 43 modificato
All’articolo 43 della legge principale, per il paragrafo (2) deve essere sostituito il seguente paragrafo:
“(2)      In deroga al paragrafo (1), l’articolo 43A si applica alla cessazione di un trust.”.
11      Articolo 43 bis inserito
Dopo l’articolo 43 della legge principale, sono inseriti i seguenti titoli e articoli:
“Sicurezza

43A      Sicurezza
(1)      Un trustee –
(a)      chi –
(i)      si dimette, si ritira, viene rimosso o cessa di essere un trustee, o
(ii)      distribuisce la proprietà di fiducia; o
(b)      di un trust che è stato risolto o revocato in tutto o in parte,
può, prima di distribuire o cedere proprietà fiduciarie, a seconda del caso, richiedere di fornire una ragionevole sicurezza per le passività, esistenti, future, contingenti o di altro tipo.
(2)      Laddove la sicurezza richiesta per essere fornita ai sensi del paragrafo (1) sia sotto forma di indennità, l’indennità può essere fornita in relazione a:
(a)      il trustee o una persona impegnata nella gestione o amministrazione del trust per conto del trustee;
(b)      uno o tutti i presenti, futuri o ex funzionari e dipendenti del fiduciario o della persona impegnata nella gestione o amministrazione del trust per conto del trustee; e
(c)      i rispettivi successori, eredi, rappresentanti personali o beni delle persone di cui alle lettere (a) e (b) e qualsiasi persona nei confronti della quale l’indennità è fornita ai sensi del presente paragrafo può far valere i termini dell’indennità in modo autonomo (indipendentemente dal fatto che siano parti del contratto o di altri accordi che prevedono l’indennità).
(3)      Se un’indennità cui si riferisce il paragrafo (2) è prorogata o rinnovata da un contratto o da un altro accordo e tale contratto o altro accordo prevede un’indennità nei confronti di una delle persone di cui al paragrafo (2), tale persona può far valere i termini del risarcimento di per sé (indipendentemente dal fatto che siano o meno parti di quel contratto o altro accordo ) “.
12      Articolo 47 modificato
All’articolo 47 della legge principale –
a)      dopo il paragrafo 1, lettera b), sono inseriti i seguenti sottoparagrafi:
“(Ba)   qualsiasi persona, se il tribunale è convinto che nonostante uno sforzo ragionevole per trovare tale persona, la persona non può essere trovata;
(bb)     qualsiasi persona, se il tribunale è convinto che la persona rientra in una classe di beneficiari e che a causa del numero di persone che rientrano in tale classe, è irragionevole per la persona da contattare; “;
(b)      al paragrafo (2), per le parole “o (c)” devono essere sostituite le parole “, (ba), (bb) o (c)”.
13      Citazione e inizio
Questa legge può essere citata come Legge sui trust (emendamento n. 7) (Jersey) 2018 e entrerà in vigore 7 giorni dopo la registrazione.

 

Più info qui >>> https://dirittiumaniblog.wordpress.com/2016/07/06/legale-rappresentanza-e-un-living-trust/

 

● Cos’è il Trust?

La figura del Trust è un’immensa novità nel panorama giuridico italiano come in tutti quei sistemi che hanno le loro radici nel Diritto Romano (il cd. ceppo Romano-germanico ). In Italia tale sistema è stato ufficialmente introdotto dalla legge 364/89, entrata in vigore dal 1° gennaio 1992, non da ieri, quindi. Questa legge altro non è che la ratifica “sic et simpliciter” della Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile al Trust avvenuta il 1°luglio 1985.

Il Trust, tuttavia, è un istituto giuridico che viene applicato nei paesi di common law (Inghilterra prima fra tutti) già da oltre cinque secoli. Ma allora perché una figura così importante altrove ci ha messo tanto tempo prima di entrare ufficialmente nel nostro ordinamento e, comunque, ce ne metterà ancora molto per entrare nella prassi privatistica del nostro Paese? La risposta è semplice. I due grandi sistemi civili (common law e civil law) sono profondamente diversi fra loro e i presupposti per l’applicabilità o meno degli istituti tipici dell’uno all’interno dell’altro sono diversi fin dalle più profonde radici.

Infatti il nostro civil law, ad esempio, basa il concetto di proprietà come un monolito inscalfibile ed assoluto,  lo si può frazionare – sulla carta – ma alla fine, magari dopo decenni, esso torna tale e quale come era prima. Il suo magnetismo è assoluto. Da noi un bene, soprattutto immobile, può fare tutti i giri che vuole, può essere locato, affittato, dato in usufrutto, in gestione e altro, ma “il proprietario” c’è sempre, una persona o un’entità è sempre individuabile ed individuato. Potremmo definirlo come un cane legato ad uno di quei guinzagli che si accorciano e allungano a piacere, basta premere un pulsante e il cane, volente o nolente, torna vicino al suo padrone.

Così non è per il Trust. In esso non esiste la figura della proprietà o del proprietario dei beni… Esiste la figura del bene (mobile, immobile o quant’altro) di colui che lo cede in gestione, di colui che lo gestisce, e di colui che trae i benefici della gestione.

Le figure sono in genere tre (ma possono essere anche meno o più, a seconda della giurisdizione che regola il trust).

Il primo è il cd. Settlor, o meglio, il disponente. Questa persona è quello che prima aveva in proprietà (come la intendiamo noi) il bene che viene ceduto al Trust. Questi nomina una persona (o entità) terza cd. Trustee (gestore) il quale ha la gestione del bene contenuto nel Trust. Questi ha la piena facoltà di gestire i beni (ufficialmente) come meglio crede, può venderli e con i soldi acquistare altri beni, può affittarli, insomma può fare (sempre ufficialmente) di tutto senza che il disponente possa dire A sugli atti che il gestore compie. Ma il bello è che il gestore non è neanche lui proprietario (come lo intendiamo noi) del bene. Terza figura è quella del (o dei ) cd. Beneficiary (beneficiario). In genere è la figura più comoda perché gode dei benefici della gestione del trustee, si può dire che campa di rendita.

A questo punto giova un esempio pratico:il disponente cede in Trust un suo appartamento, nomina un gestore, che può essere il cognato, e nomina altresì come beneficiaria la moglie. Il gestore decide che per far fruttare al meglio l’appartamento conviene affittarlo;L’affitto, quando percepito, viene versato alla moglie beneficiaria.Chiaramente la somma viene decurtata delle spese e delle tasse che l’appartamento richiede e queste possono essere, e in genere è così, addebitate al Trust. In tutto ciò il disponente (in via ufficiale) non ha voce in capitolo. 
In altre parole, il bene ceduto in Trust non è di nessuno, è un bene che “galleggia” senza essere attraccato in nessun porto.

Altro esempio: viene conferita in Trust una somma di denaro, il trustee quei soldi può investirli in un fondo comune, può comprarci immobili, automobili, noccioline, può acquistare direttamente partecipazioni societarie essendo il gestore di “un qualcosa” (Trust) che può nominare membri di consigli di amministrazione ecc. ecc.

Prima obiezione (fra le tante) che vengono mosse da chi è ancorato saldamente al nostro ordinamento romanistico: “ma se io trasferisco i miei beni al Trust, come faccio a controllare il Trustee affinché non faccia stupidaggini con quello che prima era mio?” Domanda legittima e pregnante. Ecco che entrano in gioco una serie di accorgimenti pratici.

  1. il disponente può nominare uno o più cd. Protector (controllori) i quali hanno il compito, appunto, di controllare che la gestione sia conforme a ciò che da noi si chiama “la diligenza del buon padre di famiglia”, ma attenzione, questo non può avere un potere di veto così forte da limitare le scelte del gestore, altrimenti il Trust non è più tale e quindi considerato nullo in tutte le sue parti;
  2. Il disponente, in genere, parallelamente all’atto che istituisce il Trust, consegna al gestore una cd. letter of wishes (lettera dei desideri), la quale ufficialmente non può esistere e non esiste, ma c’è, dove il disponente “invita” il trustee a gestire secondo certe direttive ivi indicate;
  3. la tutela giurisdizionale. Il Trustee è comunque obbligato a gestire i beni secondo il criterio del buon padre di famiglia, quindi se il disponente, il beneficiario o il controllore si accorgono che il gestore non segue certi canoni e obbiettivamente guida i beni verso una direzione di sicuro disfacimento degli stessi, possono ricorrere al giudice affinché questo “torni sulla retta via” tramite i poteri affidati dalla legge ai giudici e, contestualmente, condanni il gestore al risarcimento dei danni prodotti dalla sua malagestio.

In genere, però, se un gestore vuole fare il furbo può farlo, ma non di più o di meno di un promotore finanziario, un assicuratore o un commercialista che per lavoro maneggia i nostri soldi. Il problema è quindi di fiducia nei confronti del gestore che deve essere persona (o entità) seria e professionale.

Per concludere, distinguiamo il cd. Trust interno dal Trust estero

Il primo è costituito in Italia, anche se regolato da una legge che il disponente può scegliere (legge inglese o piuttosto quella delle Bahamas, British Virgin Islands, Panama o altra giurisdizione estera).

Il secondo è costituito all’estero, anche se comprendente beni siti in Italia.

In un’ottica di Tax optimization il Trust estero è preferibile in quanto in Italia la legislazione fiscale è molto severa e capillare.

I trust interni possono essere usati sia a fini ereditari sia a fini di assets allocation and managment sfruttando la non titolarità dei beni in capo ad alcuno. Può essere comodo per evitare incursioni di creditori o curatori fallimentari, il tutto, naturalmente, deve essere conforme a quanto prescrivono le leggi in materia.

Il trust è come un vestito di alta sartoria, non ce ne è uno uguale all’altro, ognuno deve e può legittimamente essere fatto su misura, in funzione delle occasioni per cui s’intende sfruttarlo.

Più info qui >>> https://dirittiumaniblog.wordpress.com/2017/06/19/trust-apro-e-chiudo-una-parentesi-nel-diritto-positivo/

IL TRUST, APPLICAZIONI PRATICHE

Trust e individuo/famiglia
• BLIND TRUST: per risolvere il problema del conflitto di interesse
potenziale in capo a soggetti con patrimonio e che assumono cariche
pubbliche.
Settlor =Beneficiario – Assoluta indipendenza del trustee – Durata
legata alla scadenza del mandato – Comitato di sorveglianza

• TRUST TESTAMENTARIO: il trustee può assolvere agli stessi
obblighi dell’esecutore testamentario con maggiore libertà (no vincoli
durata 1+1, libertà di vendere i beni, volontà defunto e non eredi).

• TRUST E MATRIMONIO: per regolare i rapporti patrimoniali trai
coniugi (patti prematrimoniali, separazione dei beni, fondo
patrimoniale) e situazioni di crisi matrimoniale

Fondo patrimoniale: trasferimento da parte di un coniuge o dei 2
coniugi di alcuni beni ad un fondo per soddisfare i bisogni della
famiglia (167-171 C.C.). Costituzione con atto pubblico e
amministrazione del fondo in comunione legale con vincoli su alcuni
atti dispositivi (specie in presenza di minori).

Elementi comuni:
 effetto segregativo,
 negozio giuridico unilaterale,
 oggetto non sono i beni ma il vincolo di destinazione sui diritti

Elementi differenzianti:
 non solo coniugi,
 anche beni per i quali non è prevista pubblicità (immobili, mobili
registrati, titoli di credito nominativi),
 durata non limitata al matrimonio o all’età dei figli,
 segregazione per l’eccedenza dei bisogni familiari,
 minori oneri di forma e pubblicità,
 non contitolarità dei diritti,
 maggiore flessibilità amministrativa,
 no autorizzazione giudice per alienazione beni se figli minori,
 esecuzione sui frutti e sui beni da parte dei creditori per obbligazioni
assunte per scopi estranei ai bisogni della famiglia,
 vincolo coniugale labile,
 spesso mancato raggiungimento obiettivo.

• TRUST E PROTEZIONE DEL PATRIMONIO (APT – Asset protection
trust)

Proteggere il proprio patrimonio dai creditori futuri su affari ancora da
realizzare.

Il disponente, al momento della costituzione del trust, deve essere
solvibile nei confronti dei creditori esistenti.

L’azione revocatoria ordinaria (2901 C.C.) prevede l’eventus damni
(idoneità dell’atto ad arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore) e la
consilium fraudis (il creditore deve provare il consilium fraudis del
debitore)

Spendthrift trust: vincolo di impignorabilità del credito del
beneficiario.

Ordinanza della Corte di Cassazione n. 20254 del 19/11/2012

• TRUST E PROTEZIONE SOGGETTI DEBOLI:

per garantire l’assistenza a soggetti deboli in caso non possano essere
assistiti direttamente dai familiari. Solitamente si individua un protector
che controlli l’operato del trustee e l’eventuale residuo al termine della
vita del disabile può venire assegnato ad altri familiari o a enti benefici.
Vantaggi rispetto all’amministratore di sostegno L.6/2004.
Trust collettivo nell’interesse dei beneficiari mediante comparti.

• TRUST E TUTELA ANIMALI DOMESTICI:

trust di scopo per garantire l’assistenza ad animali domestici a cui si è
particolarmente affezionati in caso di morte del proprietario. Honorary
trust (beneficiari vigilano su trustee) Statutory Pet Trust (protector che
controlla il trustee ma fondo non eccessivo) Traditional Legal Trust
(benficiario curatore e trustee controllore).

• TRUST E MANTENIMENTO MONUMENTO SEPOLCRALE O
CELEBRAZIONE DI MESSE:
per garantire post morte il mantenimento e la conservazione delle
tombe o per garantire la celebrazione di messe (in Italia per esempio
un lascito alla Chiesa cattolica vincolato alla celebrazione di una messa
perpetua in realtà dura al massimo 14 anni decorsi i quali la Chiesa non
ha più obblighi)

• TRUST PER LA GESTIONE DI OPERE D’ARTE
per mantenere l’unitarietà della collezione di opere d’arte
provenienti da differenti soggetti o per evitare la loro suddivisioni a
seguito di morte del proprietario. Differenza con fondazione.

STRUMENTI ALTERNATIVI

• PATTI DI FAMIGLIA
• SOCIETA’ SEMPLICI
• SOCIETA’ HOLDING
• FONDO PATRIMONIALE FAMILIARE

NESSUNO DEGLI STRUMENTI ALTERNATIVI MENZIONATI, TUTTAVIA, PRESENTA LA
MEDESIME CARATTERISTICHE E PERMETTE LA STESSA FLESSIBILITA’ DEL TRUST!

● Diritti umani: spettano a tutti, anche a te e me

carta dudu

Sono diritti universali ed irrinuciabili. I diritti umani sono una categoria di diritti che spessissimo è citata ed utilizzata, perfino impropriamente, senza averne compreso appieno il profondo significato. È l’insieme di diritti, disposizioni di legge e libertà fondamentali che spettano all’individuo solo per il fatto di esistere. Riguardano tutti, ma proprio tutti, anche te e me. Semplice, no?

Costituiscono un patrimonio non alienabile, non trasferibile, di ogni uomo, avendo ad oggetto diritti e libertà che permettono alla persona di esprimersi e svilupparsi al pieno delle proprie potenzialità, in una prospettiva di libertà e possibilità di realizzazione personale non ostacolata da non consentite e restrittive limitazioni.

Il riconoscimento di tali diritti permette quindi all’uomo, inteso in generale quale individuo – senza distinzioni di etnia, sesso, età, religione o orientamento sessuale – di poter condurre una esistenza dignitosa e libera, sviluppando armonicamente la propria personalità e le proprie aspirazioni, nel rispetto degli altri e degli ordinamenti giuridici nei quali si muove.

I diritti umani, in linea di principio, sono dotati delle maggiori garanzie di tutela da parte del sistema giuridico, nazionale ed internazionale, in quanto diritti universali, e sono diritti naturali, cioè riconosciuti a tutti dalla nascita, senza che debbano essere acquistati o ricevuti da chicchessia: i diritti umani non sono forse quei diritti che l’uomo ha per il solo fatto della sua umanità? E, se è così, allora non si può negare che siano diritti naturali a tutti gli effetti. La loro universalità, vale a dire il fatto che siano riconosciuti a tutti, comporta che siano diritti fondamentali, non trasmissibili ad altri né cedibili, e dunque irrinunciabili, nonché indivisibili (cioè non separabili).

L’esemplificazione dei diritti umani è rinvenibile nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato quale «ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione».

 

I diritti umani: quali sono

I diritti umani includono i diritti di natura civile e politica, quelli di natura economica, sociale e culturale, e da ultimo i diritti di terza generazione, che annoverano i diritti di solidarietà ed autodeterminazione dei popoli.

Volendo esemplificare alcuni di quelli elencati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, senza pretendere di volerli citare tutti (specialmente per il fatto che la loro esistenza non è legata ad un numero chiuso, ben potendosi riconoscere ulteriori diritti e libertà fondamentali), sono ricompresi nella categoria dei diritti umani i seguenti diritti e libertà:

  • diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona, con divieto dello stato di schiavitù, servitù o di tortura;
  • diritto al riconoscimento della propria personalità giuridica;
  • diritto ad una eguale tutela da parte della legge e ad un’effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali;
  • libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato e diritto ad una cittadinanza;
  • diritto di sposarsi e di fondare una famiglia;
  • diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, di opinione e di espressione;
  • diritto di proprietà;
  • libertà di riunione e di associazione pacifica;
  • diritto all’istruzione, alla sicurezza sociale ed al lavoro (comprensivo del diritto al riposo ed allo svago);
  • diritto di partecipare al governo del proprio paese, nonchè diritto di accedere – in condizioni di eguaglianza – ai pubblici impieghi del proprio paese;
  • diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di poter partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.

L’articolo 1 della Dichiarazione Universale, con efficacissima formulazione, contiene una norma che, aldilà delle definizioni di legge, è un vero e proprio proclama: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».

 

I diritti umani: C.E.D.U. – Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Nonostante l’immenso valore sociale della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, tale atto non ha valore di legge, per cui il suo non essere vincolante per gli stati ha comportato che successivamente fosse necessario garantire la protezione dei diritti umani attraverso apposite normative sovranazionali, volte a tutelare i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo.

In Europa è stata emanata a Nizza, nel 2000, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.), che comprende e riconosce la protezione di numerosi diritti umani, fra i quali quelli alla

  • dignità umana ed alla vita,
  • all’integrità della persona (con divieto di tortura, di schiavitù e di pene o trattamenti inumani o degradanti),
  • i diritti alla libertà,
  • sicurezza,
  • rispetto della vita familiare e privata
  • nonché le libertà fondamentali, quali la libertà di pensiero, di espressione, di riunione ed associazione, di religione.

Per garantire il rispetto dei diritti umani ed assicurare che venga fatta giustizia nelle ipotesi di loro violazione, è stata istituita apposita corte a Strasburgo, chiamata a risolvere specificatamente i casi di violazione dei diritti umani sottoposti alla sua attenzione.

 

Per potersi rivolgere alla Corte E.D.U.

tuttavia, è necessario aver cercato di ottenere tutela per la propria situazione giuridica presso le corti del proprio stato europeo di appartenenza: soltanto dopo aver ricorso alla tutela giurisdizionale nel proprio paese infatti, e non aver ottenuto il riconoscimento di quanto chiesto, sarà possibile presentare ricorso alla corte europea dei diritti dell’uomo.

Scarica il ricorso alla CEDU (file Pdf)

 

 

La D.U.D.U. commentata dal Prof. Antonio Papisca >>> 
http://unipd-centrodirittiumani.it/it/dossier/la-dichiarazione-universale-dei-diritti-umani-commentata-dal-prof-antonio-papisca/3

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● Chi è il peccatore?

Parliamo dell’attuale moneta a debito, privata. C’è consenso, perfino da parte del mainstream: l’Eurozona era in una crisi di bilancia dei pagamenti, non di debito pubblico. Gli anni scorsi si è sostenuto d’essere in una crisi fiscale dovuta (falsamente) agli elevati debiti pubblici e si sponsorizzava la cosiddetta austerità espansiva, il rimedio proposto ed attuato da Monti, il killer bocconiano. Molti sanno invece che nelle AVO i tassi di cambio fissi scatenano l’indebitamento dei paesi periferici e la conseguente trappola della povertà, così come è sempre accaduto nella storia economica. In realtà, a indebitarsi pericolosamente in primis sono le banche, cioè i privati, e quando scoppia la crisi del debito (poiché gli stranieri non rinnovano più i crediti) gli Stati, tramite le imposte, soccorrono gli istituti di credito necessitati dal ripianamento (forse a dimostrazione che in realtà, la tanto vituperata ed ostacolata crescita del settore statale è indispensabile all’espansione dell’iniziativa privata) fatalmente determinando la crisi fiscale e quindi l’esplosione del debito sovrano… Irlanda e Spagna sono gli esempi più tipici. La Grecia fu uno Stato malignamente coccolato dai tedeschi (parzialmente anche dai francesi e poco dagli italiani) portato ad indebitarsi oltre misura, con i risultati che conosciamo. La ragione di questa vicenda è del tutto il mercantilismo industriale tedesco che, sostenendo la periferia attraverso discutibili soluzioni di finanza creditizia, aveva “pompato” artificiosamente all’estero, in particolare in Grecia, gli acquisti dei propri beni. Furbi, eh? Forse. Questi processi erano benedetti da molti economisti autorevoli, primi fra tutti Blanchard e Giavazzi, già nel 2002. Dunque la crisi non è dei debiti sovrani (pubblici) come si vuole far credere, ma è originata da questioni di bilancia commerciale, vale a dire dai debiti esteri (privati) indotti dal malevolo credito facile.


Ora due domande:

secondo te, umanamente, chi è il peccatore? È più carogna il debole acquirente/compratore oppure il potente venditore che invoglia e trascina in errore?

 

● Diritti incomprimibili

La Corte Costituzionale con la sentenza n.275/2016, in merito ad una controversia tra Regione Abruzzo e Provincia di Pescara per quanto concerne il servizio di trasporto scolastico dei disabili, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che le garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere condizionato da motivi di bilancio. Nella fattispecie, la Regione Abruzzo aveva negato in parte il finanziamento del 50% per il servizio trasporto degli studenti disabili alla Provincia di Pescara, in quanto l’articolo 6 comma 2-bis della legge regionale n.78 del 1978, aggiunto all’art.88 comma 4 del 2004, prevede l’erogazione “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”.

Nella dichiarazione di illegittimità della suddetta legge, la Consulta scrive:

“11.− Non può nemmeno essere condiviso l’argomento secondo cui, ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l’art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria. A parte il fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’ Art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione.”.

La sentenza conferma ciò che da anni economisti e giuristi affermano: la costituzionalizzazione (Governo Monti) del dogma liberista del pareggio di bilancio, e l’approvazione dei Trattati di Maastricht e Lisbona, si pongono in antitesi con i diritti fondamentali della nostra Carta costituzionale che pone l’economia al servizio dell’interesse pubblico.

Dopo la schiacciante vittoria del NO al Referendum, e alla luce della sentenza della Corte, le forze politiche che si sono battute per salvare la Costituzione dalla “deforma” Boschi-Renzi-Napolitano, dovrebbero iniziare una seria battaglia parlamentare al fine di abrogare l’attuale articolo 81.

Solo così, la Costituzione potrà ritornare a garantire integralmente i diritti sociali del popolo italiano.

 

Testo della sentenza >>>

 

SENTENZA  N. 275
ANNO 2016
 
Commenti alla decisione di
  1. Adriana Apostoli,I diritti fondamentali “visti” da vicino dal giudice amministrativo Una annotazione a “caldo” della sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 2016,per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
 
  1. ErikFurno,Pareggio di bilancio e diritti sociali: la ridefinizione dei confini nella recente giurisprudenza costituzionale in tema di diritto all’istruzione dei disabili, in questa RivistaStudi2017/I
 
III. Lorenzo Madau, “È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”, per g.c.dell’Osservatorio AIC
 
  1. Andrea Longo,Una concezione del bilancio costituzionalmente orientata: prime riflessioni sulla sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 2016, perg.c. di Federalismi.it
 
 
V. Riccardo Cabazzi, Diritti incomprimibili degli studenti con disabilità ed equilibrio di bilancio nella finanza locale secondo la sent. della Corte costituzionale n. 275/2016, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
–           Paolo                           GROSSI                                           Presidente
–           Alessandro                  CRISCUOLO                                     Giudice
–           Giorgio                        LATTANZI                                              ”
–           Aldo                            CAROSI                                                   ”
–           Marta                           CARTABIA                                             ”
–           Mario Rosario              MORELLI                                                ”
–           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”
–           Giuliano                       AMATO                                                   ”
–           Silvana                         SCIARRA                                                ”
–           Daria                            de PRETIS                                               ”
–           Nicolò                          ZANON                                                   ”
–           Franco                         MODUGNO                                            ”
–           Augusto Antonio        BARBERA                                              ”
–           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, della legge della Regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 (Interventi per l’attuazione del diritto allo studio), aggiunto dall’art. 88, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 26 aprile 2004, n. 15, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, nel procedimento vertente tra la Provincia di Pescara e la Regione Abruzzo, con ordinanza del 19 marzo 2014, iscritta al n. 123 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
udito l’avvocato Fabio Francesco Franco per la Regione Abruzzo.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza del 19 marzo 2014, il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, della legge della Regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 (Interventi per l’attuazione del diritto allo studio), aggiunto dall’art. 88, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 26 aprile 2004, n. 15, recante: «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)», nella parte in cui prevede che, per gli interventi di cui dall’art. 5-bis della legge regionale n. 78 del 1978, la Giunta regionale garantisce un contributo del 50% della spesa necessaria e documentata dalle Province solo «nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa».
2.− Espone il giudice a quo di essere investito della domanda con cui la Provincia di Pescara ha chiesto il pagamento del contributo, pari al 50%, delle spese necessarie e documentate per lo svolgimento dei servizi di cui all’art. 5-bis della legge della Regione Abruzzo n. 78 del 1978, in particolare del servizio di trasporto degli studenti disabili, riferite alle annualità 2006-2012. Sulla base della citata norma, la Provincia aveva approvato e trasmesso annualmente alla Regione i piani degli interventi, relazionando per ciascun anno sulle spese sostenute e sulle attività svolte. A fronte di ciò la Regione aveva erogato, per le varie annualità, finanziamenti per somme inferiori a quelle documentate dalla Provincia con una differenza pari ad euro 1.775.968,04. Il mancato finanziamento del 50% delle spese effettuate avrebbe determinato nel tempo un indebitamento tale da comportare una drastica riduzione dei servizi per gli studenti disabili, compromettendo l’erogazione dell’assistenza specialistica e dei servizi di trasporto.
3.− La Regione non ha contestato l’ammontare degli importi spesi dall’amministrazione provinciale, tuttavia ha eccepito che, in virtù dell’art. 6, comma 2-bis, della legge regionale censurata, il proprio obbligo di corrispondere il 50% delle suddette spese trova un limite nelle disponibilità finanziarie di bilancio.
4.− In via preliminare sull’ammissibilità del ricorso amministrativo, il rimettente rappresenta che l’adempimento degli obblighi patrimoniali in contestazione riguarderebbe i limiti della provvista finanziaria necessaria allo svolgimento del servizio pubblico e, quindi, i profili organizzativi di esso, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo; la mancata tempestiva impugnazione degli atti di stanziamento e di pagamento emessi dalla Regione non sarebbero di ostacolo alla decisione, poiché tali atti costituirebbero meri dinieghi o riconoscimenti di debito, non preclusivi dell’accertamento giurisdizionale della misura dell’obbligazione dedotta.
5.− In ordine alla non manifesta infondatezza, il TAR dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, della legge della Regione Abruzzo n. 78 del 1978, in riferimento all’art. 10 Cost., in relazione all’art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18, e all’art. 38 Cost., che assicurano il diritto allo studio delle persone con disabilità, poiché l’effettività di tale diritto risulterebbe pregiudicata dal condizionamento dell’erogazione del contributo, al trasporto degli studenti disabili, alle disponibilità finanziarie, di volta in volta, determinate dalle leggi di bilancio.
6.− In particolare il giudice a quo ritiene che la scelta di prevedere un cofinanziamento regionale del servizio di trasporto e assistenza ai disabili denuncia la necessità di esso, deducendosi da ciò che le Province non sarebbero, evidentemente, in grado di far fronte alle esigenze del servizio in maniera autonoma. Tuttavia, la norma censurata darebbe immotivata e non proporzionata prevalenza alle esigenze di equilibrio di bilancio e non assicurerebbe una adeguata, stabile e certa tutela al diritto all’educazione e all’istruzione degli alunni affetti da grave disabilità, che necessitano del trasporto per la frequenza scolastica.
7.− Rileva, in proposito, il giudice a quo che, una volta assunta la decisione di contribuire al servizio, la determinazione della misura del finanziamento non potrebbe essere rimessa alle mere decisioni dell’amministrazione regionale, poiché ciò trasformerebbe l’onere della Regione in una posta aleatoria ed incerta, la cui entità, in mancanza di limiti predeterminati dalla legge, potrebbe essere arbitrariamente ridotta, per finanziare beni ed interessi che non godono di tutela piena ed incondizionata al pari del diritto allo studio del disabile, con conseguente sacrificio della sua effettività.
8.− Prosegue il rimettente che il rilievo costituzionale di tale diritto costituisce un limite invalicabile all’intervento discrezionale del legislatore, così che il nucleo di garanzie minime per renderlo effettivo dovrebbe essere assicurato al di là di ogni esigenza di bilancio, garantendosi certezza, stabilità e obbligatorietà del finanziamento.
9.− Viceversa l’inciso «nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio», contenuto nell’art. 6, comma 2-bis, della legge della Regione Abruzzo n. 78 del 1978, legittimerebbe una decisione arbitraria della Regione di coprire in modo discontinuo i costi del servizio, gestito in conformità del piano previsto dall’art. 6 della medesima legge.
10.− In tal modo, il godimento del diritto allo studio degli studenti disabili, tutelato dalla Costituzione, sarebbe rimesso ad arbitrari stanziamenti di bilancio di anno in anno decisi dall’ente territoriale e, nella fattispecie, dalla norma censurata. Quest’ultima considererebbe le spese per i contributi alle Province per il servizio di trasporto degli alunni disabili come spese non obbligatorie, cosicché i contributi regionali per il trasporto dei disabili potrebbero essere ridotti già nella fase amministrativa di formazione delle unità previsionali di base, senza che di ciò vi sia alcuna evidenza o limite a garanzia dell’effettivo godimento dei diritti costituzionalmente garantiti.
11.− Il finanziamento del servizio potrebbe essere ridotto in modo repentino e incontrollato, di anno in anno, rendendo del tutto variabile ed inattendibile la continuità e la pianificazione dell’organizzazione dello stesso da parte delle Province, con inevitabili ripercussioni sulle famiglie e sulla possibilità di queste di poter assicurare la frequenza scolastica ai propri figli.
12.− In ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo segnala che, non essendo contestata tra le parti del giudizio a quo l’entità delle somme spese per l’erogazione del servizio, la pretesa della ricorrente Provincia in tale giudizio troverebbe il fondamento nella parte della disposizione impugnata che regola la copertura della spesa complessiva (successivamente limitata dalla clausola di salvaguardia che consente alla Regione di dimensionare ad libitum la propria quota di copertura); pertanto, la questione di costituzionalità sarebbe pregiudiziale alla definizione della suddetta pretesa.
13.− Si è costituita la Regione Abruzzo contestando la fondatezza della questione poiché, ai sensi dell’art. 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione degli alunni disabili, tra cui è compreso il servizio di trasporto dall’abitazione alla sede scolastica, è di competenza della Provincia e la Regione non ha alcun obbligo di illimitata compartecipazione ai costi necessari al suo svolgimento.
14.− In ogni caso, la difesa regionale rappresenta che l’effettività del diritto allo studio del disabile deve essere bilanciato con altri diritti costituzionalmente rilevanti e, in particolare, con il principio di copertura finanziaria e di equilibrio della finanza pubblica, di cui all’art. 81 Cost.; che il limite della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio «costituirebbe una legittima scelta fra prestazioni essenziali, gratuite, e non essenziali, eseguibili dietro pagamento di un contributo, da effettuarsi in relazione alle finalità perseguite, ed alle esigenze dell’utenza di base»; che la possibilità di accedere ad una interpretazione costituzionalmente conforme della normativa censurata e il suo mancato esperimento da parte del giudice a quo, comporterebbero l’inammissibilità della questione; e, infine, che la determinazione della misura del contributo da parte della Regione non sarebbe arbitraria, poiché essa viene effettuata sulla scorta dei piani preventivi di intervento per il diritto allo studio dei disabili, predisposti dalla stessa Provincia, sulla base delle necessità riscontrate nell’anno scolastico in corso e di quelle dichiarate dal genitore dello studente che si iscrive alla scuola secondaria superiore.
Considerato in diritto
l.− Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimento all’art. 10 − in relazione all’art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18 − e all’art. 38 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, della legge della Regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 (Interventi per l’attuazione del diritto allo studio), aggiunto dall’art. 88, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 26 aprile 2004, n. 15, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)», nella parte in cui prevede, per gli interventi previsti dall’art. 5-bis della medesima legge e, in particolare, per lo svolgimento del servizio di trasporto degli studenti portatori di handicap o di situazioni di svantaggio, che la Giunta regionale garantisce un contributo del 50% della spesa necessaria e documentata dalle Province solo «nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa».
2.− Il giudice a quo ritiene che il condizionamento dell’erogazione del contributo alle disponibilità finanziarie, di volta in volta determinate dalla legge di bilancio, trasformi l’onere della Regione in una posta aleatoria e incerta, totalmente rimessa alle scelte finanziarie dell’ente, con il rischio che esse divengano arbitrarie, in difetto di limiti predeterminati dalla legge, risolvendosi nella illegittima compressione del diritto allo studio del disabile, la cui effettività non potrebbe essere finanziariamente condizionata.
3.− In via preliminare, occorre premettere che non incide sulla rilevanza della questione sollevata, l’avvenuto trasferimento ai Comuni delle funzioni amministrative già attribuite, conferite o comunque esercitate dalle Province (tra le quali quelle in materia di assistenza scolastica e diritto allo studio), per effetto della sopravvenuta legge della Regione Abruzzo 20 ottobre 2015, n. 32, (Disposizioni per il riordino delle funzioni amministrative delle Province in attuazione della legge n. 56/2014), in attuazione alla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni).
3.1.− In proposito, infatti, va rilevato che, nel giudizio a quo, la Provincia di Pescara ha agito per vedersi corrispondere il contributo del 50% per il servizio di trasporto per i disabili svolto tra il 2006 ed il 2012, che resta regolato dalla normativa antecedente al riordino operato dalla legge reg. Abruzzo n. 32 del 2015.
3.2.− Pertanto, poiché la Regione non ha contestato le spese sostenute dalla Provincia, ma ha determinato l’entità effettiva del proprio contributo, in misura inferiore al 50% di esse, facendo applicazione dell’art. 6, comma 2-bis, della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978, che integra il presupposto autorizzatorio della spesa iscritta in bilancio, la questione di legittimità costituzionale di tale norma è pregiudiziale alla decisione da adottare nel giudizio a quo.
4.− Nel merito la questione è fondata.
Il diritto all’istruzione del disabile è consacrato nell’art. 38 Cost., e spetta al legislatore predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione di esso, affinché la sua affermazione non si traduca in una mera previsione programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale.
5.− La natura fondamentale del diritto, che è tutelato anche a livello internazionale dall’art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18, impone alla discrezionalità del legislatore un limite invalicabile nel «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (sentenza n. 80 del 2010), tra le quali rientra il servizio di trasporto scolastico e di assistenza poiché, per lo studente disabile, esso costituisce una componente essenziale ad assicurare l’effettività del medesimo diritto.
6.− Nella specie il legislatore regionale si è assunto l’onere di concorrere, al fine di garantire l’attuazione del diritto, alla relativa spesa, ma una previsione che lasci incerta nell’an e nel quantum la misura della contribuzione, la rende aleatoria, traducendosi negativamente sulla possibilità di programmare il servizio e di garantirne l’effettività, in base alle esigenze presenti sul territorio.
7.− Si deve ritenere che l’indeterminata insufficienza del finanziamento condizioni, ed abbia già condizionato, l’effettiva esecuzione del servizio di assistenza e trasporto come conformato dal legislatore regionale, violando in tal modo il precetto contenuto nell’art. 38, terzo e quarto comma, Cost.
Tale effettività non può che derivare dalla certezza delle disponibilità finanziarie per il soddisfacimento del medesimo diritto, nel quadro dei compositi rapporti amministrativi e finanziari degli enti territoriali coinvolti. Difatti l’affidamento generato dalla previsione del contributo regionale condiziona la misura della disponibilità finanziaria della Provincia e degli altri enti coinvolti nell’assolvimento del servizio in questione.
Non può neppure essere condivisa in tale contesto la difesa formulata dalla Regione secondo cui ogni diritto, anche quelli incomprimibili della fattispecie in esame, debbano essere sempre e comunque assoggettati ad un vaglio di sostenibilità nel quadro complessivo delle risorse disponibili.
Innanzitutto, la sostenibilità non può essere verificata all’interno di risorse promiscuamente stanziate attraverso complessivi riferimenti numerici. Se ciò può essere consentito in relazione a spese correnti di natura facoltativa, diverso è il caso di servizi che influiscono direttamente sulla condizione giuridica del disabile aspirante alla frequenza e al sostegno nella scuola.
In secondo luogo, è proprio la legge di cui fa parte la norma impugnata a conformare in concreto le situazioni soggettive oggetto di assistenza (senza poi farne conseguire il necessario finanziamento per effetto del richiamato inciso riduttivo).
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che «in attuazione dell’art. 38, terzo comma, Cost., il diritto all’istruzione dei disabili e l’integrazione scolastica degli stessi sono previsti, in particolare, dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate)», la quale «attribuisce al disabile il diritto soggettivo all’educazione ed all’istruzione a partire dalla scuola materna fino all’università»; e che «la partecipazione del disabile “al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce […] un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato (sentenza n. 215 del 1987)”» (sentenza n. 80 del 2010).
8.− La disposizione impugnata è peraltro incoerente anche rispetto al quadro normativo complessivo dei finanziamenti destinati ai servizi a rilevanza sociale quale risultante dalla legge di bilancio, alla quale essa demanda la quantificazione ridotta del finanziamento. In tal modo viene reso generico ed indefinito il finanziamento destinato a servizi afferenti a diritti meritevoli di particolare tutela, rendendo possibile – come esattamente affermato dal giudice rimettente – che le risorse disponibili siano destinate a spese facoltative piuttosto che a garantire l’attuazione di tali diritti. Pertanto, pur essendo la disposizione in questione appartenente a un contesto distinto da quello della legge di bilancio, la sua influenza su quest’ultima provoca un risultato normativo non conforme a Costituzione.
9.− La garanzia del 50% della copertura del servizio di assistenza ai disabili appartiene alla conformazione della struttura e dell’organizzazione del servizio stesso. Pertanto, l’indeterminatezza del finanziamento determina un vulnus all’effettività del servizio di assistenza e trasporto, come conformato dal legislatore regionale, con conseguente violazione dell’art. 38, terzo e quarto comma, Cost.
10.− D’altronde va considerato che, sebbene il legislatore goda di discrezionalità nell’individuazione delle misure per la tutela dei diritti delle persone disabili, detto potere discrezionale trova un limite invalicabile nella necessità di coerenza intrinseca della stessa legge regionale contenente la disposizione impugnata, con la quale viene specificato il nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati. Dunque il livello delle prestazioni dovute, mentre appare salvaguardato dalla legge regionale nel suo complesso ed in particolare nella parte che prevede una pianificazione del fabbisogno degli interventi, nonché un preciso rendiconto degli oneri sostenuti, risulta poi vanificato dalla prescrizione contraddittoria che subordina il finanziamento (da parte regionale) degli interventi alle politiche ed alle gestioni ordinarie del bilancio dell’ente.
11.− Non può nemmeno essere condiviso l’argomento secondo cui, ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l’art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria. A parte il fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione.
12.− Con riguardo alla Regione, è da sottolineare come l’impianto della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978 sia improntato al metodo della programmazione, secondo cui gli interventi ed i pertinenti oneri finanziari sono istruiti nell’anno precedente così da consentire la loro corretta iscrizione nel bilancio, soprattutto quando riguardano il nucleo incomprimibile del diritto a prestazioni riconducibili a diritti fondamentali. In tal modo non è configurabile il rischio per l’equilibrio del bilancio della Regione da essa paventato in correlazione allo stanziamento della percentuale di finanziamento prevista per legge. Proprio la previa redazione del piano di assistenza testimonia l’inverosimiglianza dell’ipotesi di squilibrio di bilancio che è viceversa eziologicamente collegabile all’uso promiscuo delle risorse, che il giudice rimettente individua come autentica causa vanificatrice della copertura finanziaria del servizio.
13.− Nel caso in esame, il rapporto di causalità tra allocazione di bilancio e pregiudizio per la fruizione di diritti incomprimibili avviene attraverso la combinazione tra la norma impugnata e la genericità della posta finanziaria del bilancio di previsione, nella quale convivono in modo indifferenziato diverse tipologie di oneri, la cui copertura è rimessa al mero arbitrio del compilatore del bilancio e delle autorizzazioni in corso d’anno. In buona sostanza si ripete, sotto il profilo sostanziale, lo schema finanziario già censurato da questa Corte, secondo cui, in sede di redazione e gestione del bilancio, vengono determinate, anche attraverso i semplici dati numerici contenuti nelle leggi di bilancio e nei relativi allegati, scelte allocative di risorse «suscettibili di sindacato in quanto rientranti “nella tavola complessiva dei valori costituzionali, la cui commisurazione reciproca e la cui ragionevole valutazione sono lasciate al prudente apprezzamento di questa Corte (sentenza n. 260 del 1990)”» (sentenza n. 10 del 2016).
14.− In definitiva, nella materia finanziaria non esiste «un limite assoluto alla cognizione del giudice di costituzionalità delle leggi». Al contrario, ritenere che il sindacato sulla materia sia riconosciuto in Costituzione «non può avere altro significato che affermare che esso rientra nella tavola complessiva dei valori costituzionali», cosicché «non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale» (sentenza n. 260 del 1990). Sul punto è opportuno anche ricordare «come sul tema della condizione giuridica del portatore di handicaps confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale; e che, conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia è essenzialmente dato dall’interrelazione e integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela» (sentenza n. 215 del 1987).
15.− Altrettanto infondata è la tesi secondo cui la norma terrebbe conto della doverosa contribuzione da parte degli assistiti dotati di capacità contributiva. Di tale contribuzione non v’è traccia nell’intera legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978; e, soprattutto, la medesima legge, nella sua formulazione letterale, parla di garanzia della spesa necessaria e documentata senza evocare altre fonti di finanziamento.
16.− Infine, non è condivisibile l’argomento secondo cui le scelte adottate in sede di bilancio non avverrebbero in modo generico, bensì con apposita istruttoria ricavata dall’acquisizione dei piani preventivi di intervento predisposti dalle Province sulla base delle necessità riscontrate nell’anno scolastico in corso e di quelle dichiarate dal genitore dello studente che si iscrive per la prima volta al grado di istruzione secondaria superiore. È proprio la disattenzione alle risultanze del piano il vizio genetico della norma contestata, che consente di prescinderne al di là di ogni ragionevole argomento: condizionare il finanziamento del 50% delle spese già quantificate dalle Province (in conformità alla pianificazione disciplinata dallo stesso legislatore regionale) a generiche ed indefinite previsioni di bilancio realizza una situazione di aleatorietà ed incertezza, dipendente da scelte finanziarie che la Regione può svolgere con semplici operazioni numeriche, senza alcun onere di motivazione in ordine alla scala di valori che con le risorse del bilancio stesso si intende sorreggere.
17.− Significativi in proposito appaiono i dati storici della contribuzione regionale in valore assoluto e percentuale: nell’ordinanza del giudice rimettente – e le cifre non sono in contestazione tra le parti – si legge che «per l’esercizio finanziario 2008, risulterebbero stanziati in bilancio 1.400.000,00 per l’attuazione dell’art. 6 comma 2-bis della legge regionale n. 78 del 1978, quindi le Province hanno ottenuto un cofinanziamento nella percentuale del 39% (invece che del 50%) delle somme spese; per il successivo esercizio finanziario 2009, sono stati stanziati in bilancio solo 700.000,00, quindi le Province hanno ottenuto un cofinanziamento di poco inferiore al 18%; nel 2011 la percentuale è stata del 26% circa; nel 2012 il 22% circa». Palese è la lesione della effettività del servizio, non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche per l’assoluta discontinuità delle percentuali di copertura ammesse a finanziamento.
18.− Ciò conferma l’assunto del giudice a quo, secondo cui «in quanto spese non obbligatorie, quantomeno non in misura fissa, i contributi regionali per il trasporto dei disabili possono essere ridotti già nella fase amministrativa di formazione delle unità previsionali di base, senza che di ciò vi sia alcuna evidenza o limite idoneo a dare effettività ai diritti previsti dalla Costituzione e sottesi a tale servizio di trasporto».
19.− Per tali argomentazioni, l’art. 6, comma 2-bis, della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente all’inciso «, nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa,».
20.− Rimangono assorbite le ulteriori censure formulate in riferimento all’art. 10 Cost., in relazione all’art. 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2-bis, della legge della Regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 (Interventi per l’attuazione del diritto allo studio), aggiunto dall’art. 88, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 26 aprile 2004, n. 15, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)», limitatamente all’inciso «, nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa,».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2016.

● Il diritto di chiedere l’elemosina

 

 

Il diritto di chiedere l’elemosina è riconosciuto dalle leggi di tutte le nazioni che si considerano civili e dalle carte internazionali che proteggono i diritti umani. Chiedere solidarietà è proprio questo: un diritto umano che niente deve né può sostituire. E’ molto pericoloso metterlo in dubbio o contrattarlo. I diritti umani possono piacerci o non piacerci, ma sono inalienabili, finché seguiremo la via della civiltà. Limitare l’accattonagggio era l’obiettivo dei nazionalsocialisti negli anni 1930. Dobbiamo, a mio avviso, essere molto attenti su questo argomento. Non possiamo, non dobbiamo ribadire quel progetto. Bisogna ridurre la povertà con programmi sociali efficaci. L’accattonaggio sarà automaticamente minore, perché ci sarà meno necessità. Ma il diritto a chiedere solidarietà resterebbe vivo anche nel caso il nostro pianeta sconfiggesse la povertà. Pochi comprendono, nel nostro tempo, il contenuto del diritto umano di chiedere solidarietà, tendendo la mano. La questua non è un peccato né un delitto. Chiunque può trovarsi nell’esigenza di richiedere solidarietà. E’ come il diritto ad esprimersi, a cercare amicizie, a dialogare con persone terze, ad amare. Non può essere regolamentato né sostituito da alcun programma. Chi ha bisogno di solidarietà, deve avere la libertà di scegliere come chiederla. E chi vuol dare solidarietà ha il diritto di offrirla come meglio crede: anche con una semplice monetina.

Nonostante il reato di mendicità sia stato abrogato nel 1999, talvolta l’accattonaggio può diventare penalmente rilevante

mendicante che chiede elemosina

Un tempo il codice penale puniva come reato il cd. accattonaggio. La norma di riferimento, in particolare, era quella di cui all’articolo 670 del codice penale, sulla “Mendicità”, che al primo comma puniva con l’arresto fino a tre mesi chiunque mendicava in luogo pubblico o aperto al pubblico e al secondo comma puniva con l’arresto da uno a sei mesi chi commetteva il fatto in modo ripugnante o vessatorio, simulando deformità o malattie o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà.

Da diverso tempo, però, l’articolo 670 è scomparso dal nostro ordinamento: ad averlo abrogato, infatti, è stata la legge numero 205 del 25 giugno 1999, che si è inserita nel solco già tracciato dalla sentenza numero 519 del 28 dicembre 1995 con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma di tale articolo.

Per la Consulta, in particolare, non era possibile considerare illecita una richiesta di elemosina fatta per ottenere umana solidarietà, volta a far leva sul sentimento di carità e non idonea a intaccare l’ordine pubblico o la pubblica tranquillità.

Se non mancano proposte di legge, sponsorizzate da alcuni partiti politici, con le quali si chiede la reintroduzione del reato di accattonaggio, non mancano neanche norme che, a determinate condizioni, rendono il chiedere l’elemosina un vero e proprio reato.

Più che chiedere l’elemosina in sé e per sé, a configurare reato possono essere le modalità con le quali ciò avviene.

Ad esempio, sfruttare anziani o disabili per far loro chiedere l’elemosina può configurare il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù, di cui all’articolo 600 del codice penale. Ancora: chiedere in maniera insistente soldi può integrare il reato di violenza privata di cui all’articolo 610 c.p. e utilizzare animali può rappresentarne una forma di maltrattamento penalmente rilevante ai sensi dell’articolo 544-ter c.p.

Occorre in ogni caso mettere in evidenza che, senza degenerare e far sfociare necessariamente il comportamento nell’area penale, molti regolamenti comunali vietano espressamente l’accattonaggio, con la conseguenza che chi lo pratica potrebbe essere sottoposto quantomeno a sanzione amministrativa.

Certamente il problema nelle strade di molte città italiane è evidente e va gestito, ma i modi per farlo sono diversi: l’importante è non dimenticare mai che di mezzo ci sono delle persone (spesso in difficoltà) e che, pertanto, la questione va gestita con le dovute attenzioni.

● Ehilà… Usa ogni mezzo per conoscere più a fondo la realtà

1701061936-traspar2Ti accenno della Legale Rappresentanza (Articolo 46 lettera u DPR 28.12.2000, n. 445) che varie correnti di pensiero sperimentano quale strumento giuridico capace di sfruttare –a mio parere non ancora con pieno successo- alcune falle del Sistema opprimente e schiavizzatore…

Partiamo dal presupposto che tu non sappia nulla della LR.

In Italia esistono vari gruppi di studio (due-tremila persone) anche in aspro conflitto tra loro, provenienti da successive scissioni o espulsioni dal gruppo “madre” P.U. fondato nel 2015 da Valeria G., la quale ha “distillato” l’ideologia OPPT dagli Stati Uniti, adattandola alla nostra realtà.

Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili andrebbero ripristinati perché disattesi.

La ricognizione e l’auto-apprendimento della documentazione sui Diritti umani presente sul web può aiutare a comprendere ma, occhio, dovrà avvenire gradualmente, essendo vera e propria scienza sociale richiede disponibilità al sacrificio dell’approfondimento, trattandosi in fin dei conti di studio e ricerca giuridica, volta all’abbattimento di un vero e proprio conflitto di interessi tra l’essere umano e lo Stato, uno scontro nel quale noi siamo la parte più debole.

 

Eccoti tre collegamenti web adatti a cominciare le tue manovre di assaggio:
Il 1° collegamento punta ad un articolo da me pubblicato in questo blog, sulla Legale Rappresentanza >>> https://dirittiumaniblog.wordpress.com/2016/07/06/legale-rappresentanza-e-un-living-trust/
Il 2° collegamento è la videoregistrazione relativa ad un recente incontro pubblico di P.U. tenutosi in Veneto, liberamente fruibile sul web >>> https://www.youtube.com/watch?time_continue=2180&v=_hVXi24_e0o
Il 3° collegamento è la pagina web di uno dei nostri svariati detrattori pro-sistema >>> https://www.nextquotidiano.it/la-rivoluzione-permanente-del-popolo-unico/

 

Ti consiglio di fermarti immediatamente e di prendere appunti non appena dovessi sentirti estraneo ad un argomento: è arduo proseguire senza aver metabolizzato i precedenti passaggi.

Mi auguro di averti trasferito il messaggio più importante, che è la prudenza. Per favore non ti avventare su ipotesi “operative” prima di essere assolutamente certo di ciò che stai facendo. Pondera bene i fatti, a tavolino, confrontandoti anzitutto con la teoria. Alla messa in pratica c’è sempre tempo, soprattutto dato che la LR non è uno strumento fatto per “non pagare il conto, o non pagare le tasse, ecc.”, ciò, eventualmente, se e quando tutto fila liscio, sarà una semplice conseguenza naturale…

● Andrebbe benissimo come discorso di fine anno

https://vimeo.com/249237893

1.     Cosa sono i trattati internazionali?

2.     Come influiscono sulla nostra Costituzione?

3.     Sono essi stessi costituzionali?

4.     È vero che nei trattati europei esiste una disoccupazione strutturale, ovvero che non si persegue la piena occupazione ma anzi questa viene evitata da parametri come il Nairu (non-accelerating inflation rate of unemployment)?

5.     Come stanno destrutturando, disarticolando lo Stato?

6.     Cos’è il vincolo esterno e come fu che accettammo “il grande disonore di essere italiani”?

7.     Come ha avvantaggiato l’economia tedesca?

8.     Come vengono distorte le norme della nostra costituzione?

9.     La sovranità appartiene al popolo o, più finemente, appartiene al popolo-lavoratore?

10. E cosa intendevano i costituenti per “lavoratore”?

11. Qual è l’articolo più importante nella Costituzione?

12. Perché il famoso motto di Calamandrei “lo Stato siamo noi” oggi viene comunemente deriso?

13. Tutelare il benessere della propria comunità, e promuoverne il progresso, equivale ad essere protezionisti e guerrafondai?

14. È stato il nazionalismo a provocare i conflitti in Europa, oppure è stato l’imperialismo, cioè quel modello che si vuole imporre a tutti gli altri negando proprio l’individualità dei vicini?

15. Il liberoscambismo economico incentiva o disincentiva la stabilità politica tra i popoli?

16. È gestibile ipotizzare trasferimenti dai creditori (soprattutto la Germania) ai paesi periferici, o la disciplina dei trattati, per stessa imposizione dei tedeschi, prevede il divieto del bail-out e della solidarietà fiscale?

17. È praticabile la via politica della modifica dei trattati oppure è da escludersi in partenza?

18. La nostra Costituzione, basata sulla inclusione di tutte le classi sociali nel Governo, e basata sui lavoratori, consente tutto questo?

Questi solo alcuni dei temi toccati da Luciano Barra Caracciolo, magistrato e giurista del Consiglio di Stato, nella lunga intervista di Byoblu.

Nel 2018 ricorrono i 70 anni dall’emanazione della nostra Costituzione. Come dice Calamandrei, abbiamo forze esterne allo Stato – e superiori ad esso – che decidono sostituendosi alle istituzioni democratiche costituzionali. Questo è avere lo straniero in casa. Ribellarsi a questo, per chi soffre gli effetti di questo impoverimento, è a portata di mano ed è proprio l’auspicio che possiamo fare, ovvero rivendicare la legalità costituzionale.

http://www.raiplay.it/video/2017/12/Piigs-ca977e13-e24f-4dbe-acda-65f265d5959a.html

 

 

● Se l’ONG è il governo dei non governativi

Quando le navi di alcune ONG si spingono a ridosso del confine marittimo della Libia, o lo oltrepassano, per imbarcare migliaia di aspiranti rifugiati e trasportarli in Italia sostenendo che si sarebbero messi in pericolo anche senza riceverne alcuna richiesta d’aiuto (nel 90% dei casi, secondo Frontex), il pur fragile e impotente governo libico denuncia giustamente la violazione della propria sovranità territoriale. Non così quello italiano, che offre loro coordinamento, porti, personale e imbarcazioni di supporto, oltreché il sostegno dei propri esponenti politici.

Tradotto in termini istituzionali, gli organi sovrani del nostro Paese accolgono gli obiettivi dei finanziatori privati delle ONG a dispetto dell’impatto che questi, una volta tradotti in azione, eserciteranno sulla res publica: dai bilanci (5 miliardi di euro per l’accoglienza preventivati nel 2017) all’ordine pubblico, dal consenso alla coesione sociale. E sul piano della narrazione politica, per giustificare la concessione di questa discrezionalità privata davvero inedita per proporzioni e conseguenze, la imbastiscono nei termini politici della necessità: di un «fenomeno epocale», esogeno e quindi ingovernabile.

Nel dubbio che introdurre masse di individui privi di autorizzazione nel territorio nazionale possa costituire reato (D.L. 286/1998, L. 189/2002), il nostro governo non imponeva la propria legge né la vigilanza delle proprie forze di polizia, ma proponeva alle ONG la sottoscrizione di un «codice di condotta» facoltativo che qualcuna firmava, qualcuna no, qualcun’altra ci avrebbe fatto sapere. Atteso che uno dei requisiti della citata legge 49/1987 era che le ONG «accettino controlli» (ibid. capoverso g), con questo ulteriore arretramento si riqualificavano i non governabili, già non governativi, come i diplomatici di un organismo sovranazionale non soggetti alla legge di alcuno, con i quali siglare al più protocolli d’intesa, timidi accordi bilaterali e gentlemen’s agreement il cui mancato rispetto non prevede sanzioni.

Più recentemente, una nota ONG recapitava una lettera aperta al presidente del Consiglio italiano per lamentare le condizioni carcerarie… in Libia. Secondo gli autori della missiva, il nostro governo e gli altri paesi europei sarebbero responsabili degli abusi condotti nei centri di detenzione libici e, nell’applicare le proprie leggi sull’immigrazione, di «pura ipocrisia» se non di «cinica complicità con il business criminale che riduce gli esseri umani a mercanzia nelle mani dei trafficanti». Senza riguardo per le sovranità e le giurisdizioni degli interessati, l’ONG in questione agiva così da Società delle Nazioni stabilendo problemi, responsabilità e soluzioni. Chi ha deciso che i detenuti in Libia abbiano diritto di entrare in Europa? Loro. E che debbano dirigersi in Italia? Loro. E che l’Italia debba farsi carico delle politiche libiche come nel 1911? Loro. E che lo debba fare non protestando con i diplomatici libici, inviando aiuti, collaborando con le autorità locali e dei paesi di origine, appellandosi alle corti internazionali, all’ONU e all’Unione Africana ecc. ma aprendo i propri confini? Sempre loro. E che noi si debba essere colpevoli di non accogliere chi dall’Africa ha comprato un biglietto per l’Europa e non, invece, chi non può neanche permettersi l’acqua, o gli yemeniti bombardati, o gli orfani di Bucarest? Ancora loro, bontà loro.

Come già in altri casi, prima di criticare gli atti e i protagonisti delle vicende occorre risalire alla loro rappresentazione. Perché le eccezioni di diritto fin qui descritte non traggono forza dalla violenza di chi le perpetra né dalla negligenza di chi le subisce, ma dal consenso che la loro formula continua a riscuotere nel pubblico. Se spostassimo l’indagine sul lato della ricezione scopriremmo che il fenomeno si colloca nell’alveo di tendenze molto più ampie e strutturate, come quella di postulare l’inadeguatezza delle strutture governative tradizionali – cioè nazionali – nell’affrontare e risolvere i problemi che affliggono la platea «globale» dei sofferenti. Da quel postulato scaturisce il desiderio di soluzioni «post governative» che trascendano la burocratica gravezza e i compromessi osceni dell’esistente politico, di una legge universale senza giudici e giurisdizioni, che riconosca solo sé stessa.

Se un tempo quella legge, per come ad esempio espressa nella Carta universale dei diritti umani, doveva ispirare gli ordinamenti traducendosi in norme e decisioni compatibili con la specificità dei ricettori, oggi la si vuole ad essi antagonista. La si immagina lex superior dettata dal cuore e di immediata applicabilità, più autorevole proprio in forza della sua autosussistenza e del suo essere truisticamente «buona». Nello scarto tra le lungaggini fallimentari del processo decisionale e l’incombenza dei pericoli di volta in volta presentati come i più spaventevoli ritroviamo così una vecchia conoscenza: quel «fate presto» che ieri insinuava l’incompatibilità delle piene garanzie democratiche con l’obiettivo di «pagare le pensioni» minacciate dallo spread e oggi, toccando le stesse identiche corde, tra il rispetto delle leggi e della volontà popolare e la morte delle masse in viaggio. In entrambi i casi, non c’è tempo per lo Stato, men che meno per quello democratico.

La N di ONG, indifferentemente dai meriti o demeriti di chi si fregia della sigla, sembrerebbe quindi tradursi nell’immaginario di tanti come particella non già privativa, ma dispregiativa. Racchiuderebbe in sé il sogno puerile di un «post Stato» dove comandano i buoni in quanto buoni e di un «sub Stato» – quello ordinario, riservato agli uomini ordinari che non «salvano vite» – che deve stare alla larga, ammutolire rispettoso e non intralciare gli atti di eroismo di cui è incapace. Sicché i magistrati che ipotizzavano condotte illecite nelle operazioni di salvataggio di alcune ONG erano guastafeste, inopportuni, per qualcuno anche infami. E una di quelle ONG esibiva sulla prua della propria nave il cartello «Fuck IMRCC», per significare quanto apprezzasse gli sforzi della Guardia Costiera di contenere flussi e «salvataggi» nei limiti della legalità, con l’Italian Maritime Rescue Coordination Centre.

Questa tentazione di un’«anarchia del bene» è forse tra le regressioni psicologiche meno indagate della crisi istituzionale dei decenni recenti. Eppure ha già una lunga storia alle spalle, di cui le ONG non sono che gli ultimi protagonisti, quando non le vittime. Se da un lato l’illusione di un «oltre» lo Stato soddisfa i requisiti di un nichilismo dove la corruzione si sana con la negazione, dall’altro, quello reale, essa consegna un ampio scudo immunitario a chi ha la forza di prenderselo: cioè ai più forti, o se si preferisce ai più ricchi. Che se non sempre sono anche i «migliori», possono agevolmente farlo credere comperando spazi sui giornali. Si apre così un vulnus nello stato di diritto, una corsia riservata ai capitali privati per incunearsi nel governo pubblico saltando a pie’ pari le pur fragili, ma esistenti, precauzioni, regolazioni, norme di vigilanza. È perciò una privatizzazione al cubo: perché senza bandi né disciplinari, commissioni giudicanti o scadenze di affido, ma prima ancora perché di norma cara ai nemici naturali delle privatizzazioni, qui paghi di salutarne l’intenzione e l’involucro «nobile e disinteressato».

Se le ONG che destabilizzano sono solo una minoranza (molto) rumorosa, è però vero che il governo dei non governativi rappresenta oggi la cifra tecnica dominante del riformismo più violento. Perché nel reclamare uno statuto «altro» e più alto consente di dettare le leggi senza essere legislatori, fare politica senza essere eletti, agire senza titolo e decidere senza responsabilità, disattivando in un sol colpo tutto l’arsenale delle cautele costituzionali e procedurali che si applicano agli statuti codificati. In questa deroga pascolano già da anni i banchieri centrali «indipendenti» dal potere politico, veri dominidelle agende politiche contemporanee, per l’analoga e bizzarra idea che se lo Stato è inefficiente e mariuolo, i grandi azionisti degli istituti di credito privati servirebbero l’interesse generale perché «razionali». E così anche i tecnocrati, quelli che non bisogna infastidire con le opposizioni perché «competenti» e «autorevoli». E la piaga del secolo, il sovranazionalismo, dove l’illusione di uno spazio politico «altro» e migliore serve a promuovere cambiamenti incompatibili con gli ordinamenti interni delle comunità. Se certe cose ce le chiedessero i nostri ministri, sarebbero incostituzionali, o illegali. Invece ce lo chiede Leuropa, i think tank intergovernativi, l’OMS ecc. in nome dei più alti principi, cioè di chi di volta in volta li finanzia.

Sicché va tutto bene, anche se non va bene.

 

Il saggio completo è qui >>> http://ilpedante.org/post/il-governo-dei-non-governativi

 


 

UN CASO DI SCUOLA

Migranti, spunta il dossier che inguaia le ONG
Le organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo, nel 90% del salvataggi effettuati, individuano direttamente le imbarcazioni che trasportano migranti, prima che sia partita una richiesta di aiuto e prima delle comunicazioni da parte della Guardia costiera, e sono attivate direttamente dai migranti stessi: i telefoni satellitari consegnati agli scafisti contengono infatti numeri delle imbarcazioni che intervengono. Si tratta di modalità che interferiscono con le indagini sui trafficanti. Sono queste, secondo quanto riferito dal ‘Corriere della Sera’, le accuse contenute nel dossier di Frontex su cui indaga il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. Accuse alle quali le ong hanno già più volte replicato respingendole come “infamie”e ribadendo che il loro “unico obiettivo è salvare vite umane”.
La relazione dell’Agenzia europea indica 8 navi private e le relative ong, elencate dal quotidiano: Sea Watch di SeaWatch.org che batte bandiera olandese e porta fino a 350 persone; Aquarius di Sos Mediterraneo/Medici senza frontiere di Gibilterra con una capienza di 500 persone; Sea Eye di Sea Watch.org dall’Olanda, fino a 200 persone; Iuventa di Jugendrettet.org, bandiera olandese con 100 persone; Minden di Lifeboat Project tedesca per 150; Golfo Azzurro di Open Arms da Panama che porta fino a 500 persone; Phoenix di Moas con bandiera del Belize che ne imbarca 400; Prudence di Medici senza frontiere con bandiera italiana che è la più grande visto che ha 1.000 posti.
Frontex ha esaminato le rotte seguite da queste navi e in particolare le modalità di avvicinamento alle acque libiche, ma ha anche utilizzato testimonianze di migranti sbarcati e le informazioni fornite da agenzie di intelligence di alcuni Stati. E sostiene che “prima e durante le operazioni di salvataggio alcune ong hanno spento i transponder per parecchio tempo”.
LA REPLICA DI MSF – Dopo che Frontex ha inserito anche Medici Senza Frontiere Italia nel dossier, l’associazione umanitaria ha annunciato azioni legali. “Porteremo avanti azioni legali contro chi ci diffama” ha detto Loris De Filippi, presidente di Medici Senza Frontiere Italia, ai microfoni di ‘Radio Capital’.
“Una struttura come Frontex, che riceve finanziamenti enormi da parte dei 28 Stati membri Ue ed è inefficace – dice De Filippi – è evidente che deve mettere sul banco degli imputati qualcun altro. Dire che abbiamo rapporti diretti coi trafficanti è un’accusa infamante. Noi non spegniamo i trasponder – continua il responsabile Italia di Msf – in oltre il 70% dei casi il sistema di coordinamento di Roma ci dice dove andare avvisandoci del naufragio. In altri casi abbiamo avvistato noi i migranti dalle nostre navi e poi abbiamo avvisato il rescue center di Roma che ci ha detto che fare. Non è possibile che si dica che i migranti arrivano da noi perché ci sono le Ong”.

 

 

● CEDU: ricevibilità e procedura di esame dei ricorsi individuali

L’attuale art. 35 CEDU contempla una serie di condizioni di ricevibilità dei ricorsi, che sono tra l’altro parimenti inserite in altri trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti umani. La disposizione dell’art. 35 è stata modificata con l’entrata in vigore del Protocollo n. 14 (vigente dal 1° giugno 2010) ed è oggetto di ulteriore revisione da parte del recente Protocollo n. 15 (firmato il 24 giugno 2013, ma non ancora in vigore).

Tra le condizioni di ricevibilità più importanti vanno annoverate certamente quelle relative:

A) alla necessità di previo esperimento delle vie di ricorso interne (di cui ha già ampiamente parlato il prof. Pitea);

B) al rispetto del termine di sei mesi dalla decisione interna definitiva (termine che sarà ridotto a 4 mesi dopo le modifiche apportate con il Protocollo n. 15);

C) quella relativa alla compatibilità del ricorso con le disposizioni della Convenzione;

D) quella relativa all’assenza di manifesta infondatezza del ricorso;

E) quella, infine, introdotta con il Protocollo n. 14 relativa, al pregiudizio importante.

La sussistenza di tali condizioni di ricevibilità deve essere verificata per ogni doglianza sollevata in un ricorso, inoltre le suddette condizioni hanno carattere cumulativo, sicché il mancato verificarsi di una sola di esse determinerà l’irricevibilità del ricorso.

La verifica circa la sussistenza delle condizioni di ricevibilità è condotta, in primo luogo, dalla Corte europea in composizione di giudice unico (art. 26 CEDU) il quale, ai sensi dell’art. 27 CEDU, può, con decisione definitiva, dichiarare irricevibile o cancellare dal ruolo un ricorso individuale presentato ai sensi dell’art. 34, quando tale decisione può essere adottata senza ulteriori accertamenti. La competenza del giudice unico incontra il limite dei ricorsi introdotti contro l’Alta Parte contraente in relazione alla quale tale giudice è stato eletto (art. 26, par. 3, CEDU). Quando non procede in questo senso, il giudice unico trasmette il ricorso a un comitato o a una Camera per l’ulteriore esame.

I comitati sono composti da tre giudici (art. 26 CEDU) ed esercitano le competenze delineate all’art. 28 CEDU. Con voto unanime i comitati possono: dichiarare irricevibile il ricorso o cancellarlo dal ruolo quando la decisione può essere adottata senza ulteriore esame ovvero dichiarare ricevibile il ricorso, definendo la controversia anche nel merito, quando la questione relativa all’interpretazione e all’applicazione della Convenzione o dei suoi Protocolli all’origine della causa è oggetto di una giurisprudenza consolidata della Corte. Decisioni e sentenze così adottate sono definitive.

Infine, nei casi in cui non sia intervenuta alcuna decisione o sentenza ai sensi degli artt. 27 e 28, la controversia sarà portata all’attenzione di una Camera, composta da sette giudici (che ai sensi dell’art. 26, par. 2, possono essere ridotti a cinque per un periodo determinato con decisione unanime del Comitato dei ministri su richiesta dell’Assemblea), che si pronuncerà sulla ricevibilità e sul merito dei ricorsi individuali presentati ai sensi dell’art. 34 CEDU. È riconosciuta anche la possibilità che la Camera si pronunci sulla ricevibilità del ricorso separatamente dal merito (art. 29 CEDU).

 

Termine dei sei mesi

Uno dei principali limiti posti dall’art. 35 CEDU per la ricevibilità del ricorso consiste nella fissazione di un termine di decadenza di sei mesi dalla decisione interna definitiva per poter utilmente adire la Corte. Il termine di sei mesi, che – come detto – con l’entrata in vigore del nuovo Protocollo n. 15 sarà ridotto a quattro mesi, costituisce evidentemente un fattore di certezza del diritto e di sicurezza giuridica. La Commissione prima, e più di recente la Corte, hanno più volte ribadito che la ratio di tale norma consiste nell’esigenza che i ricorsi siano trattati in un periodo di tempo relativamente breve in modo da evitare che il passare del tempo renda difficile la ricostruzione dei fatti di causa, vanificando in questo modo l’esame dei ricorsi da parte della Corte.

Il termine dei 6 mesi inoltre ha la funzione di permettere al potenziale ricorrente di valutare l’opportunità di adire la Corte e di formulare in maniera esaustiva le doglianze che intenda far valere dinanzi a questa, con i relativi argomenti e la necessaria raccolta di documentazione prodromica alla presentazione di un ricorso.

In particolare, il termine è rispettato se nei sei mesi il ricorso è trasmesso alla Corte. Le modalità di introduzione del ricorso individuale sono state recentissimamente oggetto di modifica. Ai sensi del nuovo art. 47 del Regolamento di procedura della Corte europea, in vigore dal 1° gennaio 2014, il termine semestrale per l’introduzione di un ricorso, di cui all’art. 35, par. 1, CEDU, decorre dalla data in cui il formulario, debitamente compilato secondo le regole fissate dal medesimo articolo, è inviato a mezzo posta. Non è dunque più possibile, ai fini dell’interruzione del termine dei sei mesi, inviare la c.d. lettera di denuncia.

È necessario quindi tenere in massima considerazione tali condizioni, in quanto il mancato rispetto del termine semestrale conduce la Corte a una declaratoria di irricevibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 35, par. 4 CEDU.

Questa considerazione assume ancor maggiore valenza se si tiene a mente che la regola dei sei mesi è inderogabile; ed infatti da un lato:

  • 1) la Corte può anche rilevare d’ufficio la tardività del ricorso, ed inoltre,
  • 2) una eventuale rinuncia da parte dello Stato convenuto è priva di ogni effetto, in quanto la regola dei sei mesi mira a proteggere principi cardine dello Stato di diritto quali la certezza del diritto e la sicurezza giuridica che non possono esser compressi.

Sulla base di questa condizione di ricevibilità il ricorso deve essere, dunque, presentato alla Corte europea entro sei mesi dalla data della decisione interna definitiva.

A questo proposito, per decisione interna definitiva non si intende la sentenza passata in giudicato bensì la decisione non più soggetta a gravame e per mezzo della quale si è realizzato l’esaurimento delle vie di ricorso interne, ossia generalmente la sentenza emessa dalla più alta istanza giudiziaria.

Il computo del termine è a mesi di calendario comune, indipendentemente dalla durata effettiva in giorni dei mesi in questione. In altre parole, poniamo che la sentenza definitiva sia di oggi, 20 marzo 2015, il termine ultimo per presentare ricorso dinnanzi alla Corte EDU sarà il prossimo 20 settembre, e non il 16 settembre (come se considerassimo 180 giorni) o ancora il 21 ottobre (termine scaturente dall’applicazione della sospensione per il periodo delle ferie giudiziarie), in quanto la sospensione feriale in Italia dei termini processuali scadenti nel periodo dal 1 agosto al 31 agosto di ogni anno non opera nel computo del termine semestrale. Come la Corte ha avuto modo più volte di ribadire infatti né la Convenzione né il regolamento di procedura della Corte prevedono una tale sospensione (vedi, A.L.M. c. Italia, sent. 28 luglio 1999, § 19).

Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto fino al giorno seguente non festivo.

 

Dies a quo

  1. a) quando ci sono rimedi interni

Il termine dei sei mesi viene generalmente calcolato a partire dal momento della effettiva conoscenza da parte del ricorrente del testo della decisione definitiva, resa al termine della regolare procedura di esaurimento delle vie di ricorso interne. Una volta esaurite le vie di ricorso ordinarie, per il ricorrente comincia dunque a decorrere il termine dei sei mesi, che non verrà sospeso nel caso che si vogliano tentare altri mezzi straordinari di ricorso: ad esempio, la domanda di revisione del processo non sospende il termine semestrale. Lo stesso discorso vale, ad esempio, per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o per il ricorso gerarchico in materia di diritto amministrativo.

La data della decisione interna definitiva dipende dalle regole previste dall’ordinamento interno in materia di pubblicazione dei provvedimenti giurisdizionali (deposito in cancelleria o notifica dell’avviso di deposito, se previsto). Nell’ipotesi in cui sia prevista la notifica d’ufficio della decisione, il termine decorre dalla data di comunicazione alla parte. Se, invece, non è prevista la notifica d’ufficio il termine decorre dal momento in cui la decisione è effettivamente accessibile al ricorrente che deve, pertanto, farsi parte diligente al fine di ottenerne copia.

Per quanto concerne l’Italia, in particolare, bisogna distinguere a seconda che si tratti di giudizio civile o di giudizio penale:

  • 1) nel primo caso, posto che il dispositivo della sentenza è comunicato al difensore con avviso della data dell’avvenuto deposito del testo in cancelleria, i sei mesi decorrono dalla data della notifica dell’avviso di deposito;
  • 2) nel secondo caso invece il difensore, che normalmente assiste alla pronuncia del dispositivo, deve attivarsi per procurarsi copia del testo delle motivazioni della sentenza: i sei mesi, in questo caso, decorrono dalla data di deposito della sentenza motivata.
  1. b) Quando non ci sono rimedi interni

Nelle ipotesi in cui l’ordinamento delle Stato convenuto non preveda ricorsi interni effettivi ed adeguati relativamente a una determinata doglianza sollevata nel ricorso, il termine di sei mesi inizia a decorrere dalla data dei fatti o delle misure oggetto del ricorso ovvero dalla data in cui il ricorrente ne abbia subito le conseguenze pregiudizievoli. Qualora la presunta violazione derivi direttamente da una disposizione legislativa, il termine semestrale inizia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge a condizione che la disposizione stessa non lasci al giudice alcun margine di discrezionalità nella sua interpretazione tale da permettere di evitare il verificarsi del pregiudizio per il ricorrente. Infine, quando la violazione lamentata ha i caratteri della situazione continua, il termine di sei mesi non inizia a decorrere fintantoché questa situazione si protrae nel tempo. Per situazione continua si intende quella in cui l’individuo è sottoposto ad una limitazione continuata dei propri diritti riconosciuti dalla CEDU: ad esempio, nel famoso caso Dudgeon c. Regno Unito, la Corte ha considerato come continua la situazione determinata dall’esistenza di una legge che puniva la pratica dell’omosessualità (cfr. Dudgeon c. Regno Unito, sent. 22 ottobre 1981, § 41).

Dies ad quem

Il ricorrente decade dalla possibilità di adire la Corte allo scadere del sesto mese decorrente dal dies a quo (dopo 6 mesi e un giorno non è più possibile proporre tempestivamente ricorso alla Corte EDU). Questo termine è stato reso, come sopra ricordato, ancora più restrittivo con la modifica dell’art. 47 del Regolamento di procedura della Corte, il quale non prevede più la procedura della lettera di denuncia, interruttiva del termine di decadenza, con la possibilità, oggi non più garantita, di presentare entro le 8 settimane successive il formulario di ricorso debitamente compilato.

Attualmente dunque la data di introduzione coincide con la data in cui il formulario di ricorso, interamente compilato e corroborato dalla documentazione allegata, viene inviato da parte del ricorrente o dal suo avvocato.

Il ricorso è inviato generalmente via posta, e non è necessario l’invio in plico raccomandato, che tuttavia io consiglio vivamente: nel caso infatti in cui non pervenga alla Cancelleria della Corte il ricorso con la documentazione allegata, è onere del ricorrente dimostrare di averla invitata entro il termine semestrale, fornendo prove concrete in proposito. È buona prassi a tal proposito anticipare via fax l’invio tramite posta, in modo tale da tutelare il proprio assistito.

Non è invece attualmente possibile l’introduzione del ricorso tramite invio di una e-mail, anche se va ricordato che la Corte ha recentemente introdotto, in via sperimentale, la possibilità di introdurre un ricorso in via telematica esclusivamente per coloro che utilizzano il formulario in olandese o svedese.

 

È infine importante sottolineare che il termine semestrale è calcolato separatamente rispetto a ciascuna doglianza, con la conseguenza che se le varie doglianze siano presentate contemporaneamente una volta terminato il processo, alcune potrebbero essere considerate tardive se presentate successivamente alla decorrenza del termine dei sei mesi.

 

La condizione della non manifesta infondatezza del ricorso

Oltre alle due condizioni di ricevibilità principali, ossia il previo esaurimento delle vie di ricorso interne, da un lato, e il termine di sei mesi a partire dalla data della interna definitiva, dall’altro, la Convenzione detta altre condizioni di ricevibilità ai para. 2 e 3 dell’art. 35 CEDU.

Tra queste spicca quella della non manifesta infondatezza del ricorso. Si tratta, per tutta evidenza, di una condizione che investe il merito del ricorso, nel senso che i ricorsi alla Corte europea per essere accolti debbono presentare un fumus boni juris, cioè una seria parvenza di fondamento.

In altre parole, è manifestamente infondato il ricorso che, a seguito di un preliminare e sommario esame del suo contenuto materiale, non lasci ravvisare alcuna parvenza di violazione dei diritti garantiti dalla Corte.   Ovviamente, da ciò ne deriva che ogni ricorso con queste caratteristiche è suscettibile di essere immediatamente dichiarato irricevibile dal giudice unico.

Il concetto di manifesta infondatezza è strettamente collegato all’espressione di “quarta istanza”, utilizzata dalla giurisprudenza di Strasburgo per sottolineare che la Corte non è un giudice di appello, di cassazione o di revisione rispetto alle autorità giudiziarie degli Stati parte della Convenzione e, dunque, non può riesaminare la causa nello stesso modo in cui farebbe un giudice interno di ultima istanza.

Su questo argomento si innestano due considerazioni:

  1. da un lato, bisogna infatti ricordare che uno dei principi cardine che informano l’intero sistema convenzionale è il principio di sussidiarietà, in base al quale il compito di garantire il rispetto e l’attuazione dei diritti sanciti nella CEDU, nonché di sanzionarne l’eventuale violazione, spetta in primo luogo al giudice che è più vicino all’individuo che ne chieda la tutela e la garanzia, ossia al giudice interno. Conseguentemente, la Corte EDU interviene solo in caso di inattività o di deficit di tutela da parte del giudice interno. È preferibile, quindi, sulla scorta di tale ragionamento, che le indagini sui fatti oggetto della causa e l’esame delle questioni sollevate da chi si presume vittima di una violazione dei propri diritti siano condotti, per quanto possibile, a livello nazionale, affinché le autorità interne adottino misure che pongano rimedio alle violazioni della Convenzione lamentate.
  2. d’altro canto, nonostante le peculiarità della Convenzione, questa resta comunque un trattato internazionale, soggetto quindi alle norme che disciplinano i trattati: ciò implica che la Corte non può andare oltre i limiti delle competenze che gli Stati contraenti le hanno attribuito con atto di volontà sovrana, espresso tramite lo strumento della ratifica: ossia la vigilanza sul rispetto degli obblighi assunti dagli Stati tramite l’adesione alla Convenzione (e relativi Protocolli). La Corte non dispone dunque di poteri di intervento diretto negli ordinamenti giuridici interni, dovendone semmai rispettarne l’autonomia.

Sulla base di simili argomentazioni, la Corte generalmente rigetta per manifesta infondatezza ricorsi che implicherebbero valutazioni circa eventuali errori di fatto o di diritto commessi dai giudici interni, e dunque ad esempio non può giudicare da sé l’accertamento dei fatti di causa che hanno condotto il giudice interno ad adottare una certa decisione piuttosto che un’altra, o ancora l’interpretazione e l’applicazione del diritto interno; l’ammissibilità e la valutazione delle prove al processo o infine la colpevolezza o meno di un imputato in un procedimento.

Eccezionalmente la Corte può rimettere in discussione tali constatazioni e conclusioni nella sola ipotesi in cui esse siano viziate da arbitrarietà flagrante ed evidente, in modo tale da pregiudicare i diritti e le libertà salvaguardati dalla Convenzione.

Prendiamo ad esempio il tema delle prove: la Corte europea sostiene – con giurisprudenza costante sul punto – che la Convenzione non regolamenta il regime delle prove in quanto tale (sul punto il “leading case” è Mantovanelli c. Francia, 1997). Conseguentemente tra le sue funzioni non rientra il compito di esaminare gli errori di fatto o di diritto eventualmente commessi dai giudici nazionali nella valutazione delle prove, salvo che da essi consegua una violazione dei diritti e delle libertà garantite dalla Convenzione europea, in particolare in questo caso, dell’equità del processo, garantita dall’art. 6, par. 1, CEDU. Secondo il ragionamento della Corte, spetta dunque al giudice interno, nel rispetto del principio di sussidiarietà e del margine di apprezzamento che la Corte riconosce agli Stati, la valutazione sulle prove: solo qualora nel portare a compimento questo processo valutativo siano stati violati uno o più principi cardine posti a garanzia del giusto processo, la Corte ritiene congruo il suo intervento.

Altro esempio che mi viene in mente, in materia penale, è quello della violazione dei diritti di difesa nel senso di un difetto di correlazione tra accusa e sentenza, causato dalla illegittima riqualificazione giuridica dei fatti da parte del PM successivamente alla chiusura dell’istruttoria: la Corte sul tema specifico, come in generale accennato prima sulle questioni degli errori di fatto o di diritto, ha assunto una impostazione antiformalistica: ovverosia, non basta che vi sia stata una violazione – in pratica una nullità processuale – poi non riscontrata nei successivi gradi di giudizio. Occorre in qualche maniera dimostrare che questa violazione, per il modo e il momento in cui si è realizzata, era irrimediabile. La Corte, dunque, proprio perché non vuole sostituirsi al giudice interno, e diventare un giudice di quarta istanza, si acconcia ad considerare compatibile alla Convenzione qualcosa che è anche un minus rispetto a una piena difesa, salvando quella che è una forma di “errore innocuo”. Nell’esempio che richiamavo della riqualificazione giuridica del fatto, irritualmente avvenuta oltre i termini previsti dal codice di procedura penale, la Corte si accontenta, dunque, per evitare di dichiarazione la violazione, che all’imputato sia data una occasione concreta di contestazione contro la nuova forma assunta dall’accusa: ossia non dichiara la violazione se comunque in almeno un altro grado di giudizio l’imputato abbia avuto la possibilità in concreto di difendersi dalle nuove accuse.

Oltre al concetto di quarta istanza, largamente utilizzato dalla Corte nelle sue decisioni di irricevibilità per manifesta infondatezza, i giudici di Strasburgo hanno elaborato altri parametri.

Anzitutto, il motivo di ricorso è manifestamente infondato ogniqualvolta – pur soddisfacendo tutte le condizioni formali di ricevibilità – non rivela nessuna parvenza di violazione dei diritti garantiti dalla CEDU:

  • ad esempio per assenza di qualsiasi arbitrarietà o iniquità (il procedimento si è svolto conformente alle norme procedurali domestiche; i giudici interni hanno esaminato e preso in considerazione tutti gli elementi di fatto e di diritto oggettivamente pertinenti ai fini della soluzione della disputa);
  • per assenza di sproporzione tra scopi e mezzi (questo parametro si riferisce a quegli articoli – art. 8, art. 9, art. 10 e art. 11 – che prevedono la possibilità di limitare da parte dello Stato l’esercizio di tali diritti, tramite l’adozione di misure restrittive). La Corte in questi casi ritiene l’ingerenza dello Stato non contraria alla CEDU quando essa i) è prevista da una “legge” sufficientemente accessibile e prevedibile, ii) persegue uno degli scopi legittimi previsti dalla norma (ad es. la sicurezza, l’ordine pubblico ecc…), e iii) se è necessaria in una società democratica;
  • quando esiste una giurisprudenza costante della Corte sul punto di non violazione.

La Corte inoltre perviene a conclusioni di manifesta infondatezza quando i motivi di ricorso non sono supportati da validi elementi di fatto (fondamentale in questo senso è la prova documentale a sostegno delle proprie affermazioni) e da puntuali e pertinenti argomentazioni in diritto (ad es, nel caso in cui il ricorrente che si limiti a citare una o più disposizioni della CEDU senza spiegare in che modo le stesse siano state violate). Altro esempio di rigetto è il motivo di ricorso fantasioso, relativo a fatti oggettivamente impossibili, inventati o contrari al buon senso, e infine la doglianza che sia confusa, al punto da rendere impossibile alla Corte l’esame e la comprensione delle violazioni e dei fatti denunciati.

Questa condizione di ricevibilità è stata per lungo tempo invocata dalla Commissione dei diritti dell’uomo, prima della riforma introdotta dal protocollo n. 11, per rigettare molti ricorsi con un’interpretazione estremamente rigorosa delle norme della Convenzione. Ancora oggi, si tratta di uno dei principali strumenti utilizzati dalla Corte per flirtare e rigettare la valanga di ricorsi che la Corte riceve dai 47 Stati contraenti della CEDU.

Infine mi preme sottolineare che, anche con riferimento a questa condizione di ricevibilità, ugualmente a quanto detto con riguardo al termine semestrale, si può avere una dichiarazione di irricevibilità relativa ad una singola doglianza o motivo di ricorso, formulato nel più ampio contesto di una causa. Così, ben può succedere che alcune doglianze del ricorso vengano rigettate in quanto manifestamente infondate (ad esempio, perché implicherebbero un giudizio di quarta istanza, o ancora perché il motivo di ricorso non appare supportato da idonea documentazione o non è argomentato), mentre altre doglianze superino il filtro di ricevibilità e conducano eventualmente a una constatazione di violazione della CEDU (o meglio di uno dei diritti da questa tutelati).

 

Compatibilità di ricorsi con le disposizioni della Convenzione

Altra condizione di ricevibilità prevista dall’art. 35 CEDU è quella riguardante la compatibilità del ricorso con le disposizioni della Convenzione stessa, che si traduce in una sorta di competenza della Corte ratione temporis, loci, personae, e materiae.

  1. a) Competenza della Corte ratione temporis.

Questa condizione è mutuata dal diritto internazionale generale secondo il quale un trattato non ha valore che per i fatti successivi alla sua entrata in vigore nei confronti dello Stato interessato. Si pensi, ad esempio, agli Stati dell’Europa centrale ed occidentale, entrati a far parte del Consiglio d’Europa a partire dagli anni ‘90, i quali non sono tenuti, in via di principio, a rispondere per fatti avvenuti durante il periodo del regime comunista.

  1. b) Competenza della Corte ratione loci.

L’ambito di applicazione territoriale della Convenzione è fissato dall’art. 1 il quale prevede che i diritti e le libertà enunciati nella Convenzione sono riconosciuti ad ogni persona sottoposta alla giurisdizione delle Alte Parti contraenti, cioè degli Stati parte della Convenzione.

Quello che mi interessa sottolineare in proposito è il concetto di giurisdizione espresso in questa norma. In linea di principio, ai sensi dell’art. 1 della CEDU, si ritiene che gli individui sottoposti alla giurisdizione delle Alte Parti contraenti, nei confronti dei quali queste ultime sono obbligate a garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali sanciti dalla Convenzione, siano quelli presenti sul loro territorio. Ciononostante, in virtù di un’evoluzione giurisprudenziale tutt’altro che lineare, la Corte europea ha riconosciuto che gli Stati membri della Convenzione sono chiamati a rispondere anche delle violazioni perpetrate al di fuori del loro territorio laddove essi erano nella posizione di esercitare sulla presunta vittima un controllo effettivo, tanto de jure quanto de facto. In particolare, la Corte, nel famoso caso Bankovic e altri c. Belgio del 2001, ha precisato come l’extraterritorialità costituisca un’eccezione all’ordinaria giurisdizione degli stati in due casi: (i) quando, a qualunque titolo (occupazione militare, consenso dello stato territoriale, ecc.) uno stato, attraverso l’«effettivo controllo» di una porzione di territorio, esercita in tutto o in parte i poteri di governo dello stato territoriale; ovvero (ii) nel caso di attività degli agenti di tale stato all’estero o comunque a bordo di velivoli e imbarcazioni battenti bandiera nazionale. Successivamente, la Corte ha in parte modificato il proprio orientamento, aggiungendo che questa circostanza può verificarsi anche nel caso di atti compiuti da membri delle forze armate di uno Stato al di fuori del proprio territorio (cfr. Al-Skeini e altri c. Regno Unito, 2011), ovvero da pubblici ufficiali di uno Stato in acque internazionali (cfr. Hirsi Jamaa e altri c. Italia, 2012).

  1. c) Competenza ratione personae

Non mi soffermo su questo aspetto, perché involge i concetti della qualità di vittima, già trattati dal prof. Saccucci.

  1. d) Competenza della Corte ratione materiae.

La violazione invocata dinanzi alla Corte deve ovviamente riferirsi ad una delle libertà e dei diritti sanciti dalla Convenzione. Talvolta, la formulazione apparentemente vaga delle disposizioni della Convenzione ha comportato problemi di interpretazione. Si pensi alle nozioni di “diritti e doveri di carattere civile” o di “accusa penale” contenute nell’art. 6, par. 1. Ebbene, nel corso degli anni la giurisprudenza della Commissione ha ricondotto nell’ambito della nozione di “diritto civile” il diritto del lavoro, il diritto tributario, il diritto amministrativo.

 

Altre condizioni di ricevibilità

Vi sono poi altre condizioni di ricevibilità dei ricorsi che rivestono minore importanza e che, peraltro, trovano anche scarsa applicazione nella pratica: si tratta delle ipotesi di ricorso abusivo, di ricorso anonimo o del ricorso identico ad uno già esaminato o già sottoposto ad altra istanza internazionale.

Anzitutto il ricorso è irricevibile a norma dell’art. 35, par. 3, lett. a), quando è abusivo, ossia azionato dal ricorrente in modo pregiudizievole, al di fuori della sua finalità.

La giurisprudenza della Corte EDU ha chiarito a questo proposito che il ricorso è abusivo:

  • se fondato deliberatamente su fatti inventati o falsamente provati, in modo da portare in errore la Corte; oppure
  • se utilizza un linguaggio vessatorio, oltraggioso, minaccioso o provocatorio nei confronti dello Stato convenuto, della Corte, dei giudici o della Cancelleria; o ancora
  • se si pone in contrasto e in violazione intenzionale dell’obbligo di riservatezza assunto dal ricorrente nell’ambito delle negoziazioni nel corso della composizione amichevole tra la parte e lo Stato convenuto (l’ipotesi di composizione è prevista dall’art 39 CEDU, ed è obbligatoria ai sensi dell’art. 62, par. 1 del Regolamento della Corte).

Per quanto concerne il ricorso anonimo è evidente che la Corte non può accettare ricorsi nei quali non si è specificato colui che lamenta la violazione della Convenzione sia perché deve poter conoscere i fatti di causa sia per evitare strumentalizzazioni politiche.

Altra e diversa questione è quella della riservatezza sul nominativo del ricorrente, che ben può essere richiesta al Presidente della Camera incaricato di seguire il procedimento quando ne faccia richiesta ai sensi dell’art. 33 e dell’art. 47, par. 4 del Regolamento di procedura della Corte. Si ponga il caso che il ricorrente sia una figura di spicco – ad esempio un politico: in queste situazioni la richiesta di riservatezza serve ad evitare delle ripercussioni pregiudizievoli sulla vita privata del ricorrente. Altro esempio è quello della vicenda che abbia un rilievo mediatico nazionale, e la richiesta viene fatta per evitare gli effetti negativi che la pubblicizzazione circa la presentazione di un ricorso potrebbe avere in questi casi. Ancora, la richiesta di anonimato può avere come spiegazione il timore di ritorsioni (potrebbe essere questo il caso di un richiedente asilo).

Per quanto concerne i ricorsi identici a quelli già presentati ovvero presentati ad altre istanze internazionali, si verte evidentemente in materia di ne bis in idem e di litispendenza.

La Corte, tuttavia, in ragione della particolarità della materia dei diritti umani ha sempre interpretato in maniera non restrittiva tali principi.

In particolare, il concetto di identità si riferisce allo stesso tempo, e contestualmente, alle parti e ai motivi con la precisazione che l’identità dei motivi non si riferisce ai mezzi di fatto e di diritto allegati – ossia alla qualificazione giuridica della domanda – ma piuttosto ai fatti storici che fondano la violazione del diritto invocato e che sono posti a fondamento del ricorso.

 

La condizione relativa al pregiudizio importante

L’ultima condizione prevista all’art. 35, comma 3, lett. b), CEDU è stata introdotta con l’adozione del Protocollo n. 14 ed è stata oggetto di modifica da parte del Protocollo n. 15 recentemente adottato (ma, come detto, non ancora in vigore).

Questa nuova condizione richiede che un ricorso, seppur generalmente ricevibile e potenzialmente fondato, possa essere rigettato nel caso in cui il ricorrente non abbia subito un pregiudizio importante come conseguenza della violazione lamentata. La previsione del suddetto criterio di ricevibilità, ispirato al principio de minimis non curat praetor, ha l’obiettivo di mettere a disposizione della Corte europea uno strumento utile a definire in modo rapido le controversie che non meritano un esame del merito così da avere più tempo per concentrarsi sui restanti casi.

L’elemento essenziale e centrale di questa nuova disposizione è, dunque, il “pregiudizio importante” la cui sussistenza deve essere necessariamente verificata caso per caso. A tal fine, la Corte europea tiene conto sia della percezione soggettiva del ricorrente che delle conseguenze obiettive della violazione e, in particolare, del pregiudizio patrimoniale. Quest’ultimo non viene valutato in astratto, ma facendo riferimento alla situazione specifica della persona e di quella economica del paese o della regione in cui questa vive.

L’applicazione del criterio del “pregiudizio importante” incontra due limiti stabiliti dallo stesso art. 35, comma 3, lett. b), CEDU. Questa disposizione prevede, in primo luogo, che non può essere applicato il suddetto criterio quando “il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito”. Ciò si verifica, per esempio, quando la Corte sia chiamata a risolvere questioni di carattere generale relative alla portata degli obblighi convenzionali ovvero quando lo Stato convenuto sia chiamato a risolvere problemi di carattere strutturale che coinvolgano un grande numero di persone.

Il secondo limite posto all’applicazione del suddetto criterio prevede che un ricorso possa essere dichiarato irricevibile “a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno”. Quest’ultimo periodo, espressione del principio di sussidiarietà, è stato eliminato dalla riforma adottata con il Protocollo n. 15. Secondo quanto si legge nell’explanatory report che accompagna il suddetto Protocollo, questa modifica è stata adottata al fine di dare migliore applicazione al principio de minimis non curat praetor.

 

● È l’ordoliberismo, bellezza. Ma la volete piantare?

Clamorosa sentenza del Consiglio di Stato (qui per intero Num. 4614/2017) che abilita le pubbliche amministrazioni a confezionare bandi senza compenso per il professionista aggiudicatario.

Ritorno di immagine, utilità extra-economiche, sussidiarietà… Tutto l’arsenale dei più noti argomenti snocciolati ogni piè sospinto dalla grancassa massmediatica riuniti in poche righe: le amministrazioni al collasso da anni di cure austeritarie “lacrime e sangue” potranno prevedere contratti non remunerati, con tanti saluti all’art. 36 della Costituzione, ai codici deontologici e agli interessi dei cittadini. Tutto ciò, per esplicita dichiarazione del Consiglio di Stato, grazie alla disciplina comunitaria che tali dinamiche facoltizza.

Di seguito uno degli stralci più significativi: “L’utilità costituita dal potenziale ritorno di immagine per il professionista può essere insita anche nell’appalto di servizi contemplato dal bando qui gravato: il che rappresenta un interesse economico, seppure mediato, che appare superare –alla luce della ricordata speciale ratio– il divieto di non onerosità dell’appalto pubblico, e consente una rilettura critica dell’asserita natura gratuita del contratto di redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro. L’effetto, indiretto, di potenziale promozione esterna dell’appaltatore, come conseguenza della comunicazione al pubblico dell’esecuzione della prestazione professionale, appare costituire, nella struttura e nella funzione concreta del contratto pubblico, di cui qui si verte, una controprestazione contrattuale anche se a risultato aleatorio, in quanto l’eventuale mancato ritorno (positivo) di immagine (che è naturalmente collegato alla qualità dell’esecuzione della prestazione) non può dare luogo ad effetti risolutivi o risarcitori. Non vi è dunque estraneità sostanziale alla logica concorrenziale che presidia, per la ricordata matrice eurounitaria, il Codice degli appalti pubblici quando si bandisce una gara in cui l’utilità economica del potenziale contraente non è finanziaria ma è insita tutta nel fatto stesso di poter eseguire la prestazione contrattuale. Il mercato non ne è vulnerato”.

Appare ormai evidente che anche il mondo delle libere professioni sia ampiamente soggiogato dall’Unione Europea e dai suoi diktat […]

via Lavorare gratis? Te lo dice l’Europa e fa curriculum — ASSOCIAZIONE INDIPENDENZA

● Gli U.S.A.: una colonia della Corona

Fonte goo.gl/G65fWj

Dopo che l’America ha dichiarato la propria indipendenza dalla Corona è stato firmato il trattato di Parigi, il 3 Settembre 1783. Quel trattato identifica il re cattolico di Inghilterra come principe degli Stati Uniti “Prince George III, per grazia di Dio, re di Gran Bretagna, Francia e Irlanda, difensore della fede, duca di Brunswick (Brunswick della Germania) e Lunebourg (Germania Lunebourg), tesoriere e principe eletto del Sacro Romano Impero (Chiesa cattolica), ecc, e degli Stati Uniti d’America” contraddicendo completamente la premessa che l’America abbia vinto la guerra di Indipendenza.

[L’articolo 5 di tale Trattato ha dato di nuovo tutte le proprietà britanniche, alla Corona – Chiesa cattolica… “It is agreed that Congress shall earnestly recommend it to the legislatures of the respective states to provide for the restitution of all estates, rights, and properties, which have been confiscated belonging to real British subjects; and also of the estates, rights, and properties of persons resident in districts in the possession on his Majesty’s arms and who have not borne arms against the said United States. And that persons of any other decription shall have free liberty to go to any part or parts of any of the thirteen United States and therein to remain twelve months unmolested in their endeavors to obtain the restitution of such of their estates, rights, and properties as may have been confiscated; and that Congress shall also earnestly recommend to the several states a reconsideration and revision of all acts or laws regarding the premises, so as to render the said laws or acts perfectly consistent not only with justice and equity but with that spirit of conciliation which on the return of the blessings of peace should universally prevail. And that Congress shall also earnestly recommend to the several states that the estates, rights, and properties, of such last mentioned persons shall be restored to them, they refunding to any persons who may be now in possession the bona fide price (where any has been given) which such persons may have paid on purchasing any of the said lands, rights, or properties since the confiscation. And it is agreed that all persons who have any interest in confiscated lands, either by debts, marriage settlements, or otherwise, shall meet with no lawful impediment in the prosecution of their just rights.”]
La Corona… È  il centro di potere finanziario mondiale è la “City State of London”, definito anche il miglio quadrato più ricco del pianeta, è la sede del cartello mondiale del denaro. La Corona ospita:
– La “Banca d’Inghilterra” controllata dai Rothschild
– Il Lloyds di Londra
– La Borsa di Londra
– Tutte le banche inglesi
– Le filiali di 384 banche estere
– 70 banche statunitensi
– Il giornale Fleet Street e monopoli editoriali
– Il quartier generale della Massoneria Mondiale
Non è parte né di Londra né dell’Inghilterra né del Commowealth britannico.

E’ sempre più evidente ai cittadini americani che il governo non agisce più in conformità con la Costituzione degli Stati Uniti o, all’interno degli Stati, secondo le costituzioni statali. Mentre le persone hanno riconosciuto per più di 150 anni che i ricchi e i potenti esercitassero un influenza sui singoli funzionari per fare in modo che una legislazione che favorisca i loro interessi sia approvata, la maggior parte degli americani ancora si aggrappa alla convinzione ingenua che tale corruzione sia eccezionale e che la maggior parte delle istituzioni della società, i tribunali, la stampa, e le forze dell’ordine, sono ancora in gran parte conformi alla Costituzione e alla legge. Si aspettano che queste forze corruttrici siano disunite e in concorrenza tra loro, in modo da bilanciarsi l’un l’altra.
Prove sempre crescenti rendono chiaro che la situazione è di gran lunga peggiore rispetto a quello che la maggior parte della gente pensa, che nel corso degli ultimi decenni la Costituzione degli Stati Uniti è stata effettivamente rovesciata e che ora è osservata solo come facciata per ingannare e calmare le masse. Ciò che l’ha sostituita è quello che molti chiamano il Governo Ombra (ved. Valdo Vaccaro qui) creato con il passaggio illegale della legge del 1871. L’esposizione di questo regime e le sue operazioni devono ora diventare un dovere primario dei cittadini che credono ancora nello Stato di diritto e nelle libertà che questo paese dovrebbe rappresentare.
Dal 1871 il presidente degli Stati Uniti e il Congresso degli Stati Uniti hanno giocato alla politica sotto un diverso insieme di regole e politiche. Il popolo americano non sa che ci sono due Costituzioni negli Stati Uniti. La prima è stata scritta dai leader dei nuovi Stati indipendenti degli Stati Uniti nel 1776. Il 4 luglio 1776, la gente ha sostenuto la loro indipendenza dalla Corona (autorità temporale del Pontefice Romano cattolico) ed è nata la democrazia. E per 95 anni, le persone degli Stati Uniti sono state libere e indipendenti. Tale libertà si è conclusa nel 1871 quando la costituzione originale “Costituzione per gli Stati Uniti d’America” è stata cambiata ne “LA COSTITUZIONE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA”.
Il Congresso si è reso conto che il paese era in gravi difficoltà finanziarie, così ha fatto un accordo finanziario con il diavolo – la Corona (la corporazione della City of London – di proprietà della Chiesa cattolica) il 1 gennaio 1855 sono quindi incorsi in un debito verso il Papa. Il connivente Papa ed i suoi banchieri non avrebbero dato soldi alla nazione senza alcune serie garanzie. Così, hanno escogitato un modo per riprendere il controllo degli Stati Uniti e, quindi è stata approvata la legge del 1871. Senza l’autorità costituzionale per farlo, il Congresso ha creato una separata forma di governo per il Distretto di Columbia.
Con l’approvazione della “legge del 1871″ fu costituita una città-stato (uno stato nello stato) chiamata Distretto di Columbia adagiata su 10 chilometri quadrati di terreno nel cuore di Washington con una propria bandiera e una propria costituzione indipendente – la segreta seconda costituzione degli Stati Uniti.

La bandiera del Distretto di Washington di Columbia ha 3 stelle rosse, ognuna simboleggia una città-stato all’interno dell’impero delle tre entità:
1. Washington DC (DC sta per District of Columbia)
2. Corporazione della City of London
3. Città del Vaticano
anche se geograficamente separate sono un impero interconnesso chiamato “L’Impero della City”. La corporazione della City of London è il centro aziendale delle tre città e controlla il mondo economico, Washington DC è responsabile del potere militare e il Vaticano controlla tutto con il pretesto di una guida spirituale.
La costituzione del Distretto di Columbia opera sotto il diritto tirannico Vaticano conosciuto come “lex fori” (legge locale). Quando il Congresso ha approvato illegalmente l’atto del 1871 ha creato una società nota come gli Stati Uniti e una forma separata di governo per il District of Columbia. Questo atto ha illegittimamente consentito al Distretto di Columbia di operare come società al di fuori della costituzione originaria degli Stati Uniti e in totale sprezzo degli interessi dei cittadini americani.
Che cosa ha fatto la legge del 1871? L’ACT del 1871 ha posto di nuovo gli Stati Uniti sotto il dominio della Corona (che significa sotto il dominio del Vaticano). Il popolo degli Stati Uniti ha perso la propria indipendenza nel 1871.
LA COSTITUZIONE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA è la costituzione degli incorporati STATI UNITI D’AMERICA. Ha capacità economica ed è stata utilizzata per ingannare le persone a pensare che essa governa la Repubblica. Non è così! La capitalizzazione NON è insignificante se si fa riferimento ad un documento legale. Questa alterazione apparentemente “minore” ha avuto un forte impatto su ogni successiva generazione di americani. Ciò che il Congresso ha fatto approvando la legge del 1871 è stato creare un nuovo documento, una costituzione per il governo del Distretto di Columbia, un governo incorporato.
Invece di avere diritti assoluti e inalienabili garantiti dalla Costituzione, Noi, il Popolo, ora abbiamo diritti e privilegi “relativi”. Un esempio è il diritto sovrano (del popolo) di viaggiare, che ora è stato trasformato (nel quadro della politica di governo aziendale) in un “privilegio” che richiede che i cittadini siano autorizzati – licenze e passaporti di guida. Approvando la legge del 1871, il Congresso commette TRADIMENTO contro il popolo che era Sovrano sotto le sovvenzioni e i decreti della Dichiarazione di Indipendenza e la Costituzione organica. La legge del 1871 è diventata il fondamento di ogni tradimento in quanto commesso da funzionari governativi.
A partire dal 1871 gli Stati Uniti non sono una Nazione; Si tratta di una Corporazione! In preparazione al saccheggio dell’America, le marionette del sistema bancario della cabala del papa cattolico di Roma avevano già creato un secondo governo, un governo ombra progettato per gestire ciò che “il Popolo” credeva fosse una democrazia, ma in realtà erano Stati Incorporati. Insieme questa chimera, questo mostro a due teste, hanno tolto al “popolo” tutti i diritti di sui juris. [alla propria sovranità]
Gli U.S.A. sono una colonia della Corona. Gli Stati Uniti sono sempre stati e rimangono una colonia della corona (il Papa cattolico romano). Re Giacomo I, non è solo famoso per la traduzione della Bibbia “La Versione di Re Giacomo”, ma per la firma della “Prima Carta della Virginia” nel 1606 – che ha concesso agli antenati inglesi dell’America la licenza di stabilirsi e colonizzare l’America. La Carta ha garantito che in futuro la Corona Inglese avrà autorità sovrana su tutti i cittadini e le terre colonizzate d’America.

● Riprendiamoci il diritto!

“Tutti gli esseri umani sono dotati di coscienza e di ragione, e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza” [Art. 1 – Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo].

Il diritto è, dopo il linguaggio, la più grande creazione dell’intelletto umano. Il diritto esprime inequivocabilmente il potere e la capacità della ragione di ordinare e organizzare la società affinchè sia garantita la pacifica e libera convivenza degli individui. Il diritto può investire una parola, una frase, di una vis, di una forza coercitiva tale da trasformarla in un comando cui ci si deve tendenzialmente uniformare, se non si vuole incorrere nelle conseguenze che il diritto stesso prevede in sè.

Ubi societas ibi ius: dove c’è società, c’è diritto. Il diritto, ci ricorda Ermogeniano, è hominum causa, ovvero nasce con l’uomo e per l’uomo. In questo senso, allora, il diritto è ordinamento osservato; esso è frutto, cioè, dell’auto-organizzazione e dell’assoggettamento spontaneo alle norme in quanto ritenute valide e condivisibili dagli stessi individui che hanno deciso di darsi un ordinamento giuridico (un sistema di norme) e a cui quelle regole sono rivolte. Se ne deduce che il diritto esprime la società e il bisogno di (auto)organizzazione degli individui. Il diritto non è, allora, tanto un comando (una legge imposta) che proviene dall’alto, ma un’esigenza che sale dal basso. Dalla rivoluzione francesce abbiamo ricevuto una scomoda eredità, che ci parla del primato della legge, ma la forma più alta di diritto si esprime invero nella consuetudine, cioè in un comportamento spontanemente adottato dai consociati perchè ritenuto obbligatorio.

Oggi questa visione elevata ed autentica del diritto è pressochè scomparsa e la legge viene utilizzata principalmente come strumento di controllo sociale, il tutto in barba ai diritti umani e con le gravi conseguenze cui tutti possono assistere, anche solo accendendo la tv. Ma così facendo gli organi di governo implicitamente ammettono l’abuso e perdono de facto la propria legittimazione ad esistere ed esercitare il potere concesso loro dai consociati. In altre parole, nel toglierci i nostri diritti, ci hanno legittimato ad agire per il loro integrale recupero. E tutto ciò è concretamente possibile ed attuabile: lo si può fare agevolmente, proprio attraverso il diritto, e senza necessariamente dover passare per un tribunale.

In questo blog, metto a disposizione le mie conoscenze in ambito giuridico, frutto di un lungo percorso di studi e di anni di esercizio della professione forense, affinchè ogni essere umano sia messo in condizione di riappropriarsi del diritto, che costituisce la più grande arma contro ogni genere di sopruso. Il diritto invero tutela e protegge l’umanità fin da quando è nato, assieme alla società; pertanto, il solo modo per ottenere il controllo e l’asservimento di un individuo, è quello di nascondere il diritto ai suoi occhi (così egli non saprà quali sono i suoi diritti). Per fortuna, questi abusi, questi scempi orrendi, hanno le ore contate.

 

(Tratto da Demetrio nato Priolo)

● La difesa comune €uropea servirà a…

…reprimere il dissenso e a fortificare il pensiero unico dominante (di Giuseppe PALMA).

 

Tutti parlano di maggiore integrazione europea.
Tutti che, con la scusa di difendere il vecchio continente dal terrorismo islamico, invocano l’esercito unico europeo e quindi l’ulteriore ed illegittima cessione di sovranità anche in campo militare.

La verità è un’altra: la cosiddetta “difesa comune” servirà solo a REPRIMERE i dissidenti e le voci contrarie al crimine dell’€uro, in modo tale che esista una voce sola: il pensiero unico dominante. Chi difenderà la Costituzione sarà considerato un sovversivo. 
Come sostenne Altero Spinelli nel tanto osannato Manifesto di Ventotene, il passaggio dalle Nazioni all’Europa unita si avrà attraverso un processo anti-democratico, cioè con sospensione dei processi democratici.
Ed è quello che sta avvenendo dal 1992 in avanti. E con particolare “violenza” dal 2011 in poi.

Se ad uno Stato togli la moneta e la difesa, togli l’essenza stessa di essere Stato. I grossi gruppi finanziari divengono i veri detentori della sovranità, disponendo della vita e della morte sia delle Istituzioni che di ciascun singolo individuo.
Se non dovesse rinascere un sano patriottismo costituzionale, la nostra classe politica – già da decenni totalmente asservita al capitale internazionale – svenderà anche gli ultimi residui di Sovranità.

Con l’esercito comune europeo, tanto per capirci, il soldato tedesco reprimerà il dissenso in Italia e viceversa. Con la particolarità che entrambi non risponderanno ad organismi eletti direttamente dal popolo (in assenza di qualsivoglia controllo democratico), bensì alla Commissione europea e alla Bce. 

● Il credito come diritto umano

Il prof. Muhammad Yunus [goo.gl/h7Yxid]: uno spunto su come aiutare i piccoli operatori economici e le micro imprese società di persone. Fondatore della celebre Grameen Bank in Bangladesh e vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2006, sostiene che l’accesso al credito debba essere riconosciuto come un diritto umano fondamentale e come tale tutelato e garantito dagli Stati, dalla comunità internazionale e dagli attori del sistema finanziario e bancario.

Punto di partenza nella sua argomentazione è l’art 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e relativa legge di ratifica di stampo costituzionale, che al paragrafo 1 così recita:

Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

Egli pone in evidenza che allo Stato, oltre alle limitazioni per assicurare ad ogni individuo il godimento dei diritti civili e politici, viene richiesto anche di creare le condizioni economiche e sociali adatte a rendere la vita di ogni cittadino dignitosa e pacifica, in modo che possa aspirare alla piena realizzazione della propria personalità: la povertà secondo Yunus, nonostante ciò che viene riportato con linguaggio aulico nelle grandi Dichiarazioni e Convenzioni internazionali, è uno stato di negazione di tutti i diritti in quanto sottrae all’individuo ogni speranza nel futuro. L’eliminazione della povertà è vista come una precondizione per poter proteggere e realizzare effettivamente ogni altro diritto fondamentale. Yunus pertanto propone la ridefinizione del concetto di “sviluppo”, da considerare non solo in relazione alla crescita economica quanto invece come insieme di azioni e politiche che pongano al loro centro la tematica diritti umani. Un Paese si sviluppa veramente quando migliorano le condizioni economico-sociali della metà meno abbiente della popolazione, altrimenti ciò che si compie è solamente allargare la forbice tra i ricchi (sempre più ricchi) e i poveri (sempre più poveri). Misuratori di benessere come il reddito pro-capite non sono soddisfacenti in questo senso, è invece necessario indagare quali siano gli strati sociali che effettivamente abbiano beneficiato dell’aumento di ricchezza in un determinato Paese.

La povertà per Yunus non è causata dalla mancanza di volontà né dallo scarso lavoro compiuto, ma dall’insufficiente remunerazione che il povero riceve per tale lavoro: il sistema economico contemporaneo è, dal suo punto di vista,
basato sullo sfruttamento. Se il cosiddetto povero potesse invece disporre di una base economica maggiore, allora avrebbe maggior controllo sia sulla sua attività sia sul suo futuro: qui entra in gioco il credito. Sarebbe possibile rompere questa spirale di dipendenza e sfruttamento dando ai poveri la possibilità di costruirsi da soli un futuro, concedendo loro una somma iniziale per intraprendere un’attività economica, creare nuove forme di occupazione
innescando un circolo virtuoso che porterebbe ad un significativo sviluppo economico e umano di un’area altrimenti abbandonata al suo destino.

Il sistema creditizio oggi è tuttavia accessibile solamente a coloro che sono in grado di fornire delle garanzie in caso di mancata o tardiva restituzione del prestito: con questo meccanismo è evidente che il credito viene negato
proprio a chi invece ne ha maggiore necessità. Le banche sono secondo Yunus responsabili del crescente divario tra ricchi e poveri in quanto perpetuano un sistema discriminatorio e concepito come rapporto bilaterale contrattualistico, di diritto privato, il cui fine rimane il ritorno economico.
Mai come oggi, secondo il fondatore di Grameen Bank, è pressante invece la necessità di pensare e istituire una modalità nuova di concessione di credito, slegata dalle garanzie e dal guadagno, basata invece su un progetto di
politica economica e sociale che faccia della lotta alla povertà il propulsore principale della sua azione.
Possiamo dire che per “diritto ad accedere al credito” si intenda qui la possibilità di ricevere credito a tassi di interesse bassi: Yunus infatti distingue gli operatori di microfinanza dai “money-lenders”, che applicano tassi di interesse superiori al 15% del costo della somma di denaro prestata.

Ad ognuno deve quindi essere garantita uguale opportunità di migliorare la sua condizione economica e sociale, cosa che può essere attuata attraverso l’erogazione di credito: questo mezzo è oggi ampiamente sottovalutato, mentre costituisce una fondamentale risorsa. Yunus tiene a precisare che questa sua argomentazione non deve essere confusa con un appello alla carità nei confronti dei poveri: questa non li aiuterebbe a risollevare la loro condizione, sarebbe al contrario dannosa. Il diritto al credito da lui prospettato è inserito all’interno di un sistema finanziario che deve assicurare la restituzione dei prestiti nelle modalità e nei tempi stabiliti, altrimenti lo stesso sistema si rivelerebbe fallimentare.

Lo Stato in questa concezione rappresenta il garante della corretta attuazione e realizzazione del diritto al credito, è quindi tenuto ad intervenire in caso di inefficienza delle istituzioni bancarie e finanziarie. Yunus parla anche della responsabilità in capo alla “comunità mondiale”, per sottolineare che la globalizzazione sta aumentando in maniera crescente l’interdipendenza tra le istituzioni politiche ed economiche, tanto che è impossibile oggi concepire la lotta alla povertà e il rispetto dei diritti umani come questioni circoscrivibili all’interno dei confini di uno Stato.

Il diritto al lavoro è enunciato sia all’art. 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 sia all’art. 6 della Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR) del 1966.

Indubbiamente la creazione di lavoro costituisce un’arma potente di lotta alla povertà, perché innesca circoli virtuosi di reddito e delle rilevanti esternalità positive nei confronti della società. Distinguiamo lavoro salariato (“wage employment”) e indipendente (“self-employment”): il modo più efficace per far sì che un individuo possa progressivamente aumentare il suo patrimonio e quindi avere più controllo sui suoi diritti e sulla sua vita è il secondo, mentre nel primo caso il risultato spesso è una vita misera, di stenti e di sacrifici “per due pasti al giorno”. Secondo Yunus i poveri sono imprenditori per natura, in quanto il buon utilizzo del credito a loro concesso è questione di sopravvivenza: sono a conoscenza del fatto che non avrebbero altre possibilità per risollevare la loro condizione, quindi faranno di tutto per far fruttare il loro prestito nonché per restituirlo.

In conclusione, per Yunus il diritto ad accedere al credito per generale lavoro indipendente deve essere garantito universalmente, come precondizione per l’effettiva realizzazione di altri diritti umani fondamentali già enunciati in Carte, Dichiarazioni e Convenzioni Internazionali (come il diritto al cibo, al lavoro, all’istruzione ecc.) che vengono invece quotidianamente negati in determinati contesti a causa dell’estrema povertà e della mancanza di adeguate politiche per lo sviluppo.

L’accesso al credito per tutti è senza dubbio una questione sollevata dalla morale, come reazione alle ingiustizie e alle disuguaglianze provocate da una globalizzazione gestita secondo gli interessi di pochi; se nel responsabilizzare i governi Yunus dimostra di voler raggiungere per questo diritto il riconoscimento legale, l’importanza e la legittimità della questione rimarrebbero intatte anche in caso di fallimento di questa proposta.

Accesso_al_Credito_e_Diritti_Umani

● Giuseppe Guarino, il giurista 94 enne parla di Democrazia soppressa

…I volumi si accumulano, uno dopo l’altro, sulla scrivania. Ognuno con un pezzetto di carta infilato alla pagina giusta, per non perdere il filo del ragionamento pronto a correre via da una riga all’altra. Nel buio del suo studio romano, sotto il cono di luce delle lampade, Giuseppe Guarino cerca dati, avvicina gli occhi, porge libri. Il giurista, classe 1922, è determinato come uno scienziato in laboratorio a smontare l’ingranaggio che ha trasformato l’Europa in un continente condannato a un inesorabile declino.

IL «COLPO DI STATO»

Ex ministro delle Finanze e dell’Industria (tra il 1988 e il 1992), docente emerito di diritto pubblico, europeista convinto (all’epoca dei padri fondatori dell’Unione) Guarino è diventato uno dei più appassionati critici della moneta unica.

 

«IL TRATTATO DI MAASTRICHT TRADITO»

Ha studiato il diritto europeo: «Un argomento entusiasmante», dice. E secondo le sue ricerche il trattato di Maastricht, il grande progetto su cui si era fondata l’Unione monetaria, è stato tradito: le leggi su cui si basava originalmente la moneta unica «non sono mai state applicate», per essere a un certo punto «sostituite» con regolamenti «opposti» e infine con il Fiscal compact.
La sua denuncia è arrivata fino al tavolo del presidente José Manuel Barroso, ma è stata anche rimandata al mittente.

E oggi l’uomo che ha insegnato il diritto pubblico a Giorgio Napolitano e Mario Draghi, denuncia il «colpo di Stato» in atto a Bruxelles. «La democrazia», commenta accorato «è stata soppressa».

[SCORRENDO IL TESTO USA PURE IL DITO INDICE PER CLICCARE SUI LINK CHE HO MESSO PER GLI APPROFONDIMENTI (L’IPERTESTUALITÀ È IL SALE DI INTERNET)]

 

DOMANDA. Per rilanciare l’economia si punta ad abbattere il debito. Il governo propone dismissioni fino a circa 12 miliardi. Sarebbe sufficiente e utile?

Risposta. Ne dubiterei. L’ammontare del debito della pubblica amministrazione corrisponde al totale degli interessi dei titoli di Stato ancora in essere, quale che sia stata la loro data di emissione.

Cioè quanto nel 2013?

R. A fine 2012 era pari a 86.717 milioni di euro, corrispondenti a 5,5 punti di Prodotto interno lordo (Pil). Per il 2013 è prevista una leggera diminuzione.

Perché non è conveniente far diminuire sin da ora il totale?

R.Conviene se la vendita porta il debito a un livello che non richieda ulteriori interventi in anni successivi. Se le previsioni danno un tasso medio di crescita del Pil inferiore al costo totale del debito, il rapporto tra debito e Pil riprende a crescere.

Lei parla di un “punto di non ritorno”. Di cosa si tratta?

R. Se il tasso prevedibile di crescita del Pil nell’anno e in quelli successivi è inferiore al tasso prevedibile di crescita del costo degli interessi negli stessi anni, il rapporto debito-Pil aumenta.

Ed è quello che sta succedendo?

R. Nel 2006 depositai in Senato, nel corso di una audizione parlamentare, una tabella in cui, partendo dal rapporto tra debito e Pil del 2005, indicavo che se il tasso di crescita del Pil fosse stato dello 0,5%, la percentuale sarebbe stata del 130% nel 2013.

Ci aveva azzeccato?

R. La media del Pil è stata inferiore e corrispondentemente il rapporto nel 2013 ha raggiunto il 133%. Si tocca il punto di non ritorno quando la crescita prevista per gli anni a venire supera il costo annuale complessivo del debito e non si prevedono fattori straordinari che possono invertire la tendenza.

Il debito italiano esisteva già nel 1991. Lei ha fatto parte della classe dirigente che ha concorso a gonfiarlo. Come è accaduto?

R. L’osservazione è corrente, ma non corretta.

In che senso?

R. Bisogna distinguere tra debito interno e debito estero. Fino al 1992 la detenzione di capitali all’estero era vietata. I creditori dello Stato erano nella quasi totalità soggetti interni, famiglie, i cittadini, banche, imprese. La formula dello Stato sociale liberava le famiglie dalla generalità dei costi per sanità, istruzione, assistenza e previdenza. La proprietà dell’abitazione era diffusa in Italia più che in qualsiasi altro Paese.

In sostanza c’era abbastanza ricchezza all’interno dei confini nazionali?

R. L’economia era sostenuta dalla domanda interna che era frutto del risparmio elevato delle famiglie. Era crescente e presente in modo abbastanza omogeneo nella quasi totalità del Paese. La parte non consumata del risparmio veniva versata allo Stato (attraverso gli acquisti di titoli). Alle scadenze i titoli venivano reinvestiti. Vi si aggiungeva spesso il ricavo degli interessi. Nel 1992 la liquidità di cui disponevano le famiglie superava di un buon quarto il debito totale dello Stato.

Cosa provocò il crollo di questo sistema?

R. Come era cresciuta la liquidità interna così, a seguito della crisi petrolifera degli anni 1978-1992, era aumentato il volume della liquidità internazionale. Venivano offerti rendimenti elevati. Si aggiungeva il miraggio di sottrarre i propri risparmi al Fisco. Il timore di incorrere in sanzioni non era sufficiente per bloccare l’esodo dei capitali.

Poi è intervenuta l’Europa.

R. La direttiva sulla libera circolazione dei capitali, compresi quelli a breve, fu una delle prime a essere adottate tra le 330 da emettere per realizzare il mercato unico europeo. Fu la trasformazione istantanea del debito da interno a estero a determinare il crollo del sistema italiano, al quale si doveva lo straordinario fenomeno del “miracolo italiano o boom italiano“.

Non si sarebbe potuto modificare il sistema interno prima che lo tsunami si producesse?

R. Non è facile modificare strutture formatisi a seguito di percorsi, frutto di lunghi processi. Si oppongono barriere culturali e di interessi che non è facile abbattere. È un fenomeno anche oggi presente. In tali condizioni, influenzati da convincimenti generali e da interessi costituiti, credendo di far bene, si adottano condotte che aggravano la situazione.

Infatti l’Italia fu uno dei primi Paesi a applicare la direttiva sulla libera circolazione dei capitali.

R. Ci sarebbe stato tempo per adottarla fino al 30 giugno 1993. Un tempo sufficiente per dare una “aggiustata” al sistema.

IL PASSAGGIO DAL DEBITO INTERNO AL DEBITO ESTERO

 

Dopo l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea (Maastricht) qualcosa si fece, anzi molto.

R. Il debito italiano, all’atto della stipula del Trattato, era pari al 100,8%. Salì nei tre anni successivi a 124,3%. Al sesto anno era pari al 116,8%. Tra il 1992 ed il 2005, vennero alienati beni pubblici, prevalentemente imprese del sistema delle partecipazioni statali, per un valore complessivo che rivalutato al 2013 ammonta a circa 128 miliardi di euro. Nel 2006 il rapporto tra debito e Pil si era ridotto al 106,5%.

Si trattò spesso di svendite. Vedi il caso Telecom.

R. Le autorità monetarie valutavano che incassare di meno, ma subito, fosse più conveniente che continuare a pagare tassi di interesse che avevano portato l’onere medio, ancora nel 1995, al 10% pregiudicando, oltre tutto, le possibilità di ammissione all’euro.

Chi furono i compratori?

R. Salvo la Nuova Pignone di Firenze che, ceduta alla General Electric, si è sviluppata a livello internazionale, per le cessioni più importanti (banche e industrie) gli acquirenti furono italiani.

I capitalisti senza capitale?

R. Lo sviluppo delle principali imprese private italiane si era basato sulla domanda interna. Dovendo ora affrontare la concorrenza internazionale, immaginarono di rafforzarsi acquisendo le imprese che potessero integrarsi con quelle già possedute. Ma due debolezze non sempre creano una forza. Le attese di crescita non si verificarono. In molti casi i compratori furono costretti a rivendere.

E i risparmiatori italiani?

R. Una buona parte investì in titoli, basati sull’impiego dei cosiddetti “derivati”, che promettevano elevato rendimento. In un primo tempo si ebbero crescenti ricavi. Scoppiata, a livello internazionale, la bolla dei derivati, le famiglie persero parecchio, in qualche caso quasi tutto.

Sin dagli Anni 60 si era avvertita la necessità di portare a conclusione il processo di integrazione europeo con la creazione di un mercato comune e di un’unione monetaria. Quali erano gli obiettivi?

R. Due effetti favorevoli erano certi. La confluenza delle singole economie in un unico grande mercato avrebbe eliminato i dazi di importazione ed esportazione e anche il costo della sosta alle frontiere, necessaria per l’espletamento dei controlli. L’impiego di una unica moneta avrebbe a sua volta eliminato i costi di transazione.

Sarebbe bastato?

R. Certamente no. Nell’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea, richiamato in tutti i trattati successivi, era fissato l’obiettivo che gli Stati intendevano conseguire. Si trattava dello «sviluppo armonioso ed equilibrato, una crescita sostenibile, non inflazionistica, rispettosa dell’ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita». Gli Stati aderenti all’Unione avrebbero rinunciato all’esercizio di buona parte della sovranità. Avrebbero ottenuto dall’Unione, quale controprestazione, la crescita, quale definita nell’articolo 2.

E come la si sarebbe ottenuta, a chi competeva?

R. Il compito non poteva che spettare agli Stati membri. L’Unione non può indebitarsi. Le risorse che affluiscono direttamente (i dazi esterni) sono poche. L’Unione provvede alle sue spese con le risorse che le versano gli Stati, in conformità di una disciplina dettata dal Trattato.

Alla crescita avrebbero dovuto dunque provvedere gli Stati. Ma con quali strumenti?

R. La disciplina dell’atto unico e quella generale dell’Unione escludevano la quasi generalità dei mezzi di cui possono avvalersi gli Stati che non fanno parte dell’Ue. Ne restavano, di possibilità, solo due, le autonome politiche economiche degli Stati che comprendono tutti gli aspetti diversi da quelli monetari, e l’indebitamento. Il Trattato sull’Unione europea (Tue) garantiva entrambi, limitandosi a chiedere che nel farne uso, si attenessero a principi di cautela che venivano indicati.

Quali?

R. L’Unione aveva un interesse diretto a che gli Stati ottenessero risultati di crescita. Solo così sarebbero stati in condizione di trasferire all’Unione le risorse necessarie. La quale si riservava, quindi, la determinazione di principi “di massima” di coordinamento. In caso di scostamento, con un apposito procedimento, avrebbe potuto emettere una raccomandazione, atto privo peraltro di efficacia vincolante.

E l’indebitamento?

R. Sarebbe stato non solo possibile, ma in presenza di circostanze favorevoli addirittura indispensabile, per valorizzare fattori produttivi esistenti e/o insufficientemente utilizzati.
A tutela del principio del carattere non inflazionistico della crescita, il Tue introduceva limiti che gli Stati non avrebbero potuto superare. Riguardavano distintamente i rapporti indebitamento (3%) e debito (60%) in relazione al Pil. Nella loro interpretazione e applicazione gli Stati e l’Unione avrebbero dovuto attenersi a criteri vincolanti.

Sarebbero stati sufficienti i due strumenti per procurare la crescita?

R. L’economia Usa ha raddoppiato nel XX secolo la sua ricchezza attenendosi a questi limiti. Li ha superati solo in anni di diretto coinvolgimento in vicende belliche.

INTRODOTTA UNA DISCIPLINA OPPOSTA A QUELLA DI MAASTRICHT

Lo sviluppo promesso non si è realizzato. Come mai? 

R. La creazione dell’Unione europea e dell’Eurozona era un’operazione molto complessa. Non esistevano precedenti. La disciplina finalizzata alla crescita sarebbe entrata in vigore all’inizio della terza fase, quella definitiva, coincidente con quella del 1 gennaio 1999 fissata per il lancio dell’euro. La fase seconda era propedeutica alla terza. Ne discende che per dare un giudizio adeguato della disciplina dettata dal Trattato sull’Unione europea rispetto all’obbligo assunto di promuovere la crescita, si deve tener conto dei soli quindici anni decorsi dal 1 gennaio 1999.

E c’è qualche norma varata nella seconda fase da segnalare?

R. Certamente. Negli anni tra l’entrata in vigore del Trattato e l’inizio della terza fase gli Stati sarebbero stati assoggettati a norme costrittive. Se non le avessero rispettate non avrebbero superato lo scrutinio per l’ammissione all’euro.
Due condizioni attenevano a dati obiettivi del periodo già trascorso. Due dovevano essere valutate al momento dell’esame di ammissione, una specie di diploma o di laurea.

E quali erano?

R. Riguardavano il tasso di inflazione e i tassi di interesse su titoli pubblici di lungo termine. Per entrambi gli aspetti si richiedeva che nel periodo antecedente lo scostamento dalla media dei tre Stati migliori non fosse stata superiore nel primo caso all’1,5%, nel secondo al 2%. Era un divario che nella concorrenza tra le economie gli Stati più deboli avrebbero potuto recuperare.

Quindi erano regole pensate per proteggere le economie più deboli?

R. Nella terza fase, cioè dal 1 gennaio 1999, le economie dei Paesi euro, partecipi di un unico mercato e fruitori di una unica moneta, avrebbero operato tra loro in concorrenza. Una concorrenza piena e leale. Se non si fossero create condizioni di omogeneità sufficienti, le economie più forti avrebbero esercitato un potere dominante sulle altre. Le regole della fase transitoria dovevano dunque creare condizioni di omogeneità, che fossero sufficienti per scongiurare il pericolo.

E la terza fase?

R. La terza fase, con il lancio della moneta comune e inizio della competizione, basata su condizioni per una leale concorrenza, è l’unica di cui si deve tener conto per valutare l’adeguatezza della disciplina contenuta nel Trattato unico europeo.
Come sono stati i risultati per la generalità dei Paesi euro?

R. Nella classifica dei 38 Paesi con minore sviluppo nel mondo negli anni dal 2000 al 2010 compresi, l’Eurozona è presente con 13 Paesi. Sorprendenti e nello stesso tempo sconvolgenti sono i risultati dei tre Paesi maggiori, Italia, Francia, Germania. L’Italia è terza, la Germania decima, la Francia quattordicesima. Si ripete, la classifica non è dei migliori risultati decennali nel mondo, bensì dei peggiori. Nella identica classifica relativa al decennio antecedente, 1990-2000, nessuno dei Paesi euro era presente. L’evento, da ritenere responsabile della depressione diffusa e crescente nella zona euro, deve essersi necessariamente verificato tra il 1999 e il 2000.

E di che evento si tratta?

R. Ce ne è uno solo, coincidente con il lancio dell’euro. Alla data del 1 gennaio 1999, invece della disciplina stabilita dal Trattato unico europeo per la terza fase, ne è stata applicata una diversa, anzi opposta, introdotta a partire per l’appunto dal 1 gennaio 1999, con un regolamento, il numero 1466/97. Il regolamento è stato applicato sino al 27 giugno 2005.

E poi?

R. Gli è subentrato il regolamento 1055/2005, rimasto in vigore sino al 16 novembre 2011.
Data in cui è arrivato un terzo regolamento, il numero 1175/2011, cui ha fatto seguito un atto atipico, denominato Fiscal compact con il quale, nell’impossibilità che si raggiungessero i voti necessari per modificare il Trattato in vigore, quello di Lisbona, si è cercato di aggirare l’ostacolo con un Trattato non europeo, ma di diritto internazionale.

Chi prese quella prima iniziativa?

R. L’iniziativa fu presa dalla Commissione, esulando da qualsiasi competenza attribuitale dal Trattato di Lisbona. Mentre gli organi dell’Unione proponevano ed applicavano i regolamenti, era entrato in vigore (il 1° maggio 1999) il trattato di Amsterdam. Veniva poi adottato ed era entrato in vigore (1° dicembre 2009) il Trattato di Lisbona.
Entrambi i Trattati riproducevano testualmente le statuizioni degli articoli 102 A, 103, 104 c) e protocollo numero 5, contenenti la disciplina dell’euro.

Con quali conseguenze?

R. La commissione è andata avanti come se i Trattati non esistessero. Hanno imposto le norme, che sono responsabili della depressione che attanaglia da 15 anni l’Europa. La disciplina, che era stata studiata con tanta accortezza dagli elaboratori del Trattato sull’Unione e per promuovere la crescita, non è stata mai applicata.

Formalmente cosa è successo?

R. Il Trattato sull’Unione europea (Tue) e oggi il Trattato di Lisbona, che riproduce il testo del Tue, affida la funzione della crescita agli Stati membri ed attribuisce agli Stati due poteri. Il primo, di avere ciascuno una propria autonoma politica economica. Il secondo, di indebitarsi nei limiti dei valori di riferimento di cui al protocollo numero 5, da interpretarsi secondo i criteri vincolanti dettati dall’articolo 104 c) del Trattato unico europeo, oggi 126 Trattato di Lisbona. Il regolamento 1466/97 e nel suo solco in forma aggravata gli atti successivi, hanno cancellato i due poteri.

E come li hanno sostituiti?

R. Non li hanno sostituiti con altri poteri. Hanno collocato al loro posto due doveri.
Il primo, eguale per tutti gli Stati euro, consistente nell’avere a medio termine un bilancio in attivo o in pareggio, il secondo, diverso da Stato a Stato, di pervenire al risultato in stretta osservanza di un programma definito per ciascuno Stato dagli organi dell’Unione.

Quali conseguenze vanno tratte dalle modifiche apportate?

R. Parecchie. Alcune gravissime, e del tutto imprevedibili.

«CON IL NUOVO REGOLAMENTO È STATA SOPPRESSA LA DEMOCRAZIA»

 

Per esempio?

R. Se la crescita non si produce in modo fisiologico per effetto di condizioni favorevoli preesistenti, si rende necessario stimolarla. È indispensabile in tal caso la presenza di due fattori distinti. Il primo, che esistano in quantità sufficiente fattori valorizzabili. Il secondo, che lo Stato, dove non disponga già di adeguate risorse, possa ricorrere all’indebitamento.
I regolamenti hanno cancellato la politica economica degli Stati e la capacità di indebitarsi, sia pur nei limiti di cui agli articoli 104 c) del Trattato sull’Unione europa e 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Lisbona).
Nessuno degli Stati euro, oggi in difficoltà, disponeva al 1 gennaio 1999 di un bilancio in pareggio.

Il pareggio di bilancio è l’origine del problema?

R. Il deterioramento progressivo e crescente delle loro economie dipende dal divieto di indebitarsi anche se fosse stato presente il secondo dei presupposti per la crescita.
Fattori valorizzabili erano tutti quelli che la depressione aveva espulso dalla produzione, se ancora vitali o recuperabili. Ma mancavano le risorse.

Abbiamo perso un’opportunità?

R. Ogni occasione favorevole è andata perduta. Le risorse disponibili sono sotto i nostri occhi. L’elevatissimo e imprevedibile numero di disoccupati e sottooccupati nell’insieme dell’Eurozona ed in ciascuno dei Paesi senza deroga, imprese costrette a dismettere la loro attività, deterioramento nel funzionamento della pubblica amministrazione e dei beni pubblici, decadenza delle prestazioni rese ai cittadini, difficoltà nel far fronte ad eventi eccezionali, e così via.

E c’è una seconda conseguenza?

R. È la più grave. Se in materia economica tutti i poteri dello Stato sono stati cancellati, responsabile dei risultati è il sistema applicato. Nella specie l’insieme delle regole astratte, imposto a partire dal 1 gennaio 1999.
Gli organi dell’Unione controllano con rigore che siano puntualmente applicati. Sono costretti a loro volta ad attenersi alle specifiche norme che regolano le loro condotte. Si ha come risultato finale che i cittadini di ciascun Paese membro non dispongono di alcun potere per influire sulle discipline cui saranno assoggettati.

Significa che c’è un deficit di democrazia?

R. La “democrazia” non consiste nella semplice titolarità di una serie, quand’anche la più completa e precisa, di diritti di libertà. Non v’è ancora “democrazia”, se ai diritti di libertà si aggiunge un nutrito gruppo di diritti sociali. La “democrazia” esige che i cittadini possano trasmettere a governanti, che a essi rispondono, orientamenti e indirizzi in merito alla disciplina che dovranno applicare. Il presupposto è che i loro governanti dispongono di poteri sul cui esercizio i cittadini possono esercitare la loro influenza.

E non è così?

R. Nella materia economica che nelle condizioni storiche attuali è determinante su ogni altro settore della convivenza, i governi degli Stati membri, a partire dal 1 gennaio 1999, hanno solo obblighi, non poteri. La “democrazia”, principio fondante della costituzione di ciascuno Stato membro, condizione richiesta dai Trattati ai fini dell’ammissione all’Unione, è stata soppressa, nell’Eurozona cancellata sino alle sue ultime radici, a partire dal 1 gennaio 1999.

Non ci sono strumenti per cambiare le cose?

R. Degli istituti della democrazia restano nomi e simboli. La sostanza è scomparsa. Nessun referendum potrebbe abrogare la disciplina dei regolamenti dell’Unione. I partiti dovrebbero consentire ai cittadini di concorrere con metodo democratico alla politica nazionale. Sono divenuti aggregati di gruppi per la conquista di un potere che non esiste. I sindacati sono impotenti. Manifestazioni individuali e collettive, comprese le più gravi, restano senza effetto. Anche se si lanciasse una bomba atomica, ipotesi assurda, non servirebbe a nulla. Si ampliano invece gli spazi per la corruzione, per l’illiceità, per il mero verbalismo.

Finiscono qui le conseguenze?

R. Ve ne è un’altra che da sola dimostra la dannosa pericolosità del sistema applicato dal 1 gennaio 1999. In ogni sistema giuridico, poste alcune premesse, anche se non ne sono state valutate le conseguenze, queste non possono non prodursi.
Il principio del bilancio attivo o in pareggio a medio termine è stato imposto con regole generali a tutti gli Stati ammessi all’euro. Le condizioni non erano identiche. Alcuni Paesi avevano da tempo un bilancio in pareggio o prossimo al pareggio, altri ne erano distanti. La prescrizione non rivolta ai secondi di realizzare il pareggio a medio termine, comportava di fatto che essi assumessero una conformazione analoga, anzi identica, a quella dei primi.

Insomma una imposizione inattuabile?

R. Nelle corse al trotto dei cavalli, se non erro, si gravano di handicap i migliori perché tutti abbiano pari opportunità di classificarsi tra i primi. Il principio applicato dai regolamenti è opposto. L’handicap è stato imposto alle economie più deboli, non a quelle più forti. Ne risultano violate le condizioni essenziali per una leale concorrenza. In via generale si è reso più difficile ai più deboli il raggiungimento del pareggio. Quindi si è imposta una regola non coerente con il principio della concorrenza.

 

«LA COMMISSIONE HA INDIVIDUATO L’ERRORE NELLA INSUFFICIENZA DEL RIGORE»

 

Ma dati i risultati negativi, non c’è stata una riflessione successiva?

R. Il regolamento 1175/2011 afferma che in precedenza erano stati commessi sbagli. Ha individuato l’errore nella insufficienza del rigore. Raccogliendo un seme presente nel regolamento 1466/97, lo ha concimato e lo ha portato a fioritura.
L’obbligo, quello generale del bilancio a medio termine e quello specifico di ciascuno degli Stati membri di attenersi al programma per essi definito, da solo non avrebbe generato crescita. Ma il regolamento ha sostenuto che gli Stati che partivano indietro, per correre come migliori, avrebbero dovuto assumere conformazioni identiche, o quanto meno analoghe, a quelle dei migliori. A cominciare dalle strutture.

Cosa intenede per strutture?

R. Qui il discorso potrebbe proseguire su due piani distinti, su quello formale e su quello sostanziale. A quale dei due dare la preferenza?

Cominciamo da quello sostanziale.

R. I sistemi economici, a maggior ragione gli Stati, sono organismi diversi ma assimilabili agli uomini e a qualsiasi altra specie di entità vivente. In ogni organismo le componenti, le grandi come le minime, sono in perpetuo movimento.
Ogni entità è, nel momento successivo, diversa da quella che era nel momento anteriore. Ogni entità è somigliante, ma nello stesso tempo necessariamente diversa da qualsiasi altra della medesima specie. Pur nella diversità della conformazione tutte le entità della medesima specie sono costituite da organi o da sistemi di organi presenti in tutte le altre entità della medesima specie. Sono le strutture.
In ogni organismo i singoli organi e i sistemi che gli stessi formano corrispondono a quelli che concorrono alla conformazione delle altre entità della medesima specie. Ma sono necessariamente diverse.

E cosa c’entrano le strutture con le norme europee?

R. Queste peculiarità valgono anche per l’Unione e per gli Stati membri. Le entità elementari, e così anche se si risale ai livelli superiori, si influenzano reciprocamente. Non sono mai identiche ai corrispondenti organi o sistemi, che concorrono alla conformazione delle altre entità della specie. Per i trapianti che si effettuano nell’uomo non si dispone mai di organi identici a quello da sostituire. Le differenze sono inevitabili. Ci si deve limitare ad accertare che non sia incompatibile.
Le strutture di organismi, quali gli Stati e le loro economie, corrispondono, come ora detto, agli organi del corpo umano e ai sistemi che concorrono alla conformazione di ogni singola specie. Non sono mai identiche dall’una all’altra entità della medesima specie.

Quindi non si possono ‘replicare’le strutture di un altro Stato?

R. Se si inserisce la struttura di una economia in un’altra economia, quella di uno Stato in un altro Stato, è prevedibile che si provochino danni.
Eliminando la struttura preesistente si genera un vuoto. Se la preesistente viene sostituita da altra sul modello di un diverso sistema, non vi è certezza del se e quando si realizzerà la piena integrazione con le componenti preesistenti contigue o connesse. Il danno della demolizione dell’esistente è immediato, il beneficio sperato dall’inserimento è necessariamente futuro.

Insomma non ne vale la pena?

R. È comunque incerto. Il danno provocato dall’eliminazione di strutture complesse e antiche non è mai circoscritto. Nelle conformazioni, frutto di antica storia, ogni componente risulta sempre intrecciata con molte altre. Fa parte di nodi che non è facile sciogliere.

C’è qualcosa da aggiungere dal punto di vista del diritto?

R. Il regolamento 1175/2011 indica come sua fonte leggittimatrice l’articolo 121, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Lisbona). Il regolamento, lo si è notato nella sintetica esposizione del suo contenuto, conferma nella sua totalità discipline che non trovano corrispondenza nei tre Trattati (Maastricht, Amsterdam, Lisbona). E che contengono norme in contrasto con la disciplina dei poteri conferiti dai Trattati agli Stati quali strumenti essenziali per la produzione della crescita.
Il regolamento 1175/2011 cerca di accreditare la sua legittimità richiamandosi all’articolo 121, numero 6 Tfue. La citazione è erronea.

Qual è l’errore?

R. L’articolo 121, numero 6 Tfue non consente al regolamento di modificare il Trattato in un punto fondamentale. La disciplina originaria dei poteri di indebitamento degli Stati e dei loro limiti è quella dell’articolo 104 c) Tue, ora 126 Tfue.
La disciplina si compone di tre parti. La prima, commi 1 e 2, lettere a) e b), regola le parti sostanziali della disciplina. E assume a base della disciplina distinti rapporti del debito e dell’indebitamento con il Pil.
In una seconda parte, comma 2, ultimo capoverso, l’articolo 104 c) Tue, contiene un rinvio al protocollo numero 5 il cui oggetto è unicamente la determinazione dei valori di riferimento, compresa la definizione dei termini adoperati. In una terza parte, numeri da 3 ad 11, l’articolo 104 c) Tue detta la disciplina della sorveglianza e sanzionatoria.

Nemmeno il Consiglio può modificare le norme?

R.Il richiamato numero 11, articolo 126 Tfue, attribuisce al Consiglio di «adottare le opportune disposizioni che sostituiscono detto protocollo, avvalendosi della procedura legislativa speciale previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea. La competenza attribuita al Consiglio è solo la sostituzione del protocollo. Il contenuto del protocollo si limita alla specificazione dei «valori di riferimento» (ultimo capoverso del numero 1).
Il riferimento dei valori al rapporto tra debito e indebitamento ed il Pil, e i criteri vincolanti per la interpretazione e applicazione degli stessi di cui agli alinea a) e b) del numero 2 dell’articolo126, sono oggetto regolato esclusivamente dall’articolo 104 c) Tue, ora 126 Lisbona. Un oggetto quindi del tutto diverso dalla specificazione dei valori di riferimento, unica competenza attribuita al protocollo numero 5. (Intervista di Giovanna Faggionato, 4/12/13)

 

● Hai capito chi è veramente l’individuo, in punto di diritto?

 

…è un essere umano titolare di Personalità Giuridica a cui sono negati ben individuati Diritti inalienabili (DUDU >>> goo.gl/Zt56BJ, CEDU >>> goo.gl/9Buapv).

Ricorrendo al Diritto internazionale

l’individuo fuoriesce dalla trappola dell’atto di nascita che lo aveva reso un’astrazione, una Finzione giuridica strumentale al Sistema. Secondo la prassi, il Diritto internazionale è fonte superiore alle leggi della Repubblica, difatti, l’articolo 10 della Carta Costituzionale dispone che l’ordinamento giuridico si adatti automaticamente alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, in quanto tali norme sono considerate parte integrante del diritto della Repubblica.

L’inganno dell’atto di nascita

La deminutio capitis del nome effigia a vita gli effetti nefasti sul pupillo tolto alla potestà dei genitori naturali, ignari di averlo ceduto alla Repubblica . Usando arbitrariamente e artificiosamente il nome del neonato, con l’atto di nascita viene creato il suo “soggetto giuridico”, essendo tale contratto nullo “ab origine”, ogni successivo abuso di tale status creato “ens legis” è arbitrario, coercitivo, illegale e teso alla schiavizzazione del singolo individuo. Ogni consenso ottenuto senza che ai genitori sia fornita una spiegazione dettagliata dei particolari sopra citati, rende il contratto nullo “ab origine” a causa di vizi occulti.

 

Riepilogando

Quella che segue, liberamente fruibile tramite il web, è l’idea di P.U. (il video è pubblico), andrebbe studiata a fondo, non richiede costi di consultazione né tessere e ciascuno fa sé. Può soccorrere chiunque, specialmente i figli minori. Ciò che è vincente è l’azione individuale, la consapevolezza, l’autodeterminazione del singolo essere umano…

 

Congratulazioni, hai scoperto cosa è la LR.

http://sendvid.com/n655vze6

 

L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (P.U.) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Diritti umani: principali Carte, Convenzioni e Dichiarazioni

– Carta delle Nazioni Unite (1945)
Data di adozione: 26/6/1945 – Data di entrata in vigore: 24/10/1945
ONU

– DUDU Dichiarazione universale dei diritti umani (1948)
Data di adozione: 10/12/1948
ONU

– Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948)
Data di adozione: 9/12/1948 – Data di entrata in vigore: 12/1/1951
ONU

– Convenzione sullo status dei rifugiati (1951)
Data di adozione: 28/7/1951 – Data di entrata in vigore: 22/4/1954
ONU

– Protocollo relativo allo status di rifugiato (1967)
Data di adozione: 31/1/1967 – Data di entrata in vigore: 4/10/1967
ONU

– Convenzione sullo status degli apolidi (1954)
Data di adozione: 28/9/1954 – Data di entrata in vigore: 6/6/1960
ONU

– Convenzione supplementare sull’abolizione della schiavitù, del commercio di schiavi, e sulle istituzioni e pratiche assimilabili alla schiavitù (1956)
Data di adozione: 7/9/1956 – Data di entrata in vigore: 30/4/1957
ONU

– Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965)
Data di adozione: 21/12/1965 – Data di entrata in vigore: 4/1/1969
ONU

– Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966)
Data di adozione: 16/12/1966 – Data di entrata in vigore: 3/1/1976
ONU

– Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966)
Data di adozione: 16/12/1966 – Data di entrata in vigore: 23/3/1976
ONU

– Protocollo Opzionale relativo al Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966)
Data di adozione: 16/12/1966 – Data di entrata in vigore: 23/3/1976
ONU

– Secondo Protocollo facoltativo al Patto internazionale sui diritti civili e politici sull’abolizione della pena di morte (1989)
Data di adozione: 15/12/1989 – Data di entrata in vigore: 11/7/1991
ONU

– Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (1979)
Data di adozione: 18/12/1979 – Data di entrata in vigore: 3/9/1981
ONU

– Protocollo opzionale alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (1999)
Data di adozione: 6/10/1999 – Data di entrata in vigore: 22/12/2000
ONU

– Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993)
Data di adozione: 20/12/1993
ONU

– Piano d’azione mondiale di educazione per i diritti umani e la democrazia, adottato dal Congresso internazionale sull’educazione per i diritti umani e la democrazia
Data di adozione: Montreal, 8-11/031993
UNESCO

– Dichiarazione di Vienna e Programma d’azione (1993)
Data di adozione: 25/6/1993
ONU

– Decennio per l’educazione ai diritti umani (1995)
Data di adozione: 01/01/1995
ONU

– Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo (1981)
Data di adozione: 25/11/1981
ONU

– Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace (1984)
Data di adozione: 12/11/1984
ONU

– Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1984)
Data di adozione: 10/12/1984 – Data di entrata in vigore: 26/6/1987
ONU

– Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (2003)
Data di adozione: 18/12/2002 – Data di entrata in vigore: 22/6/2006
ONU

– Dichiarazione sul diritto allo sviluppo (1986)
Data di adozione: 4/12/1986
ONU

– Convenzione sui diritti del bambino (1989)
Data di adozione: 20/11/1989 – Data di entrata in vigore: 2/9/1990
ONU

– Protocollo facoltativo alla Convenzione sui diritti del bambino riguardante il traffico di bambini, la prostituzione infantile e la pornografia infantile
Data di adozione: 25/5/2000 – Data di entrata in vigore: 18/1/2002
ONU

– Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie (1990)
Data di adozione: 18/12/1990 – Data di entrata in vigore: 1/7/2003
ONU

– Il Decennio per l’educazione ai diritti umani (1994)
Data di adozione: 14/12/1994
ONU

– Dichiarazione sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future (1997)
Data di adozione: 12/11/1997
ONU

– Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti umani (1997)
Data di adozione: 11/11/1997
UNESCO

– Dichiarazione del Millennio (2000)
Data di adozione: 8/9/2000
ONU

– Convenzione relativa alla proibizione e immediata azione per l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile (2000)
Data di adozione: 17/6/1999 – Data di entrata in vigore: 19/11/2000
OIL

– Norme sulle responsabilità delle imprese transnazionali e delle altre imprese commerciali in materia di diritti umani (2003)
Data di adozione: 13/8/2003
ONU

– Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata (2006)
Data di adozione: 20/12/2006 – Data di entrata in vigore: 23/12/2010
ONU

– Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (2007)
Data di adozione: 13/9/2007
ONU

Diritto internazionale umanitario

– IV Convenzione dell’Aja concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre e regolamento annesso (1907)
Data di adozione: 18/10/1907 – Data di entrata in vigore: 26/01/1910

– Protocollo concernente la proibizione di usare in guerra gas asfissianti, tossici o simili e mezzi batteriologiche (1925)
Data di adozione: 17/06/1925 – Data di entrata in vigore: 08/02/1928

– I° Convenzione di Ginevra sulla protezione dei feriti e dei malati nella guerra terrestre
– II° Convenzione di Ginevra sulla protezione dei feriti, malati e naufraghi nella guerra marittima
– III° Convenzione di Ginevra sulla protezione dei prigionieri di guerra
– IV° Convenzione di Ginevra sulla protezione della popolazione civile
Data di adozione: 1949

– I° Protocollo addizionale relativo ai conflitti armati internazionale e II° Protocollo addizionale relativo ai conflitti armati non internazionali
Data di adozione: 1977

– Convenzione che vieta lo sviluppo, la fabbricazione e lo stoccaggio delle armi batteriologiche (biologiche) o a base di tossine e che disciplina la loro distruzione (1972)
Convenzione sulle armi biologiche
Data di adozione: 10/4/1972 – Data di entrata in vigore: 26/3/1975
ONU

– Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari e ad ogni altro scopo ostile (1976)
Data di adozione: 10/12/1976 – Data di entrata in vigore: 5/10/1978
ONU

– Convenzione sul divieto o la limitazione dell’impiego di talune armi classiche che possono essere ritenute capaci di causare effetti traumatici (e protocolli facoltativi)
Data di adozione: 10/10/1980 – Data di entrata in vigore: 2/12/1983
ONU

– Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, stoccaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione (1993)
Data di adozione: 13/1/1993 – Data di entrata in vigore: 29/4/1997
ONU

– Convenzione sul divieto di impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione
Data di adozione: 18/9/1997 – Data di entrata in vigore: 1/3/1999
ONU

Principali Carte regionali in materia di diritti umani

– Convenzione americana sui diritti umani (1969)
Patto di San José di Costarica
Data di adozione: 22/11/1969 – Data di entrata in vigore: 18/7/1978
OAS – Organizzazione degli Stati Americani

– Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981)
Data di adozione: 28/6/1981 – Data di entrata in vigore: 21/10/1986
UA – Unione Africana

– Protocollo alla Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli relativo alla creazione di una Corte africana dei diritti dell’uomo
Data di adozione: 10/6/1998 – Data di entrata in vigore: 25/1/2004
UA

– Protocollo alla Carta Africana sui diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa (2003)
Data di adozione: 11/7/2003 – Data di entrata in vigore: 25/11/2005
UA – Unione Africana

– Carta araba dei diritti dell’uomo (emendata) (2004)
Data di adozione: 15/9/1994 – Data di entrata in vigore: 15/3/2008
Lega degli Stati Arabi

– Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam (1990)
Data di adozione: 5/8/1990
Organizzazione della Conferenza Islamica

Principali Convenzioni e Dichiarazioni adottate a livello europeo

– CEDU Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950) e Protocolli addizionali
Data di adozione: 4/11/1950 – Data di entrata in vigore: 3/9/1953
COE – Consiglio d’Europa

– Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1987)
Data di adozione: 26/11/1987 – Data di entrata in vigore: 1/2/1989
COE – Consiglio d’Europa

– Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali (1995)
Data di adozione: 1/2/1995 – Data di entrata in vigore: 1/2/1998
COE – Consiglio d’Europa

– Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori (1996)
Data di adozione: 25/1/1996 – Data di entrata in vigore: 1/7/2000
COE – Consiglio d’Europa

– Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (1997)
Convenzione sui diritti umani e la biomedicina – Convenzione di Oviedo
Data di adozione: 4/4/1997 – Data di entrata in vigore: 1/12/1999
COE – Consiglio d’Europa

– Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000)
Data di adozione: 7/12/2000
UE – Unione Europea

– Carta Sociale Europea (riveduta) (1996)
Data di adozione: 3/5/1996 – Data di entrata in vigore: 1/7/1999
COE – Consiglio d’Europa

– Carta sull’educazione alla cittadinanza democratica e ai diritti umani
Data di adozione: 11/05/2010
COE

* * *

QUI [https://goo.gl/NMfggy] trovi la RACCOLTA NORMATIVA MANUALE DEI DIRITTI UMANI
Trattati, Convenzioni, Dichiarazioni, Statuti, Protocolli
aggiornati al 2004  (1395 pagine).

 

 

● Scopo. Un semplice parere, giusto o sbagliato che sia, formato sui contributi di P.U. (*) (**)

popolounicolaricercacontinuaLo scopo  dell’Autocertificazione della qualità di Legale Rappresentante (ved. qui), costituente il tuo trust, personificando il nuovo trustee delle tue finzioni e funzioni giuridiche (così annullando il trust formato illecitamente dallo Stato, nullo ab origine perché “indotto” all’atto di nascita) è quello di riprendere saldamente il controllo della tua personalità giuridica libera da qualsiasi autorità, avente  la facoltà di esercitare in prima persona la capacità di agire giuridicamente senza l’ausilio o l’ingerenza di intermediari. La personalità giuridica è un istituto riconosciuto ad ogni individuo alla nascita solo per il fatto di esistere… (Cit. prof. A. Papisca: “Quella della Persona Umana è Personalità giuridica di Diritto Universale, UN DIRITTO SUPER-COSTITUZIONALE per sua intrinseca natura…”).

QUINDI:

Art. 6 – Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

(Recepito nell’ Art.16 (#), Parte terza, Legge 25 ottobre 1977, n. 881)

Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica. (Cit. prof. A. Papisca: “Avere personalità giuridica significa “esistere” per un ordinamento giuridico, naturalmente con diritti, doveri e responsabilità.).

Il riconoscimento del fatto che la persona umana, in quanto tale, è soggetto, non oggetto di diritto, è atto dovuto. Quale ritolare di diritti che ineriscono alla dignità umana, la persona nasce come soggetto giuridico. Gli ordinamenti giuridici non esisterebbero senza la persona umana, poiché questa ne è il fondamento.

L’immigrato irregolare, il Nomade o i cosiddetti homeless (senza dimora) o sans-papiers non sono “sconosciuti” al diritto, tanto meno “inesistenti” per esso.

La “soggettività giuridica” è distinta dalla “cittadinanza”, come d’altronde stabilisce la Dichiarazione universale che dedica specificamente alla seconda l’articolo 15. Essa è uno status primordiale della persona, le cui modalità o articolazioni operative – per l’esercizio di diritti e di doveri – sono specificate appunto nello statuto di cittadinanza: questo avviene, storicamente, all’interno dei singoli ordinamenti statuali.

La personalità giuridica dell’essere umano va distinta dalla personalità giuridica di strutture organizzate che sono create per il conseguimento di determinati fini: gli stati, i comuni, le organizzazioni intergovernative, le camere di commercio, le università, le associazioni. Per queste entità “derivate” si parla di “persone giuridiche” per distinguerle appunto dalle persone umane la cui soggettività giuridica, ripeto, ha carattere “originario”. E’ appena il caso di segnalare che la personalità giuridica degli enti derivati può essere di diritto pubblico o di diritto privato.

Nel caso degli enti e delle associazioni all’interno degli stati la personalità giuridica è “attribuita” o “concessa”, diversamente che per le persone umane la cui soggettività giuridica, preesistendo al diritto positivo, è, deve essere semplicemente ‘riconosciuta’. Nei tempi, non propriamente preistorici, in cui studiavo il Diritto internazionale, nei relativi manuali trovavo un capitolo o, addirittura, un paragrafo intitolato: “L’individuo, oggetto del Diritto internazionale”. L’assunto era che soltanto gli Stati ne erano i soggetti, unici ed esclusivi: le persone umane erano ‘cosa loro’, come dire un affare interno alla rispettiva giurisdizione domestica. La dogmatica giuridica che argomentava sulla persona umana ‘oggetto’ è stata ampiamente usata ed abusata dalle ideologie che esaltavano, o addirittura deificavano, lo Stato come soggetto giuridico iperumano.

Con l’avvento del Diritto internazionale dei diritti umani, la persona umana viene liberata nella sua soggettività giuridica originaria e trionfa dunque sulla perniciossima idolatria statualistica”. 

RI-CITO:

“Quella della persona umana è personalità giuridica di diritto universale, un diritto SUPER-COSTITUZIONALE per sua intrinseca natura”.

Non riconoscendoti nel soggetto di diritto internazionale “Persona Umana” NON DISPONI PIENAMENTE DEI TUOI DIRITTI: non vi accedi perché la CITTADINANZA si innesta, negandoli, tra te e questi diritti inalienabili.

I tuoi diritti sono “accantonati” mediante l’attribuzione coatta della “cittadinanza” (non confonderti con la nazionalità, che è un’altra cosa).

Il LR, quale trustee del nuovo trust,

  • amministra e dispone in modo esclusivo di tutte le funzioni – finzioni giuridiche stabilite artificiosamente a suo tempo dallo Stato, in capo all’individuo, così rendendolo cittadino;
  • solleva l’individuo dagli INDEBITI obblighi cui era stato fatto segno illegittimamente, attribuitigli senza il suo consenso…
(*) https://www.popolounico.org/
(**) https://dirittiumaniblog.wordpress.com/2016/07/06/legale-rappresentanza-e-un-living-trust/

 

(#) Secondo quanto scaturisce dall’interpretazione (Antonio Cassese) dell’art. 10 Cost., in realtà non ci sarebbe bisogno di una legge ad hoc per l’attuazione dei trattati, ma la prassi non ha dato seguito a questa interpretazione.

L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Ti regalo un’idea…

Cosa c’è scritto qua, POLITICO IGNORANTE E CAPRA?

Legge 881/1977 Parte Terza:
ARTICOLO 7

Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro, le quali garantiscano in particolare:

a) la remunerazione che assicuri a tutti i lavoratori, come minimo:

  • i) un equo salario ed una uguale remunerazione per un   lavoro di eguale valore, senza distinzione di   alcun   genere;   in particolare   devono   essere   garantite alle   donne condizioni di lavoro   non   inferiori a quelle godute dagli uomini, con una eguale remunerazione per un eguale lavoro;
  • ii) un’esistenza   decorosa   per essi e per le loro famiglie in conformità delle disposizioni del presente Patto;

b) la sicurezza e l’igiene del lavoro;

c) la possibilità uguale per tutti di essere promossi, nel rispettivo lavoro, alla categoria superiore appropriata, senza altra considerazione che non sia quella dell’anzianità di servizio e delle attitudini personali;

d) il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi.

ARTICOLO 11

1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita.

Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare l’attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l’importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero consenso.

ARTICOLO 12

1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire.

2. Le misure che gli Stati parti del presente Patto dovranno prendere per assicurare la piena attuazione di   tale   diritto comprenderanno quelle necessarie ai seguenti fini:

  • a) la diminuzione del numero dei nati morti e della mortalità infantile, nonché il sano sviluppo dei fanciulli;
  • b) il miglioramento di tutti gli aspetti dell’igiene ambientale e industriale;
  • c) la profilassi, la cura e il controllo delle   malattie epidemiche, endemiche, professionali e d’altro genere;
  • d) la creazione di condizioni che assicurino a tutti servizi medici e assistenza medica in caso di malattia.

ARTICOLO 13

1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo all’istituzione. Essi convengono sul fatto   che l’istruzione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e del senso della sua dignità e rafforzare il rispetto per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali. Essi convengono inoltre che l’istruzione deve porre tutti gli individui in grado di partecipare in modo effettivo alla vita di una società libera, deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le nazioni e tutti i gruppi razziali, etnici o religiosi ed incoraggiare lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

2. Gli Stati parti del presente Patto, al fine di assicurare la piena attuazione di questo diritto, riconoscono che:

  • a) l’istruzione primaria deve essere obbligatoria e accessibile gratuitamente a tutti;
  • b) l’istruzione secondaria nelle sue diverse forme, inclusa l’istruzione secondaria tecnica e professionale, deve essere resa generale ed accessibile a tutti con ogni mezzo a ciò idoneo, ed in particolare mediante l’instaurazione progressiva   dell’istruzione gratuita;
  • c) l’istruzione superiore deve essere resa accessibile a tutti su un piano d’uguaglianza, in base alle attitudini di ciascuno, con ogni mezzo a ciò idoneo, ed in particolare mediante l’instaurazione progressiva dell’istruzione gratuita;
  • d) l’istruzione di base deve essere incoraggiata o intensificata nella misura del possibile, a beneficio degli individui che non hanno ricevuto istruzione primaria o non ne hanno completato il corso;
  • e) deve perseguirsi attivamente lo sviluppo di un sistema di scuole di ogni grado, stabilirsi un adeguato sistema di borse di studio e assicurarsi un continuo miglioramento delle condizioni materiali del personale insegnante.

3. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà dei genitori e, ove del caso, dei tutori legali, di scegliere per i figli scuole diverse da quelle istituite dalle autorità pubbliche, purché conformi ai requisiti fondamentali che possono essere prescritti o approvati dallo Stato in materia di istruzione, e di curare l’educazione religiosa e morale dei figli inconformità alle proprie convinzioni.

4. Nessuna disposizione di questo articolo sara’ interpretata nel senso di recare pregiudizio alla liberta’ degli individui e degli enti di fondare e dirigere istituti di istruzione, purché i principi enunciati nel 1° paragrafo di questo articolo vengano rispettati e l’istruzione impartita in tali istituti sia conforme ai requisiti fondamentali che possano essere prescritti dallo Stato.

 

\(°_^)/

 

NE HANNO DIRITTO TUTTI (COMPRESI GLI ITALIANI) …SE NON CI FOSSERO POLITICI CHE NON CONOSCONO NULLA DI LEGGI.

 

 

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L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Difensore dei Diritti Umani Universali

I diritti umani vogliono difendere la persona in quanto essere umano, da qualunque tipo di attacco proveniente da chiunque. Noi siamo tutti quanti, a pienissimo diritto, “sovranazionalmente” ed in modo plenipotenziario “human rights defenders” “difensori dei diritti umani”. QUI il link alla “Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei diritti umani”. Quella che segue è la Coalizione sui difensori dei diritti umani, composta e sostenuta da:

AIDOS,

Amnesty International,

Associazione Antigone,

Centro di Ateneo per i Diritti Umani,

Università di Padova,

Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili,

AOI,

ARCI,

ARCS,

Associazione Articolo 21,

CGIL,

Comitato Giustizia per i Nuovi Desaparecidos,

COSPE, Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco,

Giuristi Democratici,

Greenpeace Italia,

Legambiente,

Libera,

Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie,

Non c’è Pace senza Giustizia,

Operazione Colomba,

Radicali Italiani,

Rete per la Pace,

Terra Nuova,

Peace Brigades International – Italia,

Progetto Endangered Lawyers/Avvocati Minacciati,

Unione Camere Penali Italiane,

Un ponte per…

 

Pochi giorni fa, precisamente il 31 gennaio, la Commissione Esteri della Camera dei Deputati ha approvato la risoluzione sui Difensori dei Diritti Umani che riprende le richieste della Coalizione. Di seguito il testo integrale che merita di essere letto con attenzione per conoscere quanto messo in atto in altri Paesi e gli impegni richiesti all’Esecutivo italiano.

 

Risoluzione n. 7-01051 Tidei: Sulla tutela dei difensori dei diritti umani

RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

La III Commissione,

premesso che:

  • la tutela dei diritti umani fondamentali rappresenta una delle principali innovazioni normative della cultura giuridica occidentale. Dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani sono valori conclamati e sanciti con forza nella nostra Carta costituzionale, nella Carta dei diritti fondamentali e nei Trattati dell’Unione europea, nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché nella Dichiarazione universale dei diritti umani;
  • come riportato da numerose organizzazioni non governative, in ogni parte del mondo esistono ancora violazioni dei diritti fondamentali; secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International sono almeno 113 i Paesi nei quali la libertà di espressione e di stampa viene limitata, mentre in almeno 36 Paesi del mondo si sono registrate violazioni dovute alla presenza di gruppi o milizie armate e in 122 Paesi ci sono stati episodi di tortura documentati;
  • anche in alcuni Paesi membri dell’Unione europea, vanno diffondendosi politiche e azioni tese a violare i diritti umani e le libertà fondamentali;
  • i difensori dei diritti umani sono persone, gruppi di persone od organizzazioni che promuovono e proteggono i diritti umani attraverso mezzi pacifici e non violenti;
  • il riconoscimento giuridico dei difensori dei diritti umani è avvenuto con la «Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti», più nota come «Dichiarazione sui difensori dei diritti umani». Questo atto, dall’indiscutibile autorevolezza morale, ha il pregio di riconoscere formalmente la «difesa» dei diritti umani come un diritto in sé e di riconoscere gli individui che agiscono in difesa dei diritti umani come «Human Rights Defenders». A seguito di questo notevole riconoscimento giuridico, nel 2000, è stato compiuto un altro importante passo in avanti quando la Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto al segretario generale di nominare uno «Special Rapporteur on human rights defenders» con il compito di monitorare e di concretizzare l’attuazione della Dichiarazione;
  • la suddetta Dichiarazione, adottata perconsensus dall’Assemblea generale, pur non avendo valore vincolante, gode di un’indiscutibile autorevolezza morale sul piano internazionale e nazionale, costituendo, al tempo stesso, un impegno da parte degli Stati membri a mettere in atto le sue disposizioni;
  • non soltanto a livello internazionale, ma anche a livello europeo, l’azione a tutela dei diritti umani riveste un’importanza centrale. L’Unione europea, sin dalla sua nascita, è annoverabile fra i soggetti internazionali maggiormente impegnati nella protezione dei diritti fondamentali, accanto alle Nazioni Unite. Invero, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, oltre al consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, costituiscono alcune tra le finalità dell’azione esterna dell’Unione europea (articoli 3 e 21 Trattato sull’Unione europea). In tale quadro si ricollega l’azione europea di sostegno ai Difensori dei diritti umani, che è dal 2004 un elemento stabile dell’azione esterna dell’Unione europea per quanto concerne le politiche di sostegno ai diritti umani;
  • la cornice giuridica onusiana e relativa alla tutela e alla protezione dei difensori dei diritti umani è stata accolta favorevolmente anche a livello europeo. In tal senso gli «Orientamenti dell’Unione europea sui difensori dei diritti umani» costituiscono un solido quadro per i lavori comunitari volti alla promozione e alla tutela dei diritti umani nell’azione pratica della politica estera. Tali «Orientamenti» permettono di avere una visione completa del ruolo e delle aspirazioni dell’Unione europea in tale ambito e ne costituiscono uno strumento pratico di attuazione, elaborato per produrre un concreto impatto sulla protezione dei diritti umani nei Paesi terzi;
  • un contributo fondamentale alla protezione delle tematiche legate alla salvaguardia dei diritti umani viene fornito dal gruppo di lavoro «Diritti umani» (COHOM) creato nell’ambito del Consiglio dell’Unione europea, nel 1987. Tale gruppo è deputato alla individuazione delle situazioni nelle quali l’Unione europea è chiamata a intervenire;
  • l’attenzione verso i difensori dei diritti umani si è manifestata anche a livello di singoli Paesi. Normative innovative e buone pratiche nazionali rappresentano importanti presidi volti alla protezione e difesa dei difensori e degli attivisti in pericolo nei loro Paesi d’origine; Paesi come la Finlandia, la Norvegia, la Svizzera, gli Stati Uniti, l’Irlanda, la Spagna, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e la Repubblica Ceca hanno tutti adottato strategie efficaci per la tutela dei difensori dei diritti umani;
  • esistono interessanti esempi, come:
  1. i «visti umanitari» proposti dal Governo irlandese. Dal 2006 l’Irlanda ha un processo accelerato per le procedure di ingresso degliHuman Rights Defenders in pericolo, attraverso il rilascio facilitato di un visto Schengen di tre mesi su basi umanitarie, con lo scopo di fornire un approccio rapido al processo di richiesta di un visto, in modo da permettere ai difensori, in momentaneo pericolo, di viaggiare in Irlanda per brevi periodi di tempo;
  2. le «Shelter Cities» (città rifugio) olandesi. Il Governo olandese prevede in alcune città la disponibilità di offrire rifugio temporaneo, dai tre ai sei mesi, ai difensori dei diritti umani quando questi sono seriamente minacciati a causa del loro operato da attivisti. Il programma fornisce per ogni difensore: alloggio, una persona di riferimento locale in ogni città aderente, la copertura totale delle spese di viaggio e vitto, l’assicurazione sanitaria, l’opportunità di forse deitraining per incrementare il livello di preparazione del suddetto;
  3. la normativa nazionale della Spagna. Il programma spagnolo per la tutela e la salvaguardia dei difensori dei diritti umani, inizialmente indirizzato ai Paesi dell’America latina, attualmente aperto a tutte le nazionalità, anche se tuttora rimane utilizzato principalmente per gliHuman Rights Defenders provenienti dall’America Latina. In concreto, l’identificazione degli Human Rights Defenders in pericolo è effettuata dalle organizzazioni non governative sul campo, dagli attori statali oppure dagli stessi Human Rights Defenders che si rivolgono ad un’ambasciata. Conseguentemente, l’ambasciata provvede a verificare i casi prima di riferirli, attraverso un canale sicuro, all’Ufficio per i diritti umani del Ministero degli affari esteri spagnolo. La Spagna è organizzata anche a livello regionale, attraverso la creazione di «Shelter Cities Programme»;
  4. il programma europeo denominato ProtectDefenders.eu. Esso consiste in un meccanismo di protezione per gliHuman Rights Defenders, ed è stato creato affinché l’Unione europea provveda a fornire un supporto stabile, omnicomprensivo e gender-sensitive agli individui e/o agli attori locali che combattono per promuovere e per difendere i diritti umani nel mondo. Tale meccanismo si prefissa di raggiungere tutti gli Human Rights Defenders, anche quelli che lavorano nelle aree più remote e in Paesi nei quali è particolarmente pericoloso lavorare in difesa dei diritti umani. Ha un particolare focus sui difensori maggiormente vulnerabili, vale a dire: donne protettrici dei diritti umani, difensori dei diritti dei LGBT, ambientalisti, difensori per i diritti sociali ed economici, difensori delle minoranze, avvocati e tutti quelli che combattano per la libertà di espressione e di associazione;
  5. ci sono molte organizzazioni non governative che offrono un sostegno straordinario ai Governi nella protezione degli attivisti che operano in scenari complessi, di guerra e non solo;
  6. anche nel corso della presente legislatura sono state depositate in ambi i rami del Parlamento alcune proposte di legge volte all’istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani, il cui percorso d’esame e d’approvazione deve essere sostenuto e accelerato,

impegna il Governo:

  • a dare attuazione, in linea con quanto già fatto da altri Stati membri, agli orientamenti dell’Unione europea in materia di salvaguardia dei difensori dei diritti umani;
  • a definire le modalità per assicurare un coordinamento per la tutela dei difensori dei diritti umani che, mediante il coinvolgimento di tutti i Dicasteri competenti e sulla base delle necessarie risorse finanziarie, valuti le migliori modalità di accoglienza e protezione, inclusa la possibile definizione di apposite modalità di ingresso e soggiorno per il ricollocamento temporaneo;
  • a sostenere le iniziative a favore della tutela e protezione dei difensori dei diritti umani discusse nel competente gruppo di lavoro del Consiglio dell’Unione Europea anche in attuazione del Piano d’Azione UE sui diritti umani e la democrazia 2015-2019;
  • a sostenere iniziative volte alla promozione di un coordinamento con organizzazioni non governative ed enti religiosi disposti a creare una rete di protezione nei Paesi di provenienza degli attivisti;
  • a sostenere ogni iniziativa finalizzata al coordinamento delle iniziative del MAECI con quelle simili adottate dagli altri Stati membri e a livello europeo.

Buona visione

 

 

 

L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

La migliore garanzia dei diritti umani è quella che previene la loro violazione e lo strumento più efficace per la promozione dei diritti della persona e dei popoli sono l’insegnamento e l’educazione.

 

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il cui testo completo è stampato nelle pagine seguenti. Dopo questa solenne deliberazione, l’Assemblea delle Nazioni Unite diede istruzioni al Segretario Generale di provvedere a diffondere ampiamente questa Dichiarazione e, a tal fine, di pubblicarne e distribuirne il testo non soltanto nelle cinque lingue ufficiali dell’Organizzazione internazionale, ma anche in quante altre lingue fosse possibile usando ogni mezzo a sua disposizione. Il testo ufficiale della Dichiarazione è disponibile nelle lingue ufficiali delle Nazioni Unite, cioè cinese, francese, inglese, russo e spagnolo.

 

Preambolo

Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;

Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo;

Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione;

Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni;

Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;

Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali;

Considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni;

L’ASSEMBLEA GENERALE

proclama

la presente dichiarazione universale dei diritti umani come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.

Articolo 1

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 2

Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.

Articolo 3

Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Articolo 4

Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.

Articolo 5

Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.

Articolo 6

Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.

Articolo 7

Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.

Articolo 8

Ogni individuo ha diritto ad un’effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.

Articolo 9

Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.

Articolo 10

Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.

Articolo 11

  1. Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.
  2. Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetuato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso.

Articolo 12

Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.

Articolo 13

  1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
  2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

Articolo 14

  1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.
  2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l’individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.

Articolo 15

  1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
  2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Articolo 16

  1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.
  2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.
  3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

Articolo 17

  1. Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri.
  2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà.

Articolo 18

Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.

Articolo 19

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Articolo 20

  1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica.
  2. Nessuno può essere costretto a far parte di un’associazione.

Articolo 21

  1. Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti.
  2. Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese.
  3. La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione.

Articolo 22

Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

Articolo 23

  1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
  2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
  3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
  4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Articolo 24

Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.

Articolo 25

  1. Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.
  2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.

Articolo 26

  1. Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.
  2. L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
  3. I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.

Articolo 27

  1. Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.
  2. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.

Articolo 28

Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.

Articolo 29

  1. Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.
  2. Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.
  3. Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e principi delle Nazioni Unite.

Articolo 30

Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati.

 

 

L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Perché LR?

Il 29,9% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale nel 2012. I dati su povertà e rischio esclusione sociale in Italia (111mm x 100mm)

La sottoscrizione dell’istituto giuridico AUTOCERTIFICAZIONE della QUALITÀ di LEGALE RAPPRESENTANTE (Articolo 46 lettera u DPR 28.12.2000, n. 445) [1] in favore dell’essere umano, ossia nell’interesse di egli stesso (di fatto Disponente/Settlor di un Living Trust di alto scopo) e dei propri figli minori, aziona, nella giurisdizione del Diritto internazionale, un JERSEY TRUST AUTODICHIARATO, NON LUCRATIVO NÉ COMMERCIALE, nel quale il Trustee / Legale Rappresentante, a seguito di Mandato / Accordo Privato, opererà per veder riconosciuti all’essere umano i diritti inalienabili [2] costituenti l’alto scopo del trust, violati in certe circostanze persino agli italiani, si tratta, ad esempio, del “diritto al benessere”, definito anche “diritti economico-sociali”. Per ottenere protezione occorre far valere – per mezzo della curatela del Legale Rappresentante / Trustee – la propria personalità giuridica (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Articolo 6: “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”), tale precetto è indicato nella legge dello Stato 25 ottobre 1977, n. 881 alla sezione “Patto internazionale > PARTE TERZA > art. 16” della legge di ratifica della DUDU. Peraltro, secondo quanto scaturisce dall’interpretazione (Antonio Cassese) dell’art. 10 Cost., in realtà non ci sarebbe bisogno di una legge ad hoc per l’attuazione dei trattati, ma la prassi non ha dato seguito a questa interpretazione.

Quanto costa?
· Nessun costo [3] è richiesto oltre i normali diritti di segreteria riservati all’Amministrazione comunale depositante (quella di residenza e quella di nascita, se diversa);
· Nessun oneroso intervento è richiesto da parte di alcun notaio o avvocato.

L’ALTO SCOPO DEL TRUST è dunque il superamento dell’incapacità giuridica di agire del cittadino / essere umano [4]. Tale incapacità è innestata dallo Stato con frode, vale a dire senza il consenso dell’interessato (abuso della titolarità del nome) al momento della dichiarazione di nascita del nuovo nato alla Prefettura, nonché alla Procura della Repubblica, allorquando vengono attribuite al pupillo le cosiddette finzioni giuridiche denominate “soggetto giuridico e persona fisica” volte a vincolare l’essere umano alla P.A., o meglio, alle “amministrazioni o trustees statali” tramite i vari Pubblici Ufficiali come il tecnico o l’addetto della P.A., l’ufficiale sanitario, l’insegnante di una scuola, il controllore sui mezzi pubblici, l’ufficiale giudiziario, ecc.

[Nota [1]: E’ stata la Legge 4 gennaio 1968, n. 15 ad introdurre l’istituto dell’autocertificazione nell’ordinamento italiano, disciplinando per la prima volta in modo completo ed organico la materia, cui hanno fatto seguito varie rettificazioni, tra cui quelle contenute nella Legge n. 127/1997 (a sua volta modificata dalla Legge n. 191/98) e dal regolamento attuativo emanato con DPR n. 403/1998, in vigore dal 23 febbraio 1999.]

[Nota [2]: Diritti inalienabili >>> Legge n. 881 del 25 ottobre 1977 Autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione in Italia (Gazzetta Ufficiale n 333 del 7 dicembre 1977). Data della ratifica: 15 settembre 1978 (Gazzetta Ufficiale n 328 del 23 novembre 1978).]

[Nota [3]: Imposta di bollo (nessun costo!) >>> Articolo 37 DPR 28.12.2000, n. 445. A) Le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 sono esenti dall’imposta di bollo. B) L’imposta di bollo non è dovuta quando per le leggi vigenti sia esente da bollo l’atto sostituito ovvero quello nel quale e’ apposta la firma da legalizzare).]

[Nota [4]: A ben vedere, la definizione di “essente [umano]” al posto di “essere [umano]” è più profonda perché fissa meglio il lemma “essere”, unisce le parole “essere” ed “ente” (dal latino: ens – entis) ma è anche il gerundio del verbo essere. Dicendo “essere [umano]” usiamo l’infinito del verbo essere, che esprime qualcosa di poco vivo, di statico. Il gerundio “essente [umano]” esprime la vera forza insita nel verbo. “Essente” è in pratica “colui che è!”.]
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https://dirittiumaniblog.wordpress.com/2016/07/06/legale-rappresentanza-e-un-living-trust/

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L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Rappresentanza tecnica e codice deontologico, questi sconosciuti [*]

È NECESSARIO CHE GLI AVVOCATI SI RENDANO CONTO CHE DEVONO DIRE AI LORO CLIENTI:

  1. che non sono obbligati a pagare i tributi, il canone rai, le tasse di proprietà, ecc.;
  2. che lo Stato italiano è nelle mani del CdA di una Spa che si spaccia per governo;
  3. che la persona fisica è frutto di un arbitrio e che l’autoriconoscimento con essa comporta invero una riduzione illegittima di capacità giuridica;
  4. che i giudici e i tribunali civili non hanno giurisdizione per le questioni legate al diritto di famiglia, sul regime di separazione e divorzio dei coniugi, e non hanno e non possono avere potestà sui figli altrui, con conseguente sospensione della potestà in capo ai genitori.

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Ah, dimenticavo, NEL TESTO DELLA COSTITUZIONE NON V’È TRACCIA DI OBBLIGHI ALLA DIFESA TECNICA.

La rappresentanza, in diritto, è l’istituto che comporta la sostituzione di un soggetto ad un altro nella dichiarazione di volontà. La ratio dell’istituto è quella di offrire a Mevia un canale perché egli possa esprimere la propria volontà quando questi, per i motivi più diversi, non sia in condizione di poterlo fare in prima persona, direttamente e autonomamente.

L’ordinamento giuridico si fa carico di questa esigenza e provvede affinché altri esprimano la volontà dell’imprenditore, dell’amministratore, del singolo privato che non può o non vuole concludere direttamente un negozio. In tal caso si ha rappresentanza, cioè manifestazione della volontà tramite un soggetto (rappresentante) e produzione degli effetti in capo al rappresentato.

Il rappresentante non si limita ad esprimere meccanicamente la volontà del rappresentato; la semplice trasmissione della volontà fatta dal portavoce non configura infatti rappresentanza.

Nella rappresentanza il rappresentante forma la propria volontà previamente, accordandosi con il rappresentato e poi conclude il negozio, manifestando la propria volontà. Si distingue il caso in cui il rappresentante conclude il negozio in nome proprio dal caso in cui lo conclude in nome del rappresentato; nel primo si ha rappresentanza indiretta o interposizione gestoria (tra i terzi e il rappresentato), nel secondo rappresentanzadiretta e spendita del nome del rappresentato. Non tutti gli atti sono suscettibili di essere compiuti a mezzo rappresentante: ne sono esclusi, per esempio, gli atti in cui è indispensabile che la manifestazione di volontà promani direttamente dal singolo (testamento, negozi familiari).

La rappresentanza può essere legale quando è imposta dalla legge, volontaria quando è conferita dall’interessato (art. 1387 cod. civ.). Particolare rilievo ha la rappresentanza nell’impresa, che dà luogo alle figure dell’institore e del commesso (artt. 2203 e seguenti cod. civ.).

Gli elementi della rappresentanza diretta sono due:

a) il potere rappresentativo o procura;

b) l’agire in nome del rappresentato.

Il potere rappresentativo è costituito dalla facoltà concessa al rappresentante dalla volontà del rappresentato di agire in suo nome. L’agire in nome del rappresentato di solito comporta la realizzazione di un interesse del rappresentato e ha rilevanza nei confronti dei terzi (tutela dellaffidamento).

La rappresentanza non crea un rapporto autonomo tra le parti, ma è uno strumento che rende produttivo di particolari effetti giuridici nei confronti dei terzi il rapporto sottostante (o rapporto di gestione). Poiché la volontà del rappresentante è quella che ha rilievo nel rapporto con i terzi, è alla volontà del rappresentante che si guarda nell’accertare se i suoi eventuali vizi incidano sulla validità del negozio; stabilisce infatti l’art. 1390 cod. civ. che il contratto è annullabile se è viziata la volontà del rappresentante.

I vizi della volontà del rappresentato non hanno rilievo, a meno che questi non avesse predeterminato alcuni elementi del negozio che poi sarebbe stato concluso dal rappresentante. Per quanto attiene alla capacità d’agire, è sufficiente che ne sia provvisto il rappresentato; il rappresentato può anche avvalersi di un rappresentante che abbia semplice capacità naturale (art. 1389 cod. civ.), cioè sia capace di intendere e volere.

Se vi è conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato, il negozio può essere annullato su domanda del rappresentato: ma in questa ipotesi si deve tutelare anche l’interesse del terzo, che ha contrattato con rappresentante: l’annullamento avrà luogo pertanto solo se il terzo conosceva o era in grado di riconoscere il conflitto (art. 1394 cod. civ.).

L’ipotesi più rilevante di conflitto d’interessi è il contratto con se stesso: Tizio, rappresentante di Mevia, anziché vendere a Caio, vende a se stesso, o vende a se stesso come rappresentante di Sempronio. Anche in questo caso, il negozio è annullabile, a meno che il rappresentato non abbia autorizzato il rappresentante o il contenuto del contratto escluda la possibilità del conflitto (art. 1395 cod. civ.). Il codice disciplina unicamente la rappresentanza diretta. Nella rappresentanza indiretta il rappresentante agisce in nome proprio, ma per conto di altri (rappresentato); in tale ipotesi, la rappresentanza è caratterizzata dal contegno del rappresentante verso i terzi e non dal rapporto interno; prevale quindi l’elemento dell’agire per conto altrui piuttosto che l’elemento del potere rappresentativo.

La rappresentanza diretta e quella indiretta hanno un elemento d’identità, consistente nel fatto che l’affare gestito dal rappresentante è un affare altrui (del rappresentato). Ma la differenza è nella spendita del nome: i terzi nella rappresentanza diretta concludono con il rappresentato tramite il rappresentante;

Nella rappresentanza indiretta, invece, non conoscono il rappresentato, e il rappresentante acquista (o vende) per sé e si obbliga in proprio nei confronti del rappresentato.

Il rappresentante che opera senza potere, o eccedendo i limiti indicati nella procura, conclude un negozio privo di effetti.

Il rappresentato, in capo al quale gli effetti non si concludono, può però assumere effetti negoziali con un atto unilaterale (ratifica) diretto al terzo. La ratifica ha effetto retroattivo, ma sono salvi i diritti dei terzi (art. 1399 cod. civ.). La ratifica può essere sollecitata dal terzo che invita l’interessato a pronunciarsi entro un termine, scaduto il quale, nel silenzio, la ratifica si intende negata.

Nel caso in cui le modificazioni o la revoca della procura non siano portate a conoscenza dei terzi, si tutela il loro affidamento: il terzo non deve essere pregiudicato dal comportamento omissivo del rappresentato, pertanto il negozio giuridico concluso avrà effetti nei confronti del rappresentato. Per evitare queste conseguenze, il rappresentato deve dimostrare che i terzi conoscevano le modificazioni, o le hanno ignorate per loro colpa (art. 1396 cod. civ.).

La rappresentanza in giudizio, o rappresentanza tecnica, è l’istituto del processo civile secondo cui la parte (o eventualmente il suo rappresentante) deve, in generale, stare in giudizio con il ministero di un difensore. Tale rappresentanza (denominata “tecnica” perché implica il possesso di particolari qualità professionali) è conferita mediante procura. Essa presenta, a paragone della rappresentanza di diritto privato, un carattere di maggiore autonomia del rappresentante, giustificato dal fatto che il difensore è un soggetto professionalmente qualificato che collabora allo svolgimento di una funzione pubblica (quella giurisdizionale). La rappresentanza tecnica può essere revocata o rinunciata, ma revoca o rinuncia non producono effetti nei confronti dell’altra parte, per esempio, ai fini di una notificazione che essa debba effettuare presso il debitore, finché non sia avvenuta la sostituzione di quest’ultimo. Nel giudizio davanti al giudice di pace le parti (che possono proporre la domanda verbalmente presentandosi di persona al giudice che ne fa redigere verbale) possono anche farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto, e non necessariamente da un legale.

Stiamo parlando della cosiddetta difesa in proprio, ossia della possibilità di stare in giudizio senza essere costretti a farsi rappresentare da un legale; facoltà che il nostro ordinamento positivo prevede espressamente soltanto per le cause avanti il giudice di pace, entro un certo valore e limitatamente ad alcune materie. E uguale sorte toccherebbe, codici alla mano, al giudizio secondo equità (cfr. art. 113 cod. proc. civ.).

La ratio di un siffatto orientamento andrebbe ricercata, lo avrebbe ribadito pure la Corte costituzionale, nel fatto che il nostro è un sistema caratterizzato dal principio di legalità; di conseguenza, la sola funzione che potrebbe riconoscersi, alla esempio, alla giurisdizione di equitàsarebbe quella di individuare l’eventuale regola di giudizio non scritta che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione della controversia più adeguata alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, alla stregua tuttavia dei medesimi principi cui si ispira la disciplina positiva: principi che non potrebbero essere posti in discussione dal giudicante, pena lo sconfinamento nellarbitrio, attraverso una contrapposizione con le proprie categorie soggettive di equità e ragionevolezza [n. 206 del 6 luglio 2004].

Ma il principio di legalità riferisce semplicemente che ogni provvedimento giuridico deve uniformarsi a norme generali, preordinate ed astratte; non pretende certo di assurgere a principio cardine del diritto o di operare in senso assoluto, né ritiene che le leggi positive siano insuperabili.

Il principio di legalità nasce per dare vigenza alle convenzioni umane e per esigenze di certezza del diritto, dunque per tutelare il singolo (e non per danneggiarlo o limitarne la sfera d’azione giuridica).

Il principio di legalità interviene nel contraddittorio con gli altri principi giuridici, primo fra tutti il principio di uguaglianza, vero principio cardine della nostra Costituzione [art. 3], che condiziona l’interpretazione dell’intero ordinamento giuridico.

Non solo, le leggi positive devono uniformarsi al diritto vivente, al diritto naturale e alle convenzioni internazionali sui diritti umani; e, sulla carta, lo fanno: più o meno ogni volta in cui, nel testo della Costituzione, compare scritta la parola “riconosce”. Il riconoscimento, la ricognizione, è l’avvenuto accertamento di situazioni giuridiche in fatto che sono antecedenti alle disposizioni costituzionali e dalle quali, peraltro, la stessa Costituzione trae la propria vigenza e giustificazione. A non tener conto di tutto ciò, allora sì, si sfocia nel mero arbitrio, come recita la sentenza della Corte. Sul punto, verrebbe da chiedersi perché la Corte, in tema di arbitrio, non abbia sentenziato ad esempio contro la riduzione di capacità giuridica nella quale incorre puntualmente il cittadino che si dichiara incautamente trustee della propria carta d’identità (contratto di diritto commerciale?).

Personalmente ritengo che la difesa in proprio sia sempre possibile, come pure il ricorso alla giudizio secondo equità. Laddove questo particolare ambito giuridico non dovesse avere, come avviene in Italia, un sufficiente corredo di regolamenti e prassi, si può fare agevolmente ricorso alla tecnica della mirror rule, l’artificio giuridico che consente di utilizzare le disposizioni di un’altra giurisdizione (nella specie: il common law) in supporto. Infatti, istituti quali ad esempio la vendita non sono certo tali e vigenti solo per il fatto che sono disciplinati dal codice civile: la vendita è un istituto antichissimo e, come altri, risponde a canoni di diritto, convenzioni e prassi commerciali che sono sempre valide (diritto vivente).

In secondo luogo, nel testo della Costituzione non vè traccia di obblighi alla difesa tecnica. Ma il problema che coloro che mi seguono con costanza hanno già intuito è legato prettamente questioni di responsabilità e competenza; è un problema, gravissimo, di inadeguatezza. In tema di competenza, del tutto inadeguata (e questo è il fatto più grave) è la formazione, laddove le Università non informano i futuri avvocati dell’esistenza di un rito occulto, di un sistema commerciale mondiale fraudolento, di condizioni giuridiche privilegiate, della reale portata dei diritti umani (e di quelli naturali soggettivi), del facoltà di esercitare il libero arbitrio e di negare il consenso ad ogni disposizione contraria a tali supremi diritti.

Analogo discorso va fatto per la cosiddetta formazione permanente (simile a corsi di aggiornamento periodici) cui noi avvocati saremmo obbligati per regolamento positivo, a pena di interventi disciplinari; formazione che io, francamente, ho sempre disertato. Al momento sono ancora in attesa di richiami ufficiali, ma sono ovviamente pronto a contestarli.

Se leggiamo con attenzione il codice deontologico forense, ci accorgiamo che, alla luce delle tematiche affrontate nel presente blog, gli avvocati che hanno ottenuto l’abilitazione professionale superando il relativo esame de facto non paiono in grado di potersi uniformare, ad esempio,

all’art. 8 (dovere di diligenza),

non potendo in effetti adempiere i propri doveri con diligenza, anche soltanto perché mancano, in primis, le basi formative. Mi chiedo se allora, l’attività dei miei colleghi meno consapevoli non si risolva altro che in una reiterata violazione

dell’art. 12 (dovere di competenza)

e anche, in concorso con il Consiglio Nazionale Forense,

dell’art. 13 (dovere di aggiornamento professionale).

Inoltre, posto che in diritto lignoranza non è una scusante (e men che meno per chi, con la legge, ci vive) e noi avvocati siamo i primi a ribadire la massima; a parte l’imbarazzante paradosso, dobbiamo ammettere di trovarci davanti ad una moltitudine di casi di colpa professionale diffusa.

A mio modesto giudizio, ritengo che tutti i cassazionisti, ossia gli avvocati con oltre 12 anni di esperienza e abilitati perciò a patrocinare in Cassazione, siano assolutamente indifendibili. E’ curioso che, quando ancora collaboravo con lui, proprio uno di codesti miei colleghi più anziani era solito ripetermi che “gli avvocati si devono riprendere il diritto”; giunti a questo punto, devo concluderne che egli stava parlando a se stesso, più che a me.

Alla data del 13 giugno del corrente anno sono stato convocato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vicenza, la città presso cui esercito, per discutere della (prima) questione disciplinare elevata a mio carico (una sciocchezza: il ritardato pagamento della quota annuale di iscrizione). Debbo premettere che la data, per me che sono credente, ha un significato particolare: il 13 giugno ricorre Sant’Antonio da Padova, il quale, da quanto si racconta, faceva il mio stesso mestiere, e io a Padova ci sono nato. Così, ho preso il coraggio a quattro mani e ho deciso di approfittare della convocazione per confrontarmi apertamente con il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, presieduto nella circostanza dall’avv. Fabio Mantovani del Foro di Vicenza. Peraltro, nel farlo ho ottemperato, ne più ne meno, ai miei obblighi deontologici, collaborando come mio dovere con il Consiglio dell’Ordine e osservando scrupolosamente il dovere di verità (art. 24). Ebbene: dopo una lunga esposizione, nella quale ho cercato di sensibilizzare i miei colleghi circa i tratti più oscuri dell’attuale trama giudiziaria positiva italiana, ho offerto la mia massima collaborazione e disponibilità per sollevare le sorti della giustizia sul territorio a noi affidato, ho chiesto aiuto e supporto, mostrandomi preoccupato per la nostra classe professionale, che, inutile girarci attorno, rischia veramente grosso. E dopo tutto ciò, la risposta lapidaria del presidente Mantovani è stata (testuali parole): Bene. Grazie e arrivederci!Ovviamente, manco a riferirlo, nei mesi successivi non sono interventi ripensamenti o scuse.

Francamente mi pare il classico atteggiamento alla Ponzio Pilato, per restare in tema; un atteggiamento inaccettabile posto che sono proprio i vari Consigli dislocati sul territorio italiano, capitanati dal CNF,  i principali organismi politico-giuridici obbligati ex lege ad attivarsi in difesa della giustizia. Inoltre, la classe degli avvocati è quella politicamente più indipendente e si trova nella posizione più comoda per agire (deve farlo).

Purtroppo o per fortuna, e nonostante i molti ostacoli che incontro sul mio cammino, non posso e non intendo fermarmi qui; senza contare che, se voglio continuare a fare il mio mestiere, sono obbligato a proseguire sia dalla lettera del codice deontologico sia dal giuramento professionale che ho fatto di difendere la giustizia e che mi lega a doppio filo al panorama giudiziario vicentino, come minimo.

Per prima cosa, trasmetterò il presente articolo al Consiglio di Vicenza, agli altri Consigli forensi del Veneto, al CNF, all’Unione delle Camere penali, all’Avvocatura di Stato e alle grandi associazioni di avvocati presenti sul territorio italiano: l’OUA e l’AIGA. Allo stato però, mi rendo conto che, in rapporto alla gravità dei problemi e all’urgenza di porvi rimedio, la risposta dei miei colleghi, anche di quelli più giovani, è assai lenta.

Pertanto, vista l’inerzia delle succitate istituzioni, ritengo giusto e doveroso coinvolgere tutti coloro che, esperti di diritto o meno, abbiano compreso la gravità di fondo della situazione e, pur non disponendo delle dovute competenze professionali, vogliano mettersi in gioco. In fondo si tratta di rispondere al sacro dovere di difesa della patria, sancito dall’art. 52, comma I, della Costituzione.

Invito costoro a condividere il più possibile il presente articolo con amici e parenti, o anche a trasmetterlo a tutti quegli uffici, pubblici e non, che apparirà giusto coinvolgere.

Più ancora, è necessario che i miei colleghi si rendano conto che devono dire ai loro clienti:

a) che non sono obbligati a pagare i tributi, il canone rai, le tasse di proprietà, ecc.;

b) che lo Stato italiano è nelle mani del CdA di una Spa che si spaccia per governo;

c) che la persona fisica è frutto di un arbitrio e che l’autoriconoscimento con essa comporta invero una riduzione illegittima di capacità giuridica;

d) che i giudici e i tribunali civili non hanno giurisdizione per le questioni legate al diritto di famiglia, sul regime di separazione e divorzio dei coniugi, e non hanno e non possono avere potestà sui figli altrui, con conseguente sospensione della potestà in capo ai genitori.

Consiglio di stampare questo e/o altri scritti contenuti nel presente blog e di recarsi presso un avvocato di fiducia chiedendo lumi; coloro che se la sentono, possono cercare di metterlo con le spalle al muro aiutandosi con la lettura di qualche articolo.

Non dimentichiamoci che prima delle carte di legge, contano la logica giuridica, i principi universali e il buon senso, e che i miei colleghi, per la stragrande maggioranza, sono più propensi a seguire la lettera del codice. Probabilmente, se incalzati, tenteranno di rispondere citando qualche legge o qualche sentenza. Per farli uscire allo scoperto, da un lato, si può verificare se in una data disposizione normativa si nascondono profili di arbitrarietà; oppure, si può risalire ai principi costituzionali portando il professionista a doversi confrontare con termini quali “riconoscimento”, “società di fatto” o “diritti inviolabili”. Più importante: fatevi rilasciare una firma e un timbro dello studio per presa visione dello stampato del presente articolo (senza omettere la data). Così facendo, quel professionista non avrà più spazio per ignorarle, e dovrà orientare il proprio operato in tal senso. Non c’è davvero bisogno di dirlo, visto che si tratta di articoli scritti da me: ovviamente, potete spendere il mio nome.

L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Quella sottile forma di assoggettamento fatta ad arte…

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Con la LR (Legale rappresentanza):

  1. Dichiari uno scopo,
  2. Rivendichi la tua Personalità Giuridica,
  3. Ottieni il riconoscimento della tua capacità di azione giuridica (Art.6 DUDU).

Sicché prendi [o riprendi] possesso dell’amministrazione del tuo nome e cognome, o meglio delle tue fictio iuris (finzioni giuridiche): in realtà si tratta del tuo SG (soggetto giuridico) e PF (persona fisica) costituenti una sottile forma, creata ad arte, di assoggettamento giuridico di ogni nuovo nato, ottenuto con frodi documentali e un acuto ma sostanziale raggiro dei genitori.

 

È consigliabile a tutti costituirsi Ente nella giurisdizione internazionale mediante l’istituto del Trust interno autodichiarato contenuto nella Legale rappresentanza, ove tu stesso sei Disponente, Trustee e Beneficiario, cosicché la LR sana il vizio originario dell’Atto di nascita che dava facoltà allo Stato e alle sue leggi interne di disporre come “affidatario” di un trovatello, delegando poi ad una coppia (o singola madre) la facoltà di allevare il cucciolo…

Dunque, riconoscersi nel Diritto positivo equivale a rimanere segregati nella frode originaria e ciò implica l’accettazione senza riserve del proprio aguzzino, così privandosi della facoltà di proteggere i propri diritti inalienabili…

 

Memo leggi di recepimento dei Trattati qui >>> Legge 881/1977 e qui >>> Legge 848/1955 peraltro, secondo quanto scaturisce dall’interpretazione (Antonio Cassese) dell’art. 10 Cost., in realtà non ci sarebbe bisogno di una legge ad hoc per l’attuazione dei trattati, ma la prassi non ha dato seguito a questa interpretazione.

Peraltro, secondo quanto scaturisce dall’interpretazione (Antonio Cassese) dell’art. 10 Cost., in realtà non ci sarebbe bisogno di una legge ad hoc per l’attuazione dei trattati, ma la prassi non ha dato seguito a questa interpretazione.

In esito al riconoscimento del trust operato con la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione internazionale sottoscritta all’Aja il 01 luglio 1985 (Legge 16 ottobre 1989, n. 364) dal giorno 01 gennaio 1992 è possibile conferire effetto alle pattuizioni intese a dar vita a figure pratiche riconducibili al detto istituto. (Per approfondire qui).

 


 

“ORA SONO UNA PERSONA UMANA”

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(Tratto da “imperiapost”)

Maria Laura Di Persio, 50 anni, è la prima imperiese a sottoscrivere l’atto di certificazione di legale rappresentanza. Lo ha fatto presso il suo Comune di residenza, Dolcedo. Un atto di protesta contro lo Stato Italiano, per riappropriarsi dei propri diritti, della propria libertà.

Maria Laura fa parte di Popolo Unico, “un grande contenitore di condivisione“, così come viene definito dai suoi ideatori. ImperiaPost l’ha incontrata.

CHE COSA E’ LA CERTIFICAZIONE DI LEGALE RAPPRESENTANZA?

“È l’unico modo per far applicare la legge italiana più importante che nessuno conosce. Potrebbe sembrare uno scherzo, ma è tutto vero.

In Italia esiste una Legge la cui importanza e il cui valore giuridico è superiore a tutte le altre, ma è praticamente sconosciuta e non è mai stata applicata in nessun tribunale nazionale. Si tratta della legge 881/1977.

Di cosa si tratta?

Credo tutti abbiano sentito parlare della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, eppure sicuramente in pochissimi se la sono letta e ne hanno percepito l’immenso valore che, purtroppo, contrasta in modo evidente rispetto alla stragrande maggioranza delle norme vigenti nel nostro paese, il cosiddetto Diritto Positivo.

Ebbene, la Legge 881/1977 è esattamente la ratifica della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e in Italia è Legge.

Si tratta di una legge di Diritto Naturale che, come sanno molti esperti in materia, è da considerarsi ben superiore a qualsiasi norma interna di qualsiasi Stato che l’ha sottoscritta e firmata. Se si osservano molte situazioni critiche in cui oggi versano oramai milioni di Cittadini Italiani ed europei, ci si accorge immediatamente che essi sono vittime di violazioni sistematiche dei Diritti Inalienabili dell’Uomo, o meglio dell’essere umano/persona umana. Basta leggersi quali sono questi diritti sanciti ed inderogabili per scorgere quanto essi siano stati messi da parte per favorire interessi che sono contrari a tali principi. Tutto ciò è potuto accadere nonostante gli Stati firmatari si erano impegnati a promuoverli e perseguirli come scopo primario della Nazione.

Se diamo una lettura all’Articolo 7, agli Articoli 11, 12,13 ( solo per citarne alcuni ) della Legge 881/1977, non possiamo non notare quanti siano in condizione di non godere affatto di questi sacrosanti diritti.

Lasciando da parte tutti i meccanismi perversi che hanno permesso di andare in una direzione opposta a quella in cui ci si era impegnati ad andare, la domanda che ora potrebbe sembrare scontata è: perché questa legge non è mai stata applicata in un tribunale italiano?

A tutto c’è una risposta. Essa, se pur ratificata nell’ordinamento giuridico italiano, è una legge di derivazione internazionale. Detto questo, chiunque abbia cittadinanza italiana è automaticamente assoggettato al Diritto positivo italiano e non a quello internazionale. E’ un escamotage molto sofisticato che, ovviamente, deve e può essere approfondito.

Ci siamo mai chiesti il perché le Prefetture ed i Comuni delle nostre città si attivano e ricorrono ad ogni mezzo pur di dare un alloggio ai profughi che sbarcano sul nostro territorio? E anche al perché ad un cittadino italiano che si trova in difficoltà l’alloggio gli viene sottratto? Differenza di sensibilità? Niente affatto!

Semplicemente differente normativa da applicare. I primi godono del Diritto Internazionale, i secondi no. E allora come fare per godere degli stessi diritti? C’è un modo per farsi applicare quei diritti che a parole nessuno ci poteva sottrarre ? Si, la certificazione di legale rappresentanza. Se i vostri lettori vogliono saperne qualcosa di più possono consultare il sito www.popolounico.org. 

 

PERCHE’ QUESTA SCELTA?

“È una rivoluzione, una lotta pacifica. Si sono persi di vista ormai da troppi anni i bisogni umani. La nostra è una sottile forma di schiavitù. Siamo prigionieri dello Stato. Mi chiedo perché non lo facciano tutti. Ora io non sono più ‘proprietà’ dello Stato“.

COSA CAMBIA CONCRETAMENTE?

“Non si viene più identificati con le finzioni giuridiche che lo Stato Italiano ti affibbia alla nascita. Cambia lo status giuridico. Non si è più persone fisiche, l’unico status che lo Stato riconosce, ma persone umane.

Io ora, finalmente, sono una persona umana.

Venendo alla sostanza, concretamente nella vita di tutti i giorni non cambia nulla, ma quando inizieremo ad essere in tanti, ora siamo circa 600 in tutta Italia, lo Stato sarà costretto a prendere atto di una vera e propria rivoluzione.

Ho già inviato una nota a tutte le forze dell’ordine della provincia di Imperia perché sappiano di cosa si tratta, perché sappiamo come è cambiato il mio status giuridico”. 

 

 

 

 

L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● La personalità internazionale dell’individuo

big_thumb

1701061936-traspar2Nel sistema internazionale, il funzionamento della Corte Europea dei Diritti Umani, con sede a Strasburgo, costituisce in capo al singolo individuo un’importante eccezione con il Protocollo n. 11 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti Umani e delle libertà fondamentali (CEDU), entrato in vigore nel novembre del 1998.

 

Il potere di iniziativa processuale attribuito ai singoli individui – esercitabile una volta che abbiano esperito senza successo tutti i rimedi giurisdizionali predisposti dall’ordinamento dello Stato in cui è avvenuto il fatto denunciato – è divenuta ad ogni effetto una situazione giuridica soggettiva vincolante per tutti gli Stati parte.

Mediante la riforma operata dal Protocollo n.11 è stata soppressa la clausola contenuta nel vecchio art. 25 della CEDU, che limitava l’accesso al ricorso individuale condizionandone l’esercizio alla previa accettazione, da parte dello Stato interessato, della relativa competenza della Corte.

Da allora, la possibilità, per i singoli individui, di presentare un ricorso si è estesa a tutti gli Stati contraenti. Il carattere incondizionatamente vincolante della nuova disposizione rileva ancor più quando si considera la competenza ratione personae della Corte: l’accesso al ricorso individuale, infatti, è aperto a tutte le persone (siano esse cittadini di uno Stato parte, cittadini di uno Stato non contraente, o apolidi) che siano state lese in qualche diritto contenuto nella Convenzione da uno Stato parte mentre erano sottoposte alla sua potestà di imperio.

Questa garanzia, che, sul piano internazionale, comporta un concreto esercizio dei diritti previsti dalla CEDU, e che anche prima della riforma introdotta dal Protocollo era considerata la chiave di volta del meccanismo di salvaguardia dei diritti enumerati nella Convenzione, ha mutato radicalmente la natura del ricorso individuale verso organi giurisdizionali internazionali, tanto da motivare la Corte ad affermare che il sistema risultante dalle modifiche apportate dal Protocollo è il primo, e finora l’unico, in cui «gli individui godono sul piano internazionale di un vero e proprio diritto d’azione a tutela dei diritti e delle libertà dei quali sono diretti destinatari in virtù della Convenzione».

Nonostante queste recenti novità segnalino un avanzamento in rapporto alla posizione degli individui quali centri di imputazione giuridica nell’ambito dell’ordinamento internazionale, quantunque la loro capacità giuridica rimanga ancora assai limitata – essendo il caso europeo un esempio per il momento isolato ed eccezionale – rimangono ancora oggi attualissime le considerazioni conclusive cui giungeva Antonio Cassese nel 1971, con le quali denunciava l’atteggiamento colpevolmente contraddittorio della comunità internazionale in rapporto agli individui:

da una parte [essa] cerca di tutelarne nella maniera più ampia possibile gli interessi e le esigenze, dando vita a trattati posti esclusivamente o prevalentemente a beneficio della persona umana;

dall’altra, circoscrive al massimo l’accesso dell’individuo ad istanze internazionali idonee a garantire l’osservanza di quei trattati, e finisce quindi per rendere i trattati stessi scarsamente incisivi o addirittura, dato il particolare modo di disporre delle loro norme, privi di una rilevante portata pratica, tuttavia, in fine, la Corte Internazionale di Giustizia è a favore della soggettività degli individui (=presunzione di riconoscimento della personalità internazionale dell’individuo).

Di seguito le prime due storiche pronunce:
sentenza del 27.06.2001 (caso La Grand, Germania c. Usa)
sentenza del 31.03.2004 (caso Avena ed altri cittadini messicani, Messico c. Usa)

I soggetti del diritto internazionale ovvero i destinatari delle norme internazionali sono:
  • Stato-comunità: individui stanziati su un territorio e sottoposti a delle regole;
  • Stato-organizzazione: insieme degli organi che esercitano il potere di governo sui consociati.
    Per Benedetto Conforti, parlando di stato inteso come soggetto di diritto internazionale, bisogna riferirsi allo stato-organizzazione,

perché:

sono gli organi statali che partecipano alla formazione delle norme internazionale;

sono loro i destinatari delle norme internazionale e sono sempre loro che rispondono per eventuali violazioni delle norme internazionale.

  • Lo Stato-organizzazione deve presentare dei requisiti per poter essere considerato tale:

1) effettività (sovranità interna) : quindi, tale organizzazione deve concretamente esercitare il suo potere d’imperio su una comunità territoriale. Perciò, la qualifica di soggetto internazionale si nega ai governi in esilio e alle organizzazioni di liberazione nazionale.
2) indipendenza (o sovranità esterna) : l’organizzazione deve possedere un proprio ordinamento, ovvero una costituzione su cui fondare la propria forza giuridica.

  • In tal senso, NON sono soggetti del diritto internazionale:
    a) gli stati membri di Stati federali: perché, essendo situati nell’ambito di uno stato unico, non godono del requisito dell’indipendenza;
    b) governi fantoccio: caratterizzati dal totale controllo da parte di un altro stato. (repubblica turco-cipriota).
  • Non sono requisiti essenziali per l’esistenza della personalità internazionale dello stato:
    a) Riconoscimento: non è necessario che una comunità internazionale sia riconosciuta dagli altri stati;
    b) Il fatto che il nuovo stato non costituisce una minaccia alla pace, alla sicurezza internazionale e non viola i diritto umani, infatti: nella comunità internazionale vi sono molti stati che violano i diritto umani e rappresentano una minaccia alla pace, senza per questo perdere la loro soggettività internazionale.

Per parte della dottrina, visto che il Diritto internazionale ha elaborato convenzioni che obbligano gli stati a tutelare i diritti fondamentali dell’uomo allora si può concludere che gli individui sono veri e propri soggetti del diritto internazionale. Dopotutto, l’individuo è soggetto originario di sovranità e viene prima dello stato e del sistema degli stati. Ma una parte della dottrina nega la soggettività internazionale a individui e minoranze perché la comunità internazionale è considerata come una comunità di soggetti governativi e non di governati.

si considerano soggetti di diritto internazionale perché dotati di organi per il perseguimento di interessi comuni.
Sono ritenute dalla Corte internazionale di Giustizia soggetti di diritto internazionale, e in quanto tali, vincolati da tutti gli obblighi che derivano dal diritto internazionale e dai loro atti costitutivi.

può essere considerata soggetto di diritto internazionale perché ente del tutto indipendente e attivo nell’ambito della comunità internazionale. Può concludere accordi (concordati) , ha sede fisica.

la loro soggettività di diritto internazionale si manifesta attraverso il principio di autodeterminazione dei popoli, che consiste nel diritto dei popoli sottoposti ad un governo straniero di acquistare la propria indipendenza e di scegliersi liberamente il proprio regime politico.

Chiudo il post riportando queste ultime categoria di esseri umani,

popoli indigeni,

nazioni occupate,

minoranze prive di territorio e

Stati o territori indipendenti

a cui manca una rappresentazione diplomatica internazionale.

Forse, per comprendere meglio, portrebbe essere utile leggere, ancora una volta, il commento del prof. Antonio Papisca (Cattedra UNESCO “Diritti umani, democrazia e pace” presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova) sull’Articolo 6 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

 

Articolo 6 – Nessuno è sconosciuto

Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.

Avere personalità giuridica significa “esistere” per un ordinamento giuridico, naturalmente con diritti, doveri e responsabilità.

Il riconoscimento del fatto che la persona umana, in quanto tale, è soggetto, non oggetto di diritto, è atto dovuto. Quale titolare di diritti che ineriscono alla dignità umana, la persona nasce come soggetto giuridico. Gli ordinamenti giuridici non esisterebbero senza la persona umana, poiché questa ne è il fondamento.

L’immigrato irregolare o il Rom o i cosiddetti homeless (senza dimora) o sans-papiers non sono “sconosciuti” al diritto, tanto meno “inesistenti” per esso.

La “soggettività giuridica” è distinta dalla “cittadinanza”, come d’altronde stabilisce la Dichiarazione universale che dedica specificamente alla seconda l’articolo 15. Essa è uno status primordiale della persona, le cui modalità o articolazioni operative – per l’esercizio di diritti e di doveri – sono specificate appunto nello statuto di cittadinanza: questo avviene, storicamente, all’interno dei singoli ordinamenti statuali.

La personalità giuridica dell’essere umano va distinta dalla personalità giuridica di strutture organizzate che sono create per il conseguimento di determinati fini: gli stati, i comuni, le organizzazioni intergovernative, le camere di commercio, le università, le associazioni. Per queste entità “derivate” si parla di “persone giuridiche” per distinguerle appunto dalle persone umane la cui soggettività giuridica, ripeto, ha carattere “originario”. E’ appena il caso di segnalare che la personalità giuridica degli enti derivati può essere di diritto pubblico o di diritto privato.

Nel caso degli enti e delle associazioni all’interno degli stati la personalità giuridica è “attribuita” o “concessa”, diversamente che per le persone umane la cui soggettività giuridica, preesistendo al diritto positivo, è, deve essere semplicemente ‘riconosciuta’. Nei tempi, non propriamente preistorici, in cui studiavo il Diritto internazionale, nei relativi manuali trovavo un capitolo o, addirittura, un paragrafo intitolato: “L’individuo, oggetto del Diritto internazionale”. L’assunto era che soltanto gli Stati ne erano i soggetti, unici ed esclusivi: le persone umane erano ‘cosa loro’, come dire un affare interno alla rispettiva giurisdizione domestica. La dogmatica giuridica che argomentava sulla persona umana ‘oggetto’ è stata ampiamente usata ed abusata dalle ideologie che esaltavano, o addirittura deificavano, lo Stato come soggetto giuridico iperumano.

Con l’avvento del Diritto internazionale dei diritti umani, la persona umana viene liberata nella sua soggettività giuridica originaria e trionfa dunque sulla perniciossima idolatria statualistica. Quella della persona umana è personalità giuiridica di diritto universale, un diritto super-costituzionale per sua intrinseca natura.

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Da ultimo…

Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

Firmata a Roma il 4 novembre 1950
Testo coordinato con gli emendamenti di cui al Protocollo n. 11 firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994, entrato in vigore il 01 novembre 1998

Argomenti correlati (si aprirà una nuova pagina):

 Protocollo addizionale firmato a Parigi il 20 marzo 1952
 IV Protocollo addizionale firmato a Strasburgo il 16 settembre 1963
 VI Protocollo addizionale firmato a Strasburgo il 28 aprile 1983
 VII Protocollo addizionale firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984

 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (ricerca).
 Carta dei diritti fondamentali (testo degli articoli, analisi introduttiva).
 Nota di sintesi della Carta dei diritti, a cura del Servizio Studi del senato della Repubblica.
 Comparazione ed analisi delle Fonti della Carta


I Governi firmatari, Membri del Consiglio d’Europa;

Considerata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948;

Considerato che questa Dichiarazione tende a garantire il riconoscimento e l’applicazione universali ed effettivi dei diritti che vi sono enunciati;

Considerato che il fine del Consiglio d’Europa è quello di realizzare un’unione più stretta tra i suoi Membri, e che uno dei mezzi per conseguire tale fine è la salvaguardia e lo sviluppo dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali;

Riaffermato il loro profondo attaccamento a queste Libertà fondamentali che costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico veramente democratico e, dall’altra, su una concezione comune e un comune rispetto dei Diritti dell’Uomo a cui essi si appellano;

Risoluti, in quanto governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e di preminenza del diritto, a prendere le prime misure atte ad assicurare la garanzia collettiva di certi diritti enunciati nella Dichiarazione Universale.

hanno convenuto quanto segue:

Articolo 1 Obbligo di rispettare i diritti dell’uomo.

Le Alte Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti al Titolo primo della presente Convenzione.

TITOLO I

Diritti e libertà

Articolo 2 – Diritto alla vita

1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il delitto è punito dalla legge con tale pena.

2. La morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:

a. per assicurare la difesa di ogni persona dalla violenza illegale;

b. per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;

c. per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione.

Articolo 3 – Divieto della tortura.

Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

Articolo 4 – Divieto di schiavitù e del lavoro forzato.

1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù.

2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio.

3. Non è considerato lavoro forzato o obbligatorio” ai sensi di questo articolo:

a. ogni lavoro normalmente richiesto ad una persona detenuta alle condizioni previste dall’articolo 5 della presente Convenzione o durante il periodo di libertà condizionata;

b. ogni servizio di carattere militare o, nel caso di obiettori di coscienza nei paesi dove l’obiezione di coscienza è riconosciuta legittima, ogni altro servizio sostitutivo di quello militare obbligatorio;

c. ogni servizio richiesto in caso di crisi o di calamità che minacciano la vita o il benessere della comunità;

d. ogni lavoro o servizio che fa parte dei normali doveri civici.

Articolo 5 – Diritto alla libertà ed alla sicurezza.

1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge:

a. se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;

b. se è in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o per garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;

c. se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono ragioni plausibili per sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati per ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso;

d. se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa per sorvegliare la sua educazione o della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all’autorità competente;

e. se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo;

f. se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione.

2. Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa elevata a suo carico.

3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 (c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione della persona all’udienza.

4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.

5. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione ad une delle disposizioni di questo articolo ha diritto ad una riparazione.

Articolo 6 – Diritto ad un processo equo.

1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità puó pregiudicare gli interessi della giustizia.

2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3. In particolare, ogni accusato ha diritto a :

a. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;

b. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

c. difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

d. esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;

e. farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all’udienza.

Articolo 7 – Nessuna pena senza legge.

1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, era un crimine secondo i principi generale di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.

Articolo 8 – Diritto al rispetto della vita privata e familiare.

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Articolo 9 – Libertà di pensiero, di coscienza e di religione.

1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui.

Articolo 10 – Libertà di espressione.

1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.

2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l’integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.

Articolo 11 – Libertà di riunione e di associazione.

1. Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi.

2. L’esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale e per la protezione dei diritti e delle libertà altrui. Il presente articolo non vieta che restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di questi diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato.

Articolo 12 – Diritto al matrimonio. Uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto.

Articolo 13 – Diritto ad un ricorso effettivo.

Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.

Articolo 14 – Divieto di discriminazione.

Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione.

Articolo 15 – Deroga in caso di stato di urgenza.

1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte Contraente può prendere misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.

2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo per il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 (paragrafo 1) e 7.

3. Ogni Alta Parte Contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario Generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario Generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione.

Articolo 16 – Restrizioni all’attività politica degli stranieri.

Nessuna delle disposizioni degli articoli 10, 11 e 14 può essere considerata come un divieto per le Alte Parti Contraenti di porre restrizioni all’attività politica degli stranieri.

Articolo 17 – Divieto dell’abuso del diritto.

Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto per uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni più ampie di quelle previste in detta Convenzione.

Articolo 18 – Restrizione dell’uso di restrizioni ai diritti.

Le restrizioni che, in base alla presente Convenzione, sono poste a detti diritti e libertà possono essere applicate solo allo scopo per cui sono state previste.

 

TITOLO II

Corte europea dei Diritti dell’Uomo

Articolo 19 – Istituzione della Corte

Per assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle Alte Parti Contraenti dalla presente Convenzione e dai suoi protocolli, è istituita una Corte europea dei Diritti dell’Uomo, di seguito denominata “la Corte”. Essa funziona in maniera permanente,

Articolo 20 – Numero di giudici

La Corte si compone di un numero di giudici pari a quello delle Alte Parti Contraenti.

Articolo 21 – Condizioni per l’esercizio delle funzioni

1. I giudici devono godere della più alta considerazione morale e possedere i requisiti richiesti per l’esercizio delle più alte funzioni giudiziarie, o essere dei giurisconsulti di riconosciuta competenza.

2. I giudici siedono alla Corte a titolo individuale.

3. Per tutta la durata del loro mandato, i giudici non possono esercitare alcuna attività incompatibile con le esigenze di indipendenza, di imparzialità o di disponibilità richieste da una attività esercitata a tempo pieno; ogni problema che sorga nell’applicazione di questo paragrafo è deciso dalla Corte.

Articolo 22 – Elezione dei giudici

1. I giudici sono eletti dall’Assemblea parlamentare a titolo di ciascuna Alta Parte Contraente, a maggioranza dei voti espressi, su una lista di tre candidati presentata dall’Alta Parte Contraente.

2. La stessa procedura è seguita per completare la Corte nel caso in cui altre Alti Parti Contraenti aderiscano e per provvedere ai seggi divenuti vacanti.

Articolo 23 – Durata del mandato

1.I giudici sono eletti per un periodo di sei anni. Essi sono rieleggibili. Tuttavia, per quanto concerne i giudici designati alla prima elezione, i mandati di una metà di essi scadranno al termine di tre anni.

2. I giudici il cui mandato scade al termine dei periodo iniziale di tre anni sono estratti a sorte dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa, immediatamente dopo la loro elezione.

3. Al fine di assicurare, nella misura del possibile, il rinnovo dei mandati di una metà dei giudici ogni tre anni, l’Assemblea parlamentare puó, prima di procedere ad ogni ulteriore elezione, decidere che uno o più mandati dei giudici da eleggere abbiano una durata diversa da quella di sei anni, senza tuttavia che questa durata possa eccedere nove anni o essere inferiore a tre anni.

4.Nel caso in cui si debbano conferire più mandati e l’Assemblea parlamentare applichi il paragrafo precedente, la ripartizione dei mandati avviene mediante estrazione a sorte effettuata dal Segretario generale del Consiglio d’Europa immediatamente dopo l’elezione.

5.Il giudice eletto in sostituzione di un giudice che non abbia completato il periodo delle sue funzioni, rimane in carica fino alla scadenza del periodo di mandato del suo predecessore.

6.Il mandato dei giudici termina quando essi raggiungono l’età di 70 anni.

7.I giudici restano in funzione fino a che i loro posti non siano ricoperti. Tuttavia essi continuano a trattare le cause di cui sono già stati investiti.

Articolo 24 – Revoca

Un giudice può essere sollevato dalle sue funzioni solo se gli altri giudici decidono, a maggioranza dei due terzi, che ha cessato di rispondere ai requisiti richiesti.

Articolo 25 – Ufficio di cancelleria e referendari

La Corte dispone di un ufficio di cancelleria i cui compiti e la cui organizzazione sono stabiliti dal regolamento della Corte, Essa è assistita da referendari.

Articolo 26 – Assemblea plenaria della Corte

La Corte riunita in Assemblea plenaria

a. elegge per un periodo di tre anni il suo presidente ed uno o due vice-presidenti; essi sono rieleggibili; b. costituisce Camere per un periodo determinato;

c. elegge i presidenti delle Camere della Corte che sono rieleggibili;

d. adotta il regolamento della Corte; e

e. elegge il cancelliere ed uno o più vice-cancellieri.

Articolo 27 – Comitati, Camere e Grande Camera

1.Per la trattazione di ogni caso che le viene sottoposto, la Corte si costituisce in un comitato di tre giudici, in una Camera composta da sette giudici ed in una Grande Camera di diciassette giudici. Le Camere della Corte istituiscono i comitati per un periodo determinato.

2.Il giudice eletto a titolo di uno Stato parte alla controversia è membro di diritto della Camera e della Grande Camera; in caso di assenza di questo giudice, o se egli non è in grado di svolgere la sua funzione, lo Stato parte nomina una persona che siede in qualità di giudice.

3.Fanno altresì parte della Grande Camera il presidente dalla Corte, i vice-presidenti, i presidenti delle Camere e altri giudici designati in conformitá con il regolamento della Corte, Se la controversia è deferita alla Grande Camera ai sensi dell’articolo 43, nessun giudice della Camera che ha pronunciato la sentenza può essere presente nella grande Camera, ad eccezione del presidente della Camera e del giudice che siede a titolo dello Stato parte interessato.

Articolo 28 – Dichiarazioni di irricevibilità da parte dei comitati

Un comitato può, con voto unanime, dichiarare irricevibile o cancellare dal ruolo un ricorso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 quando tale decisione può essere adottata senza un esame complementare. La decisione è definitiva.

Articolo 29Decisioni delle Camere sulla ricevibilità ed il merito.

1.Se nessuna decisione è stata adottata ai sensi dell’articolo 28, una delle Camere si pronuncia sulla irricevibilità e sul merito dei ricorsi individuali presentati ai sensi dell’articolo 34.

2.Una delle Camere si pronuncia sulla ricevibilità e sul merito dei ricorsi governativi presentati in virtù dell’articolo 33.

3.Salvo diversa decisione della Corte in casi eccezionali, la decisione sulla ricevibilità é adottata separatamente.

Articolo 30 – Dichiarazione d’incompetenza a favore della Grande Camera.

Se la questione oggetto del ricorso all’esame di una Camera solleva gravi problemi di interpretazione della Convenzione o dei suoi protocolli, o se la sua soluzione rischia di condurre ad una contraddizione con una sentenza pronunciata anteriormente dalla Corte, la Camera, fino a quando non abbia pronunciato la sua sentenza, puó spogliarsi della propria competenza a favore della Grande Camera a meno che una delle parti non vi si opponga.

Articolo 31 – Competenze della Grande Camera

La Grande Camera

a. si pronuncia sui ricorsi presentati ai sensi dell’articolo 33 o dell’articolo 34 quando il caso le sia stato deferito dalla Camera ai sensi dell’articolo 30 o quando il caso le sia stato deferito ai sensi dell’articolo 43; e

b. esamina le richieste di pareri consultivi presentate ai sensi dell’articolo 47.

Articolo 32 – Competenza della Corte

1.La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa nelle condizioni previste dagli articoli 33, 34 e 47.

2.In caso di contestazione sulla questione della propria competenza, é la Corte che decide.

Articolo 33 – Ricorsi interstatali.

Ogni Alta Parte Contraente può deferire alla Corte ogni inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli che essa ritenga possa essere imputata ad un’altra Alta Parte Contraente.

Articolo 34 – Ricorsi individuali.

La Corte può essere investita di un ricorso fatto pervenire da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che pretenda d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti Contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’effettivo esercizio efficace di tale diritto.

Articolo 35 – Condizioni di ricevibilità.

1.La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, qual’è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.

2.La Corte non accoglie nessun ricorso avanzato sulla base dell’articolo 34, se:

a. è anonimo; oppure

b. è essenzialmente identico ad uno precedentemente esaminato dalla Corte o già sottoposto ad un’altra istanza internazionale d’inchiesta o di regolamentazione e non contiene fatti nuovi.

3.La Corte dichiara irricevibile ogni ricorso avanzato in base all’articolo 34 quand’essa giudichi tale ricorso incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi protocolli, manifestamente infondato o abusivo.

4.La Corte respinge ogni ricorso che consideri irricevibile in applicazione dei presente articolo. Essa può procedere in tal modo in ogni fase della procedura.

Articolo 36 – Intervento di terzi

1. Per qualsiasi questione all’esame di una Camera e o della Grande Camera, un’Alta Parte Contraente il cui cittadino sia ricorrente ha diritto di presentare osservazioni per iscritto e di partecipare alle udienze.

2.Nell’interesse di una corretta amministrazione della giustizia, il presidente della Corte può invitare ogni Alta Parte Contraente che non è parte in causa o ogni persona interessata diversa dal ricorrente a presentare osservazioni per !scritto o a partecipare alle udienze.

Articolo 37 – Cancellazione

1. In ogni momento della procedura, la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze consentono di concludere:

a. che il ricorrente non intende più mantenerlo; oppure

b. che la controversia è stata risolta; oppure

c. che non è più giustificato, per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, proseguire l’esame del ricorso.

Tuttavia la Corte prosegue l’esame del ricorso qualora ciò sia richiesto dal rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi protocolli.

2. La Corte può decidere una nuova iscrizione al ruolo di un ricorso quando ritenga che ciò é giustificato dalle circostanze.

Articolo 38 – Esame in contraddittorio dei caso e procedura di regolamento amichevole

1.Quando dichiara che il ricorso è ricevibile, la Corte

a. procede all’esame della questione in contraddittorio con i rappresentanti delle Parti e, se del caso, ad un’inchiesta per la quale tutti gli Stati interessati forniranno tutte le facilitazioni necessarie ai fini della sua efficace conduzione;

b. si mette a disposizione degli interessati per pervenire ad un regolamento amichevole della controversia sulla base del rispetto dei diritti dell’uomo come riconosciuti dalla Convenzione e dai suoi protocolli.

2. La procedura descritta al paragrafo 1. b è riservata.

Articolo 39 – Conclusione di un regolamento amichevole

In caso di regolamento amichevole, la Corte cancella il ricorso dal ruolo mediante una decisione che si limita ad una breve esposizione dei fatti e della soluzione adottata.

Articolo 40 – Udienza pubblica e accesso ai documenti

1. L’udienza è pubblica a meno che la Corte non decida diversamente a causa di circostanze eccezionali.

2.I documenti depositati presso l’ufficio di cancelleria sono accessibili al pubblico a meno che il presidente della Corte non decida diversamente.

Articolo 41 – Equa soddisfazioneSe la Corte dichiara che vi e stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.

Articolo 42 – Sentenze delle Camere

Le sentenze delle Camere divengono definitive in conformità con le disposizioni dell’articolo 44, paragrafo 2.

Articolo 43 – Rinvio dinnanzi alla Grande Camera

1.Entro un termine di tre mesi a decorrere dalla data della sentenza di una Camera, ogni parte alla controversia può, in casi eccezionali, chiedere che il caso sia rinviato dinnanzi alla Grande Camera.

2.Un collegio di cinque giudici della Grande Camera accoglie la domanda quando la questione oggetto del ricorso solleva gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e anche una grave questione di carattere generale.

3.Se il Collegio accoglie la domanda, la Grande Camera si pronuncia sul caso con una sentenza.

Articolo 44 – Sentenze definitive

1. La sentenza della Grande Camera è definitiva.

2. La sentenza di una Camera diviene definitiva

a. quando le parti dichiarano che non richiederanno il rinvio del caso dinnanzi alla Grande Camera; oppure

b. tre mesi dopo la data della sentenza, se non è stato richiesto il rinvio del caso dinnanzi alla Grande Camera; oppure

c. se il Collegio della Grande Camera respinge una richiesta di rinvio formulata secondo l’articolo 43.

3. La sentenza definitiva è pubblicata.

Articolo 45 – Motivazione delle sentenze e delle decisioni

1.Le sentenze e le decisioni che dichiarano i ricorsi ricevibili o irricevibili devono essere motivate.

2. Se la sentenza non esprime in tutto o in parte l’opinione unanime dei giudici, ogni giudice avrà diritto di unirvi l’esposizione della sua opinione individuale.

Articolo 46 – Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze

1. Le alte Parti Contraenti s’impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parti.

2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione.

Articolo 47 – Pareri consultivi

1. La Corte può, su richiesta del Comitato dei Ministri, fornire pareri consultivi su questioni giuridiche relative all’interpretazione della Convenzione e dei suoi protocolli.

2.Tali pareri non devono riguardare questioni inerenti al contenuto o alla portata dei diritti e libertà definiti nel Titolo I della Convenzione e nei protocolli, né su altre questioni che la Corte o il Comitato dei Ministri si troverebbero a dover giudicare in seguito alla presentazione di un ricorso previsto dalla Convenzione.

3.La decisione del Comitato dei Ministri di chiedere un parere alla Corte è adottata con un voto della maggioranza dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio al Comitato.

Articolo 48 – Competenza consultiva della Corte

La Corte decide se la domanda di parere consultivo presentata dal Comitato dei Ministri è di sua competenza secondo l’articolo 47.

Articolo 49 – Motivazione dei pareri consultivi

1. Il parere della Corte è motivato.

2. Se il parere non esprime in tutto o in parte l’opinione unanime dei giudici, ogni giudice avrà diritto di unirvi ;l’esposizione della sua opinione individuale.

3. Il parere della Corte è trasmesso al Comitato dei Ministri.

Articolo 50 – Spese di funzionamento della Corte

Le spese di funzionamento della Corte sono a carico del Consiglio d’Europa.

Articolo 51 – Privilegi ed immunità dei giudici

I giudici beneficiano, durante l’esercizio delle loro funzioni, dei privilegi e delle immunità previste all’articolo 40 dello Statuto del Consiglio d’Europa e negli accordi conclusi in base a questo articolo.


TITOLO III

Disposizioni varie

Articolo 52 – Indagini del Segretario Generale.

Ogni Alta Parte Contraente, alla domanda del Segretario Generale del Consiglio d’Europa, fornirà le spiegazioni richieste sul modo in cui il proprio diritto interno assicura l’effettiva applicazione di tutte le disposizioni della presente Convenzione.

Articolo 53 – Salvaguardia dei diritti dell’uomo riconosciuti

Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i Diritti dell’Uomo e le Libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte Contraente o in base ad ogni altro accordo al quale essa partecipi.

Articolo 54 – Poteri del Comitato dei Ministri.

Nessuna disposizione della presente Convenzione porta pregiudizi ai poteri conferiti al Comitato dei Ministri dallo Statuto del Consiglio d’Europa.

Articolo 55 – Rinuncia ad altri modi di regolamentazione delle controversie.

Le Alte Parti Contraenti rinunciano reciprocamente, salvo compromesso speciale, a prevalersi dei trattati, delle convenzioni o delle dichiarazioni che esistono fra di loro allo scopo di sottoporre, mediante ricorso, una controversia nata dall’interpretazione o dell’applicazione della presente Convenzione ad una procedura di regolamentazione diversa da quelle previste da detta Convenzione.

Articolo 56 – Applicazione territoriale

1. Ogni Stato, al momento della ratifica o in ogni altro momento successivo, può dichiarare, mediante notifica indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, che la presente Convenzione si applicherà, con riserva del paragrafo 4 del presente articolo, in tutti i territori o in determinati territori di cui assicura le relazioni internazionali

2. La Convenzione si applicherà nel territorio o nei territori designati nella notifica a partire dal trentesimo giorno successivo alla data in cui il Segretario Generale del Consiglio d’Europa avrà ricevuto tale notifica.

3. Nei suddetti territori le disposizioni della presente Convenzione saranno applicate tenendo conto delle necessità locali.

4. Ogni Stato che ha fatto una dichiarazione conformemente al primo paragrafo di questo articolo può, in ogni momento, dichiarare relativamente a uno o a più territori previsti in tale dichiarazione che accetta la competenza della Corte a ricevere ricorsi di persone fisiche, di organizzazioni non governative o di gruppi di privati come previsto dall’articolo 34 della Convenzione.

Articolo 57 – Riserva. 1. Ogni Stato, al momento della firma della presente Convenzione o del deposito del suo strumento di ratifica, può formulare una riserva riguardo ad una particolare disposizione della Convenzione, nella misura in cui una legge in quel momento in vigore sul suo territorio non sia conforme a tale disposizione. Le riserve di carattere generale non sono autorizzate ai termini del presente articolo.

2. Ogni riserva emessa in conformità al presente articolo comporta un breve esposto della legge in questione.

Articolo 58 – Denuncia

1. Un’Alta Parte Contraente può denunciare la presente Convenzione solo dopo un periodo di cinque anni a partire dalla data di entrata in vigore della Convenzione nei suoi confronti e dando un preavviso di sei mesi mediante una notifica indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, che ne informa le altre Parti Contraenti.

2. Tale denuncia non può avere l’effetto di svincolare l’Alta Parte Contraente interessata dalle obbligazioni contenute nella presente Convenzione per quanto riguarda qualunque fatto che, potendo costituire una violazione di queste obbligazioni fosse stato compiuto da essa anteriormente alla data in cui la denuncia produce il suo effetto.

3. Con la medesima riserva cessa d’esser Parte alla presente Convenzione ogni Parte Contraente che cessi d’essere Membro del Consiglio d’Europa.

4. La Convenzione può essere denunciata in conformità alle disposizioni dei precedenti paragrafi per quanto riguarda ogni territorio nel quale sia stata dichiarata applicabile in base all’articolo 56.

Articolo 59 – Firma e ratifica.

1. La presente Convenzione è aperta alla firma dei Membri del Consiglio d’Europa. Essa sarà ratificata. Le ratifiche saranno depositate presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

2. La presente Convenzione entrerà in vigore dopo il deposito di dieci strumenti di ratifica.

3. Per ogni firmatario che la ratificherà successivamente, la Convenzione entrerà in vigore dal momento dei deposito dello strumento di ratifica.

4. Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa notificherà a tutti i Membri del Consiglio d’Europa l’entrata in vigore della Convenzione, i nomi delle Alte Parti Contraenti che l’avranno ratificata, nonché il deposito di ogni altro strumento di ratifica che si sia avuto successivamente.

Fatto a Roma il 4 novembre 1950 in francese e in inglese, i due testi facendo egualmente fede, in un unico esemplare che sarà depositato negli archivi del Consiglio d’Europa. Il Segretario Generale ne trasmetterà copie certificate conformi a tutti i firmatari.

● Il rango dei Trattati

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Nel Diritto interno, la riforma del Titolo V della Costituzione, effettuata con la Legge cost. 18.10.2001 n. 3 (art. 3 n.1 della legge di riforma) ha stabilito che la legislazione statale deve esercitarsi “nel rispetto dei vincoli internazionali“. In tal modo, viene riconosciuta e garantita la preminenza degli obblighi internazionali, e quindi anche degli obblighi derivanti dai trattati sulla legislazione ordinaria. 

Si giunge all’adattamento del Diritto interno verso il Diritto internazionale mediante un procedimento volto a introdurre nell’ordinamento giuridico di uno Stato le modifiche necessarie a conformarlo alle norme di diritto internazionale in vigore per lo Stato stesso.

E’ interessante notare che dalla separatezza e indipendenza degli ordinamenti giuridici discende che le norme prodotte in ciascuno di essi non hanno effetto negli altri e che uno stesso fatto può essere valutato, nei diversi ordinamenti, in modo non coincidente (relatività delle valutazioni giuridiche, per la quale è possibile, ad esempio, che una norma internazionale obblighi lo Stato a una data attività, che nel diritto interno non è dovuta o è addirittura illecita).

Da qui, l’esigenza di adattamento del Diritto interno nazionale, a evitare la violazione di obblighi internazionali dello Stato (Illecito internazionale).

Poiché il diritto internazionale raramente impone l’adozione di un dato provvedimento interno, limitandosi, di regola, a prescrivere o a vietare agli Stati una certa condotta, l’adattamento non è, solitamente, adempimento di un obbligo internazionale, ma il mezzo per assicurarne o renderne possibile l’osservanza, mediante i provvedimenti legislativi, amministrativi o regolamentari occorrenti per dare attuazione interna ai trattati e alle consuetudini internazionali.

I mezzi e i procedimenti di adattamento non sono stabiliti dal Diritto internazionale, ma da quello interno, generalmente costituzionale.

Così, lart. 10, par. 1, della Costituzione italiana stabilisce che “lordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”.

Questa disposizione si riferisce esclusivamente alle norme internazionali consuetudinarie; in relazione a queste, opera dunque un procedimento di adattamento automatico e permanente, implicante che lordinamento interno dello Stato, nella sua interezza, si conforma costantemente al Diritto internazionale generale e alle sue modificazioni.

Quanto all’incorporazione dei trattati, la prassi italiana utilizza:

  • tanto il procedimento speciale dell’ordine d’esecuzione contenuto in un atto normativo ad hoc (che per i trattati la cui ratifica richiede – in base all’art. 80 Cost. – l’autorizzazione del Parlamento è spesso la stessa legge di autorizzazione)
  • quanto il procedimento ordinario, consistente nell’emanazione di un atto normativo (legislativo o regolamentare, come richieda la materia disciplinata) di contenuto identico al trattato (come ad esempio la L. 881/77).

Ecco presentarsi un problema nella prassi e nella giurisprudenza riguardante il rango delle norme internazionali introdotte nell’ordinamento interno, in particolare la loro prevalenza o soccombenza rispetto a norme posteriori incompatibili.

Per quelle consuetudinarie, si ritiene che l’incorporazione mediante l’ art. 10, par. 1, Cost., le provveda di garanzia costituzionale.

Per quelle pattizie il rango è generalmente quello stesso del provvedimento di attuazione (legge costituzionale, legge ordinaria, decreto, etc.) salvo riconoscere ad esse una speciale resistenza atta a farle prevalere su norme successive di pari rango (secondo un principio di specialità sui generis, accolto nell’art. 117, 1° comma, Cost., come riformato dalla L. cost. n. 3/2001).

 

 

 

L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Giustizia sociale, povertà e debito non sono prerogative del solo Terzo Mondo…

Perché bloccano la strada e chiedono 45 Euro al giorno ecc. ecc.?
Loro (non essendo cittadini italiani) ovviamente NON sono registrati nella Republic of Italy in quanto ospiti/sovrani muniti di Personalità giuridica. Ciò conferisce loro la piena capacità di agire, essendo titolari di diritti [persino quelli non riconosciuti ai “semplici” cittadini] hanno il sacro santo DIRITTO di ottenere ciò che incombe ad ogni essere umano, come sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo o più semplicemente, attraverso la semplice applicazione di una legge di ratifica di questo Stato (Legge 25 ottobre 1977, n. 881) che vale anche per gli italiani…

Il [pigro] Cittadino italiano, poveretto, non essendo sovrano ma DEBITORE (a seguito del trust living aperto, a sua insaputa, all’atto di nascita) non ha diritto alcuno al riguardo…

xx

Legge 25/10/1977, n. 881  (Ratifica ed esecuzione del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966) [1].

Legge 4/8/1955, n. 848  (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Roma, 4 novembre 1950. Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, Parigi, 20 marzo 1952) [2].

Capito il trucchetto… Siii?

(Loro lo hanno capito…)

I “cittadini” predestinati al pignoramento dei loro beni insorgeranno. Perlomeno i più coraggiosi.

I loro vessatori, vale a dire il ceto politico, fungono da alfieri della finanza criminale utilizzando la montatura terroristica che getta le basi per annullare la libertà.

Coincidenza, guardacaso, agli albori della ribellione dei cittadini ormai consci del saccheggio delle loro ricchezze attraverso il finto e impagabile debito pubblico che genererà la depredazione dei beni privati attraverso l’assurda amplificazione delle tasse ed i derivanti espropri per insolvibilità.

Buonanotte e sogni d’oro ai disattenti

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[1], [2]: Secondo quanto scaturisce dall’interpretazione (Antonio Cassese) dell’art. 10 Cost., in realtà non ci sarebbe bisogno di una legge ad hoc per l’attuazione dei trattati, ma la prassi non ha dato seguito a questa interpretazione.

 

L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Diritti Umani: esiste un legislatore universale…

…in grado di legiferare validamente e in modo vincolante? Quali sono le norme-fonte?

In seguito alle evidenti violazioni dei diritti umani commesse durante il secondo conflitto mondiale, la loro tutela è divenuta oggetto di norme internazionali.

 

La Carta delle Nazioni Unite (1945) già conteneva riferimenti ai diritti fondamentali dell’uomo ed esortava le nazioni (art.1) a sviluppare relazioni amichevoli, fondate sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, e a promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.

Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale adottò inoltre, con risoluzione 217 la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo D.U.D.U. che, all’epoca, pur non avendo carattere immediatamente vincolante, pose le basi per l’affermazione di tali diritti a livello internazionale. Oggi, dopo molti anni, tutti (anche  i cittadini italiani) possono beneficiare della norma di recepimento della D.U.D.U. vale a dire la Legge 25 ottobre 1977, n. 881 (secondo quanto scaturisce dall’interpretazione (Antonio Cassese) dell’art. 10 Cost., in realtà non ci sarebbe bisogno di una legge ad hoc per l’attuazione dei trattati, ma la prassi non ha dato seguito a questa interpretazione) ed è un vero peccato che la stragrandissima maggioranza dei pigri cittadini si limiti, tutt’al più, a prendere atto che la protezione internazionale dei diritti riguardi unicamente queste situazioni, dimenticando di svolgere il minimo approfondimento dei propri diritti disattesi.

Tra questi, vanno anzitutto ricordati:

  • I diritti civili e politici (cosiddetti di “PRIMA GENERAZIONE”, di matrice occidentale), che comportano soprattutto obblighi di astensione per gli Stati: il diritto alla non discriminazione, all’integrità fisica, alla vita, alla libertà personale, di pensiero, di religione;
  • Ci sono poi i diritti economici, sociali e culturali (cosiddetti di “SECONDA GENERAZIONE”, propugnati in passato dai paesi socialisti), che comportano obblighi di agire da parte degli Stati: diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione;
  • Negli anni 1970, i paesi in via di sviluppo sostennero l’esistenza di diritti collettivi, o della solidarietà (cosiddetti di “TERZA GENERAZIONE”), tra cui il diritto allo sviluppo, alla pace, a un ambiente salubre. Questi ultimi possono essere considerati diritti solo in senso lato, in quanto è difficile individuare il titolare degli obblighi corrispondenti, configurandosi piuttosto quali interessi collettivi delle comunità;
  • In seguito si è venuta delineando una “QUARTA GENERAZIONE” di diritti umani, connessi all’impiego delle nuove tecnologie soprattutto nel campo della genetica e dell’informatica.

(Tale classificazione ha carattere descrittivo e non indica una gerarchia, in quanto i diritti umani riconosciuti a livello internazionale si caratterizzano per essere indivisibili e interdipendenti).

Numerose sono le convenzioni stipulate grazie all’azione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, eccone alcune:

  1. la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948);
  2. la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965);
  3. il Patto sui diritti civili e politici (con due Protocolli addizionali) e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali (entrambi del 1966);
  4. la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (1979, con un Protocollo facoltativo);
  5. la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1984);
  6. la Convenzione sui diritti del minore (1989, con due Protocolli facoltativi).
  7. la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950, integrata da 14 Protocolli), che ha istituto la Corte europea dei diritti umani, cui possono rivolgersi direttamente gli individui.

Le norme del Diritto internazionale si collocano in un ordinamento separato e distinto dagli ordinamenti nazionali. All’interno della Comunità internazionale non esistono organi che siano deputati in modo stabile alla produzione di norme giuridiche che vincolino i diversi stati, l’ONU e l’Assemblea Generale in particolare svolgono altre funzioni. Una norma di Diritto internazionale può dirsi formata ed esistente quando ci troviamo di fronte ad un comportamento stabile nel tempo, cui è connessa l’idea dell’obbligatorietà (es. immunità diplomatiche).

Quelle che seguono sono le condizioni di diritto possibili:

  • Norme consuetudinarie, dette anche norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Non sono reperibili in fonti scritte, ma ad es. nelle decisioni dei giudici nazionali che ne costituiscono l’applicazione e ovviamente nei testi scritti dalla dottrina (manuali e saggi).
  • Norme patrizie. Il Diritto internazionale pattizio è invece un diritto scritto, come una sorta di contratto che vincola chi lo sottoscrive. Il trattato (che può essere denominato anche convenzione o accordo o intesa) è subordinato alle norme consuetudinarie e inizia a vincolare gli stati che lo stipulano solo a partire dallo scambio delle ratifiche. La ratifica è la sottoscrizione del trattato da parte del Presidente della Repubblica, che in Italia deve essere autorizzato con legge dal Parlamento. Questo fatto semplifica molto la ricerca dei testi dei trattati dal momento che basterà ricercare la legge di ratifica a cui viene allegato il testo del trattato.
  • Adattamento al Diritto internazionale. L’ordinamento internazionale è un ordinamento separato da quello nazionale, ma, nel momento in cui si forma una norma consuetudinaria o un paese assume un obbligo internazionale con un trattato, può accadere che il paese stesso sia costretto a portare all’interno del proprio ordinamento nazionale delle modificazioni.

L’adattamento al Diritto internazionale può avvenire mediante:

  • Rinvio. Un’apposita norma ricollega alla nascita di una norma internazionale la formazione di una corrispondente norma interna. La norma internazionale è di fatto introdotta automaticamente. Così accade per il Diritto internazionale consuetudinario. L’art. 10 della Costituzione dispone infatti che l’Italia si conforma alle norme del Diritto internazionale generalmente riconosciute. Tali norme si pongono quindi a livello costituzionale; se una legge infatti violasse una norma di diritto consuetudinario violerebbe automaticamente l’art. 10 e sarebbe costituzionalmente illegittima.
  • Legge. A fronte di un obbligo internazionale sorto in seguito all’approvazione di un trattato il legislatore introduce le leggi necessarie alla sua applicazione.

 

  • Ordine di esecuzione. Il legislatore prevede con un’apposita norma la piena ed integrale esecuzione di un trattato. Tale norma viene normalmente introdotta nella legge di ratifica e con essa si immette direttamente il trattato nell’ordinamento italiano, che inizierà a vincolare i cittadini, oltre che il solo Stato.

 

  • Fonti comunitarie. Le fonti comunitarie si collocano al di sopra del Diritto positivo: questo Paese, sottoscrivendo il trattato di Roma, si è impegnato a conformarsi alla normativa CE e se ciò non avvenisse si verificherebbe una violazione non solo del trattato, ma anche del Diritto generale e in particolare della norma “pacta servanda sunt” (in italiano: i patti devono essere osservati)”. Si è visto come le organizzazioni internazionali possano venire abilitate a produrre norme dai trattati che le istituiscono. Tali norme dette derivate vincolano gli Stati membri solo all’atto della ratifica e i cittadini solo dopo il recepimento delle norme come se fossero dei trattati internazionali. Vi è però una rilevante eccezione che è data dalla Comunità europea, i cui atti normativi producono direttamente effetti nei confronti dello Stato membro.
  • Regolamenti. Sono gli atti normativi per eccellenza, hanno portata generale (vincolano anche i cittadini) ed immediata (non necessitano di attuazione). Sono deliberati dal Consiglio (non dal Parlamento) e sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale della Comunità Europea che è uno strumento di difficile utilizzazione e nella Gazzetta Ufficiale Italiana, che solitamente presenta ritardi nella pubblicazione.
  • Direttive. Sono atti normativi che vincolano uno Stato a perseguire un certo obiettivo entro un termine dato, ma lasciano completa libertà in ordine all’individuazione degli strumenti con cui raggiungerlo. Necessitano, a differenza dei regolamenti, di misure di esecuzione che ciascuno stato membro può adottare.

 


Manuale dei diritti umani (Pdf, 1395 pagine)
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L’intento di questi pochi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

● Legale Rappresentante? È un living trust di fatto, ecco perché

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AVVERTENZA 1. Caro lettore, trovandoci nel limbo normativo poiché non esiste fonte scritta, a differenza di molti LR speranzosi, affermo che esistono delle criticità riguardo alla completa esecuzione dell’iter di autodeterminazione individuale, che ancora NON COSTITUISCE ISTITUTO DI DIRITTO VIGENTE (o insieme di usi e consuetudini) inoltre, se non bastasse, pensiamo che interpretare la norma non è mai un semplice riconoscere, ma sempre un decidere e un volere (Guido AlpaLe fonti non scritte e l’interpretazioneUtet, Torino, 1999). Tuttavia una base di partenza esiste, ed è una norma di rinvio nella Costituzione della Repubblica italiana che all’art 10 recita: “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”; in tal modo si è assicurato un adeguamento automatico del diritto interno a quello internazionale: ci troviamo dunque ancora nella fase della RIPETIZIONE GENERALE, UNIFORME E COSTANTE DI PRATICHE OSSERVATE DA SOGGETTI NELLA LIBERA CONVINZIONE DI OTTEMPERARE A NORME GIURIDICAMENTE VINCOLANTI. Riepilogando: questa è la condizione in cui ci troviamo da alcuni anni, comprendi bene che nulla è pronto per te, per me o nessun altro. Si tratta di lavorarci tramite la “sperimentazione” personale. Memento: consuetudine è per definizione tacita.
AVVERTENZA 2. Uno degli argomenti più forti contro l’esistenza del diritto naturale (F. Viola, 1989, Diritti dell’uomo, diritto naturale, etica contemporanea) è sempre stato la constatazione della varietà del modo d’intenderlo, il DIRITTO NATURALE è il complesso di norme non scritte, preesistenti, considerate universali e necessarie che fanno parte del patrimonio etico, morale e religioso di ogni individuo o comunità. Si tratta del diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà, unitamente al diritto al nome, all’identità personale e alla famiglia. Di solito, clamorosamente, tutto ciò trova soltanto parzialmente riscontro nel DIRITTO POSITIVO che è la normativa attualmente vigente di uno stato, l’ordinamento giuridico materiale, cioè quello effettivamente operante e imposto all’osservanza di ognuno, emanato dal legittimo organo legislativo. Si tratta dell’insieme delle norme vigenti e dei precetti che in un dato momento storico rappresentano l’ordinamento giuridico statale. Il Diritto Naturale è gerarchicamente sopra al Diritto Positivo che però, sciaguratamente, nella maggioranza dei casi va nella direzione opposta, negando i diritti naturali e universali. Il contravveleno di una simile patologia è costituito dalla Legge n. 881 del 1977 che meglio rappresenta il diritto naturale. Va detto che all’interno del diritto positivo, appunto con la predetta legge, è stato ratificato il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, vigente dal 23 Marzo 1976, che pone l’essere umano e persona umana quale solo creditore per diritto naturale, ma qualcosa non quadra nella vita di tutti i giorni… Perché la parola spetta esclusivamente al Potere? 

√ Legge di Jersey. Ad ulteriore conferma, la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 25478/2015 ha statuito che il Trust non è “…un soggetto giuridico dotato di propria personalità, essendo invece il Trustee la persona di riferimento nei rapporti con i terzi –legale rappresentante– di un interesse soggetto distinto, …quell’atto non dà vita a un nuovo soggetto giuridico sebbene all’effetto di segregazione patrimoniale” quindi chiunque, essere umano / persona umana (che taluni definiscono “essente”) in qualità di Disponente, valendosi di istituti in combinato disposto (ved. nota [1]) appartenenti a diverse branche del Diritto, può conferire la proprietà di beni o diritti in un fondo detto Trust da egli stesso istituito, ne sceglie la legge regolatrice (ad esempio la “Legge di Jersey, Isole del Canale, Trusts (Jersey) Law 1984”) dettandone così le regole di gestione. Optando per il cosiddetto “Trust autodichiarato” le figure Disponente e quella di Amministratore, detto Trustee (che sarà anche Beneficiario come si vedrà in seguito) coincidono, riconducendo alla disciplina della Convenzione adottata a L’Aja l’1/7/1985, ratificata dall’Italia con la Legge 9/10/1989 n. 364 ed entrata in vigore l’1/1/1992. I beni e i diritti oggetto del trust, dunque, pur restando nella disponibilità del disponente -data la coincidenza tra questi ed il trustee- sono comunque soggetti al vincolo di destinazione determinato nel trust, vincolo che resta opponibile ai terzi.

Dopo il conferimento e la segregazione dei propri beni, il Disponente esce di scena, cedendo l’amministrazione dei beni in trust nelle mani del Trustee, che a sua volta detiene la duplice veste di Legale Rappresentante, corroborato dallo status di Personalità Giuridica.

Il trust non si costituisce necessariamente per contratto o negozio ma anche per atto unilaterale.

A fronte dell’atto o mandato di Autocertificazione di Legale Rappresentante (e relativo contenuto dichiarativo di verità o scienza, costituente un vero e proprio Affidavit (ved. nota [1.1]) ascritto nell’ambito del Diritto internazionale) il Trustee proclama l’istituzione di un Trust Autodichiarato di scopo, ovvero di “alto scopo umanitario”, ancorché privo di Personalità Giuridica

Si tratta di un “fondo” a sé stante, costituito da beni fisici, beni giuridici ovvero crediti segregati: detto fondo ingloba le funzioni / finzioni “soggetto giuridico e persona fisica” correlate all’essere umano / persona umana nell’insieme della curatela in capo al Legale Rappresentante detenente capacità di agire.

Riguardo alla giurisdizionalità internazionale di cui sopra, seppure non sia ancora universalmente accettato, è prassi consolidata considerare il singolo (anche) quale soggetto che gode di diritti e lo stato come soggetto passivo di obblighi. A fronte di tali diritti vi è la formazione della possibilità di appellarsi a corti internazionali deputate alla loro tutela. Ecco che, come prima risultanza, ci si ritrova anche nel Diritto internazionale a parlare finalmente di diritto soggettivo degli individui e di diritto d’azione degli individui.

L’autocertificazione di LR, sottoscritta direttamente dal semplice cittadino italiano (ved. nota [2]) o dallo straniero naturalizzato, implica e realizza l’elezione nella superiore Giurisdizione internazionale. Tale è il primo passo verso il riconoscimento dei diritti inalienabili quando disattesi, pur sanciti dai Patti internazionali come ad esempio D.U.D.U., C.E.D.U. e relative alte leggi di recepimento (ad es. quiquiquiqui, ecc.) peraltro costituenti Fonti super-primarie dette anche Fonti Sub-Costituzionali.

Il deposito in pubblicità legale e la trascrizione dell’atto presso il Comune di nascita e di residenza (se differente) nonché le relative apostillazioni presso la Prefettura e il Tribunale del proprio distretto corredano de facto e de iure il fattuale ripudio della cittadinanza italiana. Tutto ciò non muta i propri diritti che anzi incrementeranno in conseguenza del riconoscimento della propria Personalità Giuridica e del relativo status del quale se ne darà debita notifica alle varie Pubbliche Amministrazioni (es. Questura, Prefettura, Motorizzazione, Regione, ecc.) e ai Privati gestori di pubblici servizi (es. Gas, Energia elettrica, RAI, Banche, ecc.) se e quando tenteranno di seguitare a disporre della loro decaduta potestà legislativa o impositiva, ecc., in base alle sopravvenute carenze.

Come detto, la resa in pubblicità legale (ved. nota [3]) costituita dalla protocollazione e deposito (ved. nota [4]) della AUTOCERTIFICAZIONE della QUALITÀ di LEGALE RAPPRESENTANTE (Articolo 46 lettera u DPR 28.12.2000, n. 445) (ved. nota [5]) in favore dell’essere umano, ossia nell’interesse di egli stesso in qualità di Disponente / Trustee / Beneficiario) nonché nell’interesse di eventuali beneficiari ascendenti e/o discendenti incapaci, ecc. secondo popolounico.org, aziona, nella giurisdizione del Diritto internazionale, un JERSEY TRUST AUTODICHIARATO non lucrativo né commerciale nel quale il Trustee (ved. nota [6]) / Legale Rappresentante, a seguito di Mandato / Accordo Privato, opererà per veder riconosciuti all’essere umano i diritti inalienabili (ved. nota [7]) costituenti l’alto scopo del trust: si tratta di diritti violati, in certe circostanze, persino agli italiani quando ad esempio viene loro impedito il “diritto al benessere” (definito anche “diritti economico-sociali”). Per ottenere il ripristino di tali diritti, il primo passo è costituito dal mandato anzidetto di Legale Rappresentante / Trustee debitamente protocollato presso il comune di residenza e di nascita (se diverso), attestante che siamo personalità giuridiche di carattere privato riconosciute: ciò avviene a seguito della nostra espressa dichiarazione e notifica ove risulti che I) abbiamo uno scopo, II) rivendichiamo la nostra personalità giuridica avente completa capacità di azione giuridica, III) detenendo infine -per mezzo della curatela del Legale Rappresentante- il riconoscimento della propria  personalità giuridica così come sancito all’Articolo 6 della Dichiarazione universale dei diritti umani “Nessuno è sconosciuto” (Commento del prof. Antonio Papisca, “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”: tale precetto è espressamente prescritto nella legge dello Stato 25 ottobre 1977, n. 881 alla sezione “Patto internazionale > PARTE TERZA > art. 16” della legge di ratifica della DUDU. Infine, l’effetto segregativo in trust è garantito dall’assolvimento degli oneri pubblicitari quali l’Autocertificazione anzidetta a cui si integrerà, secondo i casi, giusta Dichiarazione Sostitutiva dell’Atto di Notorietà se presenti beni mobili o immobili soggetti a registrazione nel Diritto positivo, azionando le varie trascrizioni presso la Conservatoria RR.II., il Registro delle Imprese, il Registro Italiano Navale, ecc.

dimenticavo…  AVVERTENZA!

SCORRENDO IL TESTO USA PURE IL DITO INDICE PER CLICCARE SUI LINK (L’IPERTESTUALITÀ È IL SALE DI INTERNET)

Quanto costa?
· Nessun costo (ved. nota [8]) è richiesto oltre i normali diritti di segreteria riservati all’Amministrazione comunale depositante (quella di residenza e quella di nascita, se diversa);
· Nessun oneroso intervento è richiesto da parte di alcun notaio o avvocato.

L’ALTO SCOPO DEL TRUST è anche, se non soprattutto, il superamento dell’incapacità giuridica di agire del cittadino / essere umano (ved. nota [9]). Tale incapacità è innestata dallo Stato con frode, vale a dire senza il consenso dell’interessato (abuso della titolarità del nome (ved. nota [10]) al momento della dichiarazione di nascita del nuovo nato alla Prefettura e alla Procura della Repubblica, allorquando vengono attribuite al pupillo le cosiddette finzioni giuridiche (fictio iuris) denominate “soggetto giuridico e persona fisica (ved. nota [10.1])” volte a vincolare l’essere umano alla P.A., o meglio, alle “amministrazioni o trustees statali” tramite i vari Pubblici Ufficiali (ved. nota [11]).

[1] – BRANCA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO: A) Autocertificazione di esistenza in vita, ex Art. 46 lettera G – D.P.R. 445 del 28/12/2000; B) Autocertificazione della qualità di Legale Rappresentante, ex Art. 46 lettera U – D.P.R. 445 del 28/12/2000; – BRANCA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE: Convenzione adottata a L’Aja l’1/7/1985, ratificata dall’Italia con la Legge 9/10/1989 n. 364 riguardante il Trust, proprio perché è un istituto assente nell’ordinamento giuridico italiano; tale non è stato inserito nella disciplina generale di diritto internazionale privato ma è stato regolato a livello internazionale in modo pattizio, e in Italia mediante la ratifica di detti accordi.
[1.1] Si pensi, al riguardo, a les attestations dell’ordinamento francese (artt. 200-203 del Nouveau code de procedure civile), oppure all’affidavit evidence britannico (art. 32 del Civil Procedure Rules, in cui la dichiarazione viene resa fuori dal processo, ma pur sempre davanti ad un pubblico ufficiale) o, piuttosto, alla teutonica schriftliche Beantwortung (risposta scritta alla richiesta di prova chiamata “Beweisfragen”). 
[2] La NAZIONALITÀ definisce l’appartenenza ad una comunità per storia, religione, tradizione, cultura e lingua. Si acquisisce alla nascita, non si può cambiare e se ne può avere soltanto una: 1. PER “TERRA” > ius soli (ad es. negli USA > se sei nato in un luogo prendi la nazionalità di quel luogo; oppure: 2. “PER FILIAZIONE, PER SANGUE” > ius sanguinis > (ad es. in Italia non conta il luogo ma la nazionalità degli ascendenti). E’ un legame giuridico, un DIRITTO FONDAMENTALE correlato al principio di “autodeterminazione dei popoli” sancito dalla CARTA DELLE NAZIONI UNITE del 1945 e da numerose risoluzioni delle organizzazioni internazionali come dalla DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO del 1948 (art. 15) e dalla CONVENZIONE EUROPEA SULLA NAZIONALITÀ del 1997 (art. 4). Definizione di CITTADINANZA in ambito giuridico. È la condizione giuridica di chi appartiene ad un determinato stato, o più precisamente, l’insieme dei diritti (elettorato attivo e passivo) e dei doveri (rispetto delle leggi) che l’ordinamento riconosce al cittadino. L’ordinamento italiano disciplina i modi d’acquisto della cittadinanza con la L.91/1992 e con il relativo regolamento di esecuzione adottato con il D.P.R.572/1993.
[3] Con la Pubblicità legale un atto amministrativo assume piena validità in quanto portato a conoscenza erga omnes, ovvero tutti coloro che possono avere interesse al contenuto dell’atto medesimo.
[4] Sul dovere di protocollazione relativo a un procedimento anagrafico o di Stato civile, per quanto possano verificarsi iniziative accidentali o spurie da parte di singoli operatori in ogni caso responsabili ad personam (art. 28 Cost. “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.”) pertanto si può tranquillamente affermare che il Comune non può esentarsi dalla protocollazione, come citato [qui a pagina 9] dalla stessa ANUSCA, un’organizzazione seppur privata, fornitrice di servizi al personale dell’86% degli enti locali. Difatti, benché sia molto complesso definire a priori cosa protocollare e cosa no, sul Dpr 445/2000 nonché nei principi stessi dell’attività amministrativa si riscontra una chiara distinzione tra l’obbligo generico (Art.53, 5°comma) di protocollare tutta la documentazione in entrata e in uscita dall’Ente, con l’eccezione di alcuni documenti che non vanno protocollati perché, per loro natura sostanzialmente divulgativa, non necessitano di alcuna registrazione formale né di conservazione. In generale le istanze e le dichiarazioni dei cittadini non rientrano nell’eccezione che tra l’altro il testo del medesimo articolo indicherebbe in un numero finito di atti, col risultato che non potranno che finire nella regola generale, cioè essere protocollate!
[5] E’ stata la Legge 4 gennaio 1968, n. 15 ad introdurre l’istituto dell’autocertificazione nell’ordinamento italiano, disciplinando per la prima volta in modo completo ed organico la materia, cui hanno fatto seguito varie rettificazioni, tra cui quelle contenute nella Legge n. 127/1997 (a sua volta modificata dalla Legge n. 191/98) e dal regolamento attuativo emanato con DPR n. 403/1998, in vigore dal 23 febbraio 1999.
[6] Il TRUSTEE (nella sua specifica qualità) definisce il soggetto incaricato dal Disponente di amministrare i beni o i diritti originari quali ad esempio immobili, terreni e così anche contratti di locazione, ecc. (già detenuti dal Disponente) e successivamente trasferiti nel fondo del Trust nell’interesse del Beneficiario.  
[7] Diritti inalienabiliLegge n. 881 del 25 ottobre 1977 Autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione in Italia (Gazzetta Ufficiale n 333 del 7 dicembre 1977). Data della ratifica: 15 settembre 1978 (Gazzetta Ufficiale n 328 del 23 novembre 1978).
[8] Imposta di bollo (nessun costo!). Articolo 37 DPR 28.12.2000, n. 445. A) Le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 del D.P.R 445/2000 sono esenti dall’imposta di bollo. Difatti, l‘art. 14 “Tabella Allegato B” del D.P.R. 642/1972 ex art. 37 – Esenzioni Fiscali – dice espressamente: …le autocertificazioni e le dichiarazioni sostitutive elencati negli articoli 46 e 47 dello stesso DPR sono esenti dall’imposta di bollo. B) L’imposta di bollo non è dovuta quando per le leggi vigenti sia esente da bollo l’atto sostituito ovvero quello nel quale e’ apposta la firma da legalizzare). 
[9] A ben vedere, la definizione di “essente [umano]” al posto di “essere [umano]” è più profonda perché fissa meglio il lemma “essere”, unisce le parole “essere” ed “ente” (dal latino: ens – entis) ma è anche il Participio presente del verbo essere. Dicendo “essere [umano]” usiamo l’infinito del verbo essere, che esprime qualcosa di poco vivo, di statico. Il Participio presente “essente [umano]” esprime la vera forza insita nel verbo. “Essente” è in pratica “colui che è!”. Qui la conversazione sulla pagina FB di Popolo Unico.
[10] Abuso della titolarità del nome Artt. 6, 7 e 9 c.c. Ogni qualvolta la forma grafica del nome originale viene mutata senza autorizzazione del Titolare© del nome si configura reato di ABUSO. Quante volte ti scrivono e/o ti inviano fatture o ti fanno firmare contratti e ricevute o denunce riportanti il tuo nome e cognome in grafia “TUTTO MAIUSCOLO” (SOGGETTO GIURIDICO) oppure nome in “Alternato” e cognome “MAIUSCOLO” (Persona FISICA)? difatti Popolo Unico ce ne dà contezza. Vale per ex cittadini riconosciuti Personalità Giuridiche con capacità di agire e rappresentanza legale delle Finzioni giuridiche (fictio iuris) o Artefatti giuridici, ma anche per neonati e minori.
[10.1] Amedeo Santuosso, Persone fisiche e confini biologici: chi determina chi (p.3, 2° paragrafo). La persona fisica per il diritto (in questo senso giuridica) è “non già una realtà naturale, ma una costruzione del pensiero giuridico”, e la proposizione corrente, secondo la quale la persona fisica ha diritti e doveri, va intesa e corretta in la persona fisica giuridica è diritti e doveri. La “cosiddetta persona ‘fisica’ è allora una persona ‘giuridica’ in senso ampio” (p.96), e non ha quindi una qualità diversa da quelle che comunemente sono chiamate persone giuridiche: entrambe sono creazioni del diritto, accomunate dal carattere dell’artificialità.
[11] Il consulente tecnico, il perito o l’addetto della P.A., l’ufficiale sanitario, l’insegnante o il preside di una scuola pubblica, il controllore sui mezzi pubblici, l’ufficiale giudiziario, il magistrato, il portalettere o il fattorino postale, ecc. Tutti loro sono considerati pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni. Sono dei pubblici ufficiali, infine, gli appartenenti alle forze dell’ordine, quindi il poliziotto (anche Penitenziario), il carabiniere, il militare della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera. Alle forze dell’ordine lo status di pubblico ufficiale è riconosciuto 24 ore al giorno.

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- SOFIA SACRO

Se non sei debole di stomaco vedi qui  https://kateofgaiatrans.files.wordpress.com/2014/05/babilonia-c3a8-crollata-rev-copia-final.pdf

√ Parlare di diritti umani inalienabili (questo e questo sono alcuni esempi) equivale ad esprimere quelle situazioni giuridiche riconosciute come fondamentali dell’essere umano e tali che neppure lo Stato può ostacolare nella loro realizzazione. Il viatico volto al recupero di tali diritti può essere costituito dalla Autocertificazione della qualità di Legale Rappresentante che, come detto, di fatto:

è un living trust (ved. nota[12]) di Jersey autodichiarato, di alto scopo umanitario, è un istituto giuridico di Diritto internazionale vigente in Italia come da ratifica della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985, in forza della Legge 16 ottobre 1989, n. 364. Vi partecipa l’ “essere umano” a cui è riconosciuta per tramite del Trustee la “personalità giuridica per diritto di nascita, vale a dire, è riconosciuta la facoltà di esercitare in prima persona la CAPACITÀ DI AGIRE GIURIDICAMENTE senza l’ausilio o l’ingerenza di intermediari, difatti, il “Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici” (New York 16/12/66) declama: “OGNI INDIVIDUO HA DIRITTO, IN OGNI LUOGO, AL RICONOSCIMENTO DELLA SUA PERSONALITÀ GIURIDICA (ved. nota [13])” è quindi possibile affermare che alla persona umana autodeterminata, dotata dalla nascita di crediti universali, in curatela del Legale Rappresentante, è riconosciuta la capacità di agire giuridicamente! La Convenzione anzidetta è un Patto internazionale ratificato dall’Italia mediante la Legge 881 del 25/10/1977, la cui lettura è consigliabile per indagare i propri livelli o forme di violazione passiva dei diritti fondamentali, così da poter vagliare le possibili azioni di tutela in punto di diritto. Tale legge di ratifica contiene le norme che assicurano formalmente, in punto di diritto, la concreta protezione all’esercizio dei diritti umani, imponendosi direttamente ai cittadini e agli Organi dello Stato, seppure non sia infrequente accertarne le violazioni. Comincia qui il cammino del Legale Rappresentante.

[12] Living trust. Civilisticamente come negli USA (seppure il fisco americano non lo riconosca, dove è a lui opponibile) detto trust è revocabile, autodichiarato e mantiene una vasta serie di poteri in capo al disponente, come modificare i beneficiari (ad esempio l’ascendente o il discendente, l’incapace, ecc.).
[13] Personalità Giuridica. Nulla a che vedere con i Registri Prefettizi riguardanti l’iscrizione al “Registro delle persone giuridiche private” a cui è eventualmente concessa personalità giuridica, infatti, nel caso degli enti e delle associazioni all’interno degli stati la “personalità giuridica” è “attribuita, concessa”, diversamente che per la persona umana la cui soggettività giuridica, preesistendo al diritto positivo, “è. Vale a dire, deve essere semplicemente “riconosciuta”. Del resto, come emerge dall’art. 2 della Costituzione, la personalità giuridica è, infatti, una caratteristica innata di ogni individuo, ed è riconosciuta dall’ordinamento (non semplicemente attribuita).

In Diritto internazionale, poiché il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente (articolo 6 della Convenzione dell’Aja) la notifica dell’Autocertificazione della qualità di Legale Rappresentante a tutti gli effetti costituisce e fonda un Jersey Trust Autodichiarato. In esso, l’ “essere umano” (o meglio, come detto sopra l’ “essente umano”) è il Disponente (o Settlor) al di sopra di tutto, egli non ha giurisdizione di elezione se non quella “non scritta” della Legge Universale, preesistente ad ogni forma di diritto positivo. Il Disponente è il titolare originario dei beni (beni e diritti, ossia beni materiali, beni giuridici ed anche crediti) tra questi ultimi troviamo le predette finzioni giuridiche (Fictio iuris) (ved. nota [14]) create artificiosamente dallo Stato mediante la “Attestazione di avvenuta nascita” nonché la “Dichiarazione di nascita” (art. 2, L. 15 maggio 1997, n. 197; art. 30, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) atti correlati alla formazione dell’ “Atto di Nascita”, di cui egli (Disponente) se ne spossessa mediante il trust segregandovi tali finzioni, valendosi dell’affidatario curatore Trustee – Legale Rappresentante che funge da sottoscrittore mandatario, il quale assume l’obbligo di amministrare e rappresentare detti beni segregati in trust per ogni esigenza notarile, legale, amministrativa, di notifica, ecc. come previsto dal Mandato / Accordo privato di trust. Una volta trasferito il diritto sui beni, si è soliti dire che il disponente “esce di scena”, non rivestendo più alcun ruolo all’interno del trust.

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[14] Finzioni giuridiche dette anche Funzioni giuridiche (Fictio iuris). Lo Stato, mediante la predetta “Dichiarazione di nascita” e conseguente Atto di Nascita attribuisce al nascituro l’appartenenza a due delimitate categorie: 1) SOGGETTO GIURIDICO (grafia maiuscola del nome e cognome), come attestato in seguito dalla Carta d’Identità, di pertinenza amministrativo – anagrafica a cura del Ministero degli Interni; 2) Persona FISICA (grafia del nome in alternato e del cognome in maiuscolo) di competenza della Procura della Repubblica, Ministero della Giustizia. Tutto ciò alla stregua delle tradizionali “finzioni pretorie” come la fictio civitatis del mondo regnato dalla cultura giuridica degli Antichi Romani che attribuiva fittiziamente la cittadinanza romana allo straniero, con lo specifico fine di conferirgli legittimazione processuale. L’astrazione – presunzione “finzione giuridica” tecnica evidente del Diritto, più vera del vero, è uno degli strumenti più importanti e interessanti per il mestiere del giurista: si presuppone come esistente (o come non esistente) qualcosa che non esiste (o che esiste), per far discendere in un certo caso determinati effetti, quelli che il diritto, in un determinato modo, già riconosce in altri casi. La culla della fictio è il diritto romano, nel quale essa nasce, in primo luogo, come fictio legis, a partire da quella introdotta con la legge Cornelia dell’81 a.C., che, per riconoscere effetti al testamento del civis romanus morto in prigionia (e la cui cattività, secondo le regole generali, lo aveva privato della capacità), consentiva di considerare il prigioniero come già morto nel momento in cui era caduto nelle mani dei nemici. La fictio in seguito si ripropone in molte ipotesi, sempre per l’intervento del legislatore. Ma si trasforma anche in fictio iuris, diventa, cioè, tecnica dell’interpretazione giuridica, come sarebbe accaduto – almeno per l’autore Yan Thomas – in occasione della formulazione del noto insegnamento per cui “conceptus pro iam nato habetur”.

CHI È VERAMENTE, L’INDIVIDUO, IN PUNTO DI DIRITTO?

È un essere umano titolare di Personalità Giuridica a cui sovente sono negati i diritti inalienabili sanciti in DUDU >>> goo.gl/Zt56BJ e in CEDU >>> goo.gl/9Buapv.

Ricorrendo al Diritto internazionale, che secondo la prassi è gerarchicamente fonte superiore alle leggi della Repubblica (ved. nota [15]) l’individuo “ex nihilo ens legis” (vale a dire -dal nulla, di legge-) trasformato in un’astrazione, una finzione giuridica per mezzo dell’atto di nascita istituito   strumentale al Sistema.

[15] L’articolo 10 comma 1 della Carta Costituzionale dispone che l’ordinamento giuridico si adatti automaticamente alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, in quanto tali norme sono considerate parte integrante del diritto della Repubblica.
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TENTATIVO DI SINTESI

√ La AUTOCERTIFICAZIONE della QUALITÀ di LEGALE RAPPRESENTANTE (D.P.R. 28.12.2000, n. 445, Art. 46 lettera u) è un atto pubblico che fa prova legale, enuncia “stati, qualità personali o fatti a diretta conoscenza dell’interessato, ed in più esprime la volontà di azionare determinate condotte o atti. Di tale autocertificazione, in Diritto civile, la fidefacienza (veridicità) è requisito imprescindibile perché si possa considerare atto pubblico (Art. 2699 c.c., Art. 483 c.p.).

√ De facto, detta autocertificazione realizza un Jersey Trust Autodichiarato così vincolando ex novo al beneficiario i beni (beni materiali + beni giuridici come ad es. le Finzioni giuridiche o Fictio iuris) anteriormente intestati alle fictio iuris ed amministrate dal Trustee – Legale Rappresentante. La “segregazione dei beni” è aspetto saliente ed essenziale del trust e, secondo l’art. 11 della Convenzione de L’Aja costituisce l’effetto minimo del riconoscimento di un trust costituito in conformità della legge che lo regola. I beni conferiti al fondo in trust, dunque, sono segregati, vale a dire non appartengono né al Settlor/Disponente, né al Trustee e l’effetto segregativo trova legittimazione nella stessa Convenzione de L’Aja del 01/07/1985 ratificata dall’Italia con la Legge 09/10/1989, n. 364 entrata in vigore il 01/01/1992. La caratteristica più rilevante del trust è che i beni o i diritti oggetto dello stesso non vengono trasferiti ma concretizzano la sola apposizione di un vincolo di destinazione del patrimonio del Settlor/Disponente: i beni costituiscono un patrimonio separato, isolato da quello del Trustee, inattaccabile dai suoi creditori, poiché sono assenti formali effetti  traslativi.

Due sono le condizioni per cui i beni non possono essere aggrediti dai creditori del Settlor/Disponente, seppure tali cespiti siano “usciti” dalla sua sfera di appartenenza, a seguito del trasferimento al trustee:

    1. che il conferimento in trust sia ben anteriore al decreto ingiuntivo per insolvenza debitoria;
  1. di non essere in presenza di debitore esecutato e sottostante ad un procedimento di esecuzione forzata come il pignoramento.

AVVERTENZE

PER IL LETTORE POCO ESPERTO IN MATERIA
Il cittadino è prettamente obbligato alla “venerazione del Diritto positivo imperante”, aka, soggiogato com’è alla potestà giudiziale della legittima autorità statuale territoriale, ne risulta meccanicamente sottomesso. Lo scopo di questo articolo non è quello di istigare la sovversione, casomai è quello di suscitare una certa curiosità volta a valutare se non vi sia qualcosa che possa meritare la nostra disobbedienza legittima, al cospetto ed in forza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Niente di illegale!
    1. CHE COSA PUÒ ESSERE OGGETTO DI UN TRUST? I beni che fanno parte di un patrimonio familiare o aziendale o parti di essi possono entrare in un trust, come a puro titolo di esempio: titoli di credito, conti bancari e somme di denaro, azioni, quote di società immobiliari, preziosi ed opere d’arte, quote di fondi comuni d’investimento, azioni quotate in Italia o all’estero, immobili ecc. Inoltre, in un trust può entrare sia la piena proprietà, sia la nuda proprietà di un bene.
    1. I TRUST INTERNI: AMMISSIBILITÀ IN ITALIA. Con il recepimento della convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata in Italia con legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore dal 1° gennaio 1992, l’istituto del trust è stato formalmente accettato nell’ordinamento italiano, ne discende l’ormai pacifica trascrizione dei beni ricompresi nel trust al trustee proprio per rendere concreto l’effetto segregativo (circolare Agenzia delle Entrate del 22 gennaio 2008, n. 3) essenza del trust, che altrimenti risulterebbe inopponibile a terzi. La legge regolatrice può essere sia quella del modello inglese, sia quella del modello internazionale, ossia emanata negli ultimi quindici anni da numerose ex colonie britanniche sedi di centri finanziari internazionali (Jersey, Guernesey, Isola di Man, Malta, Isole Cayman, Bermude, Bahamas), ovvero quella del modello dei paesi di civil law, come ad esempio i paesi sudamericani, il Licthenstein (treuhand), il Principato di Monaco, S. Marino e Israele.
    2. PER EFFETTO DELLA CONVENZIONE quindi, un cittadino italiano può istituire un trust – rapporti giuridici istituiti da una persona – con atto tra vivi o mortis causa per disporre dei propri beni e porli sotto il controllo di un trustee nell’interesse di uno o più beneficiari o per raggiungere un fine specifico.
    3. CARATTERISTICHE
      a) i beni del trust costituiscono un fondo separato e non fanno parte del patrimonio del trustee (cd. “segregazione del patrimonio del trust”);
      b) i beni del trust sono intestati al trustee;
      c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo di gestire o disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme impostegli dalla legge.
      In breve, con la creazione di un trust, il settlor o disponente si spoglia di alcuni suoi beni e li trasferisce al trustee, che ne diviene proprietario. Il trustee deve esercitare il diritto di proprietà di cui è investito, secondo quanto stabilito nell’atto istitutivo e non a proprio vantaggio, bensì nell’esclusivo interesse del beneficiario o dei beneficiari indicati nell’atto istitutivo del trust, ovvero per il raggiungimento di uno scopo. Gli elementi distintivi di un trust sono quindi il trasferimento della piena titolarità del diritto di proprietà al trustee e la segregazione del patrimonio del trust.
    1. RICONOSCIUTA LA VALIDITÀ del “Trust Autodichiarato”. Vedi QUI.
    1. NOTA FISCALE TRUST AUTODICHIARATO. Vedi QUIQUI e QUI. Inoltre: tassazione dovuta in misura fissa (Cass. civ. sent. n. 21614/2016) (C.T.R. Campania sent. n. 4710 del 24.05.2017). Vedi QUI e QUI. L’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 43/e del 10/10/2009 prima e con la successiva circolare n. 61/e del 27/12/2010 poi, ha fornito un elenco di ipotesi in cui un trust è da considerare soggetto fittiziamente interposto, vale a dire non esistente.
  1. OBBLIGHI FISCALI
    Il “trust” nel Diritto positivo deve:
    – presentare annualmente la dichiarazione dei redditi (cfr. circolare 48/2007 dell’Agenzia delle Entrate), anche se trasparente;
    – acquisire un proprio codice fiscale;
    – ottenere la partita Iva laddove si eserciti un’attività d’impresa.
I dettami tributari del “trust” prevedono inoltre, obbligatoriamente, la tenuta delle scritture contabili, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 296/2006 all’articolo 13 del Dpr 600/73. I “trust” che hanno per oggetto esclusivo l’esercizio di attività commerciali devono tenere le scritture contabili previste dall’articolo 14, mentre quelli che esercitano attività commerciale in forma non esclusiva sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili ex articolo 20 dello stesso Dpr 600. In base all’attività svolta, il “trust” può essere anche soggetto all’Irap.
INOLTRE:
  • PIGNORAMENTO INVALIDO se notificato ad un soggetto giuridico inesistente: il Trust. Vedi QUI e QUI. Difatti, come detto, i beni posti in Trust costituiscono, a tutti gli effetti, un patrimonio separato rispetto ai beni residui che compongono il patrimonio del Disponente e del Trustee.  Ne deriva, quale principale conseguenza, che i beni vincolati alle finalità del Trust, non potranno cioè essere oggetto di azioni cautelari o esecutive da parte di creditori personali:
    1. del Disponente, non essendo più gli stessi di sua proprietà;
    2. del Trustee;
    3. del/dei Beneficiari, ove esistenti, almeno nella misura in cui questi abbiano una mera aspettativa di godere in futuro del patrimonio e/o dei suoi frutti.
      [Circa lo scopo del trust, oltre che un beneficiario diretto del reddito del trust, vi può anche essere una figura diversa quale beneficiaria finale dei beni che residuano al termine del trust].

* * *

La Legge di Jersey [(Trusts Jersey Law del 1984, poi emendata dalla Trusts (Amendment) (Jersey) Law del 1989, dalla Trusts (Amendment No. 2) (Jersey) Law del 1991, dalla Trusts (Amendment No. 3) (Jersey) Law del 1996 e da ultimo dalla Trusts (Amendment No. 4) (Jersey) Law del 2006)] si sostanzia nell’affidamento dei beni a un trustee (non necessariamente un terzo) affinché questo li amministri. Si noti che trustee ben può esserlo a pieno titolo lo stesso disponente poiché la Convenzione dell’Aja ammette il “Trust autodichiarato” in quanto legittimo ed ammissibile, idoneo a segregare, nel patrimonio del disponente ovvero del trustee, i beni destinati allo scopo per il quale il trust è istituito.

Buon trust a tutti.

Gavuglio, R. video (Genova)

AGGIORNAMENTO 27/01/2017

EVIDENZIO CHE (a chi occorresse): Il trust non è né una persona giuridica né un ente dotato di una seppur minima soggettività giuridica, ma costituisce un insieme di rapporti giuridici – destinati in favore di beneficiari – che fanno capo al trustee. Il trustee non è il legale rappresentante del trust, ma è un soggetto proprietario di determinati beni e titolare di determinati rapporti giuridici nell’interesse dei beneficiari del trust. Il Trustee dispone, in osservanza di quanto stabilito nel regolamento del trust, dei diritti di cui è titolare ed è l’unico referente nei confronti dei terzi. Il pignoramento immobiliare effettuato contro il trust è nullo, perché effettuato verso un soggetto giuridicamente inesistente.
Cass. civ. Sez. III, 27-01-2017, n. 2043.

AGGIORNAMENTO 03/09/2018

Trusts (Amendment No. 7) (Jersey) Law 2018

03/09/2018 | TRUST (EMENDAMENTO n. 7) (JERSEY) LEGGE 2018

Preparativi
Articolo

1 Interpretazione
2 Articolo 1 modificato
3 Articolo 9 modificato
4 Articolo 9 bis modificato
5 Articolo 29 sostituito
6 Articolo 30 modificato
7 Articolo 34 modificato
8 Articolo 38 modificato
9 Articolo 40 modificato
10 Articolo 43 modificato
11 Articolo 43 bis inserito
12 Articolo 47 modificato
13 Citazione e inizio

TRUST (EMENDAMENTO n. 7) (JERSEY) LEGGE 2018

UNA LEGGE per modificare ulteriormente la legge Trusts (Jersey) 1984.

Adottato dagli Stati 22 marzo 2018
Sanzionato dall’ordine di Sua Maestà in Consiglio, il           23 maggio 2018
Registrato dalla Royal Court il 1 ° giugno 2018
GLI STATI , soggetta alla sanzione della Sua Eccelente Maestà in Consiglio, hanno adottato la seguente Legge –

1        Interpretazione n
In questa legge “legge principale” significa la legge Trusts (Jersey) 1984[1] .
2        Articolo 1 modificato
All’articolo 1, paragrafo 1, della legge principale, dopo la definizione “minore” è inserita la seguente definizione:
“‘Ufficiale’ significa –
(a)      nel caso di una fondazione, un membro del consiglio della fondazione;
(b)      nel caso di una società in accomandita semplice, un socio accomandatario o un socio accomandante che partecipa alla gestione della partnership;
(c)      nel caso di società di capitali diverse da quelle menzionate ai sottoparagrafi (a) e (b), un amministratore, dirigente, segretario o altro funzionario analogo della società;
(d)      nel caso di una società a responsabilità limitata, un partner;
(e)      nel caso di una società in accomandita semplice o di una società con personalità giuridica distinta, ad eccezione di una società a responsabilità limitata, un socio accomandatario o un socio accomandante che partecipa alla gestione della partnership; o
(f)       in ogni caso diverso da quelli menzionati nei sottoparagrafi (a), (b), (c), (d) ed (e), qualsiasi altra persona che pretende di agire in una delle capacità descritte in uno qualsiasi dei sottoparagrafi. (a), (b), (c), (d) ed (e); “.
3        Articolo 9 modificato
Nell’articolo 9 (2A) della legge principale, per la lettera (d) deve essere sostituito il seguente sottoparagrafo –
“(D)     non, nel determinare la capacità di una società o altra persona avente personalità giuridica, pregiudicare il riconoscimento della legge del suo luogo di costituzione o stabilimento, a seconda del caso;”.
4        Articolo 9 bis modificato
Nell’articolo 9A della legge principale –
(a)      al paragrafo (1) –
(i)       nella lettera (b) dopo la parola “qualsiasi” devono essere inserite le parole “o tutte”,
(ii)       dopo la parola “effetto” devono essere aggiunte le seguenti parole:
“E nel costruire i termini del trust, se il trust non è espresso come testamento o testamento o entrare in vigore dopo la morte del disponente, si presume che il trust abbia effetto immediato, salvo diversamente espresso “;
(b)      al paragrafo (2) –
(i)       per il sottoparagrafo (c) deve essere sostituito il seguente sottoparagrafo –
“(C)     di agire come, o dare indicazioni per la nomina o la rimozione di –
(i)       un funzionario di qualsiasi società, o
(ii)       un dirigente di una società a responsabilità limitata, una società in accomandita semplice o qualsiasi altra società con personalità giuridica separata,
in cui il trust detiene un interesse indipendentemente dal fatto che tale interesse nella società o nel partenariato sia interamente, parzialmente, direttamente o indirettamente detenuto dal trust; “,
(ii)       nella lettera (d) il termine “vincolante” è cancellato,
(iii)      alla lettera (e), dopo la parola “destra” devono essere inserite le parole “o chi agisce”;
(c)      dopo il paragrafo 3, è inserito il seguente paragrafo:
“(3A) La prenotazione o la concessione da parte di un disponente di un trust di –
(a)      qualsiasi interesse beneficiario nella proprietà della fiducia; o
(b)      alcuni o tutti i poteri di cui al paragrafo (2),
non costituisce di per sé il disponente o la persona a cui è concesso il potere o l’interesse beneficiario, un fiduciario “.
5        Articolo 29 sostituito
Per l’articolo 29 della legge principale è sostituito il seguente articolo:
“29     Divulgazione
(1)      Soggetto a qualsiasi ordine del tribunale, i termini di un trust possono –
(a)      conferire a una persona il diritto di richiedere la divulgazione di informazioni o un documento relativo al trust;
(b)      determinare l’estensione del diritto di qualsiasi persona alle informazioni o un documento relativo al trust; o
(c)      imporre a un trustee un obbligo di divulgare informazioni o un documento riguardante il trust a qualsiasi persona.
(2)      Soggetto ai termini del trust e a qualsiasi ordine del tribunale –
(a)      un beneficiario con il trust non essendo un ente di beneficenza;
(b)      un ente di beneficenza che viene indicato per nome nei termini del trust come beneficiario del trust; o
(c)      un esecutore,
può chiedere la divulgazione da parte del trustee di documenti che si riferiscono o formano parte dei conti del trust.
(3)      Soggetto a qualsiasi ordine del tribunale, un trustee può rifiutarsi di rispettare –
(a)      una richiesta di divulgazione di informazioni o un documento relativo al trust ai sensi del paragrafo (1) (a) o qualsiasi documento che si riferisce o fa parte dei conti del trust ai sensi del paragrafo (2); o
(b)      qualsiasi altra richiesta di divulgazione di informazioni o un documento relativo al trust,
se il trustee nell’esercizio della sua discrezione è soddisfatto che è nell’interesse di uno o più beneficiari, o dei beneficiari nel loro complesso, rifiutare la richiesta.
(4)      Nonostante i paragrafi (1), (2) e (3), fatti salvi i termini del trust e qualsiasi ordine del tribunale, un trustee non è tenuto a rivelare a qualsiasi persona informazioni o documenti che –
(a)      divulga le deliberazioni del fiduciario in merito al modo in cui il trustee ha esercitato un potere o discrezione o ha eseguito un dovere conferito o imposto al fiduciario;
(b)      divulga il motivo di ogni particolare esercizio di potere o discrezionalità o esecuzione di un dovere di cui al sottoparagrafo (a), o il materiale su cui tale ragione deve o potrebbe essere stata basata; o
(c) si      riferisce all’esercizio o al proposto esercizio di un potere o potere discrezionale, o alla prestazione o alla prestazione proposta di un dovere, di cui al sottoparagrafo (a).
(5)      Nonostante i termini del trust, su richiesta del trustee, di un esecutore, di un beneficiario o, con permesso del tribunale, di qualsiasi altra persona, il tribunale può emettere un ordine che ritenga opportuno determinare la misura in cui qualsiasi persona può richiedere o ricevere informazioni o un documento relativo al trust, in generale o in ogni caso specifico. “.
6        Articolo 30 modificato
L’articolo 30, paragrafo 11, della legge principale è abrogato.
7        Articolo 34 modificato
All’articolo 34 della legge principale –
(a)      al paragrafo (1), per le parole “si dimette, si ritira o viene rimosso” devono essere sostituite le parole “si dimette, si ritira, viene rimosso o cessa di essere un trustee”;
(b)      per il paragrafo (2) deve essere sostituito il seguente paragrafo:
“(2) L’     articolo 43 A si applica quando un trustee si dimette, si ritira, viene rimosso o cessa di essere un trustee.”;
(c) il      paragrafo (2A) è abrogato;
(d)      al paragrafo (3) per le parole “si dimette, si ritira o viene rimosso” devono essere sostituite le parole “si dimette, si ritira, viene rimosso o cessa di essere un trustee”.
8        Articolo 38 modificato
All’articolo 38 della legge principale –
a)      per i paragrafi (1) e (2) devono essere sostituiti i seguenti paragrafi:
“(1)     Fatto salvo l’articolo 15, i termini di un trust possono essere diretti o autorizzati –
(a)      l’accumulazione, per qualsiasi periodo, di tutto o parte del reddito del trust e la sua aggiunta al capitale; o
(b)      la conservazione, per qualsiasi periodo, di tutto o parte del reddito del trust nel suo carattere di reddito.
(2)      Fatto salvo l’articolo 15, i termini di un trust possono dirigere o autorizzare la distribuzione di tutto o parte del reddito del trust e mentre la fiducia continua a esistere e per tanto tempo e nella misura in cui –
(a)      il reddito del trust non è distribuito o richiesto per essere distribuito secondo i termini del trust;
(b)      non vi è fiducia nell’accumulare reddito e aggiungerlo al capitale, né nel mantenere introiti come carattere di reddito; e
(c)      non è esercitato il potere di accumulare reddito e di aggiungerlo al capitale, né di conservare reddito nel suo carattere di reddito,
il reddito del trust deve essere mantenuto come carattere di reddito.
(2A)    Fatti salvi i termini del trust, mentre il trust continua ad esistere, non ci deve essere un periodo di tempo entro il quale un potere di accumulare reddito e di aggiungerlo al capitale, di conservare reddito nel suo carattere di reddito o di distribuire reddito deve essere esercitato. “;
(b)      al paragrafo (3) (A) dopo il termine “beneficiario” devono essere inserite le parole “e aggiungerle al capitale o conservarle nel suo carattere di reddito”;
(c)      al paragrafo (5), per la parola “parte” devono essere sostituite le parole “tutto o parte”;
(d)      al paragrafo (6), per le parole “Qualsiasi parte” deve essere sostituita la parola “Tutti”;
(e)      al paragrafo (7), per le parole “Nessuna parte del trust” deve essere sostituita la parola “Trust” e dopo la parola “deve” deve essere inserita la parola “not”.
9        Articolo 40 modificato
All’articolo 40 della legge principale, dopo il paragrafo (5) è inserito il seguente paragrafo:
“(6) In     deroga ai paragrafi (3) e (4), le mele di cui all’articolo 43A in cui un trust è revocato in tutto o in parte.”.
10      Articolo 43 modificato
All’articolo 43 della legge principale, per il paragrafo (2) deve essere sostituito il seguente paragrafo:
“(2) In     deroga al paragrafo (1), l’articolo 43A si applica alla cessazione di un trust.”.
11      Articolo 43 bis inserito
Dopo l’articolo 43 della legge principale, sono inseriti i seguenti titoli e articoli:
“Sicurezza

43A    Sicurezza
(1)      Un trustee –
(a)      chi –
(i) si       dimette, si ritira, viene rimosso o cessa di essere un trustee, o
(ii)       distribuisce la proprietà di fiducia; o
(b)      di un trust che è stato risolto o revocato in tutto o in parte,
può, prima di distribuire o cedere proprietà fiduciarie, a seconda del caso, richiedere di fornire una ragionevole sicurezza per le passività, esistenti, future, contingenti o di altro tipo.
(2)      Laddove la sicurezza richiesta per essere fornita ai sensi del paragrafo (1) sia sotto forma di indennità, l’indennità può essere fornita in relazione a:
(a)      il trustee o una persona impegnata nella gestione o amministrazione del trust per conto del trustee;
(b)      uno o tutti i presenti, futuri o ex funzionari e dipendenti del fiduciario o della persona impegnata nella gestione o amministrazione del trust per conto del trustee; e
(c)      i rispettivi successori, eredi, rappresentanti personali o beni delle persone di cui alle lettere (a) e (b),
e qualsiasi persona nei confronti della quale l’indennità è fornita ai sensi del presente paragrafo può far valere i termini dell’indennità in modo autonomo (indipendentemente dal fatto che siano parti del contratto o di altri accordi che prevedono l’indennità).
(3)      Se un’indennità cui si riferisce il paragrafo (2) è prorogata o rinnovata da un contratto o da un altro accordo e tale contratto o altro accordo prevede un’indennità nei confronti di una delle persone di cui al paragrafo (2), tale persona può far valere i termini del risarcimento di per sé (indipendentemente dal fatto che siano o meno parti di quel contratto o altro accordo ) “.
12      Articolo 47 modificato
All’articolo 47 della legge principale –
a)      dopo il paragrafo 1, lettera b), sono inseriti i seguenti sottoparagrafi:
“(Ba)   qualsiasi persona, se il tribunale è convinto che nonostante uno sforzo ragionevole per trovare tale persona, la persona non può essere trovata;
(bb)     qualsiasi persona, se il tribunale è convinto che la persona rientra in una classe di beneficiari e che a causa del numero di persone che rientrano in tale classe, è irragionevole per la persona da contattare; “;
(b)      al paragrafo (2), per le parole “o (c)” devono essere sostituite le parole “, (ba), (bb) o (c)”.
13      Citazione e inizio
Questa legge può essere citata come Legge sui trust (emendamento n. 7) (Jersey) 2018 e entrerà in vigore 7 giorni dopo la registrazione.


http://www.ilgiornale.it/news/cronache/luomo-che-si-amministra-solo-cos-ho-stessi-diritti-dei-1528463.html

L’intento di questi pixel è quello di migliorare il benessere collettivo. Su questa materia in Italia esistono molti studiosi e ricercatori, anche in aspro conflitto tra loro, costoro provengono da un obsoleto gruppo di studio (Popolo Unico) fondato nel 2015 ove si distillava dagli Stati Uniti la primitiva ideologia OPPT. Semplificando al massimo, l’utilità della LR non è quella di disporne per singole occorrenze alla stregua della patente di guida o del passaporto ecc. bensì è quella di aiutarci a capire chi siamo giuridicamente dinanzi allo Stato e quali diritti inalienabili debbano esserci ripristinati. La ricognizione e l’apprendimento delle norme sui Diritti umani è pre-condizione necessaria alla migliore comprensione di questi temi.

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